Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20732 del 14/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 14/10/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 14/10/2016), n.20732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12875/2013 proposto da:

G.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TEMBIEN 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA RASTELLO, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

SAGRANTINO ITALY SRL e per essa, in qualità di mandataria la PRELIOS

CREDIT SERVICING SPA, in persona del suo procuratore speciale, Avv.

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BARBERINI

12, presso lo studio dell’avvocato UGO PATRONI GRIFFI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONARDO PATRONI

GRIFFI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

INTERNATIONAL CREDIT RECOVERY (5) SRL, GI.MA.GR.,

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5540/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato NICOLA RASTELLO;

udito l’Avvocato PIER FRANCESCO GRAZIOLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per la cassazione senza rinvio,

inammissibilità o rigeto del ricorso nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel (OMISSIS) l’Istituto Sanpaolo di Torino s.p.a. iniziò l’esecuzione per espropriazione immobiliare nei confronti del proprio debitore G.R., in virtù di titolo stragiudiziale costituito da atto pubblico di erogazione di mutuo fondiario, concesso in origine alla società (OMISSIS) s.r.l., e che G.R. si era accollato con atto dell'(OMISSIS).

Nel (OMISSIS) Gi.Ma.Gr., coniuge dell’esecutato, si oppose all’esecuzione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., deducendo di essere comproprietaria per la metà dell’immobile pignorato.

In questo giudizio si costituì altresì G.R., chiedendo “l’annullamento” della procedura esecutiva, per difetto di notifica tanto del precetto quanto del pignoramento. In subordine, denunciava che la banca aveva pretesto il pagamento di interessi anatocistici ed usurari.

2. Con sentenza 17.1.2005 n. 976 il Tribunale di Roma rigettò ambedue le opposizioni.

3. I soccombenti proposero appello; nel giudizio di appello intervenne la società Sagrantino Italy s.r.l., per il tramite della propria rappresentante Prelios Credit Servicing s.p.a., dichiarando di avere acquistato per cessione il credito litigioso dalla società International Credit Recovery s.r.l. (che a sua volta l’aveva acquistato dalla banca originaria creditrice dell’esecutato), ed aderendo alle difese di quest’ultima.

4. La Corte d’appello di Roma con sentenza 8.11.2012 n. 5540 dichiarò cessata la materia del contendere, sul presupposto che nelle more del giudizio di appello, con ordinanza 6.7.2009, il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato estinta la procedura esecutiva.

La Corte d’appello tuttavia condannò gli appellanti ( Gi.Ma.Gr. e G.R.) in solido alle spese d’appello, dopo averne esaminato le pretese ai soli fini della c.d. soccombenza virtuale.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.R., con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso la Sagrantino Italy s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.

1.1. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni analoghe.

Con essi il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 24 e 111 Cost.; artt. 139, 141, 479 e 555 c.p.c..

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto valida la notifica del precetto, eseguita dall’istituto di credito procedente presso la conservatoria dei registri immobiliari, luogo che non aveva alcun legame col debitore. Ciò ha violato il diritto di difesa dell’esecutato.

Sebbene il ricorrente non lo dichiari espressamente, questa Corte ritiene tuttavia evidente che i motivi di ricorso in esame, come quelli che seguono, mirano a censurare il giudizio di “soccombenza virtuale” pronunciato dalla Corte d’appello, ai fini della disciplina delle spese giudiziali. Ed in quest’ottica ed a questo scopo essi saranno esaminati.

1.2. Il motivo è infondato.

Il debitore mutuatario, nel contratto di mutuo, aveva espressamente accettato di eleggere domicilio nella conservatoria dei registri immobiliari. Legittima fu dunque la notifica del precetto in quel luogo. Fuori luogo è, a tal riguardo, il richiamo alla disciplina delle clausole vessatorie e la eccepita nullità di quella clausola. La nullità prevista dall’art. 1341 c.c., è infatti invocabile nei soli casi di clausole contenute in contratti unilateralmente predisposti e destinati a regolare una serie indeterminata di rapporti, mentre nel caso di specie la clausola era inserita in un contratto stipulato per atto pubblico, rispetto al quale non è concepibile nè la “predisposizione unilaterale”, nè la preordinazione a disciplinare una serie indefinita di rapporti (ex multis, in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 18917 del 21/09/2004, Rv. 577268).

2. Il terzo motivo di ricorso.

2.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134). Deduce, al riguardo, che la sentenza “è censurabile per non aver preso atto della sproporzione tra l’importo mutuato e l’importo richiesto col precetto”. Nella illustrazione del motivo il ricorrente spiega che la Corte d’appello non avrebbe svolto alcuna istruttoria circa la fondatezza nel quantum della pretesa del creditore procedente, sicchè non poteva ritenere virtualmente soccombente l’opponente.

2.2. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello non doveva svolgere alcuna istruttoria sul merito della opposizione, perchè la materia del contendere sul punto era cessata.

Ai soli fini della soccombenza virtuale, dunque, la Corte d’appello non poteva che decidere allo stato degli atti, e nel giudizio di opposizione all’esecuzione era ovviamente onere dell’opponente dimostrare il fatto costitutivo dell’eccezione, ovvero l’erroneità dei conteggi effettuati dal creditore. Sicchè, in mancanza di qualsiasi prova od indizio al riguardo, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto “virtualmente” infondata l’opposizione.

3. Il quarto motivo di ricorso.

3.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta, in particolare, la violazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1.

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello non ha preso in esame la sua eccezione di usurarietà degli interessi pretesi dalla banca creditrice.

3.2. Il motivo è manifestamente inammissibile per difetto di specificità. Il ricorrente, infatti, non indica quali interessi avrebbe applicato la banca, con che decorrenza, quale fosse il tasso soglia, per quali ragioni in diritto una Legge del 1996 dovrebbe applicarsi ad un mutuo stipulato nel (OMISSIS) ed accollato nel (OMISSIS) e soprattutto dove e quando tali eccezioni furono sollevate nel giudizio di merito.

4. La responsabilità aggravata.

4.1. Al presente giudizio è applicabile ratione temporis l’art. 385 c.p.c., comma 4, a norma del quale “quando pronuncia sulle spese (…) la Corte, anche d’ufficio, condanna (…) la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”.

Tale norma è stata infatti aggiunta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 13 e, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2, del medesimo Decreto, si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006.

L’art. 385 c.p.c., comma 4, è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20.

Tuttavia, per espressa previsione della stessa L. n. 69 del 2009, art. 58, “le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile (…) si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, vale a dire dopo 4 luglio 2009.

Nel presente giudizio è pertanto applicabile ratione temporis l’art. 385 c.p.c., comma 4 (come già ritenuto da Sez. 3, Sentenza n. 22812 del 07/10/2013, Rv. 629023, in motivazione), in quanto:

(a) il ricorso per cassazione ha ad oggetto una sentenza pronunciata dopo il 2 marzo 2006;

(b) essendo il giudizio in primo grado iniziato prima del 4 luglio 2009, ad esso non si applica l’abrogazione dell’art. 385 c.p.c., comma 4, disposta dalla L. n. 69 del 2009.

V’è solo da aggiungere, per completezza ed a maggior conforto del principio di diritto che sarà espresso nei p.p. che seguono, che il precetto già contenuto nell’art. 385 c.p.c., comma 4, per i giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009 non è stato soppresso, ma semplicemente trasferito dell’art. 96 c.p.c., comma 3, come novellato della citata L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12.

Scelta, quest’ultima, la quale palesa la evidente volontà del legislatore non solo di tenere fermo il principio medesimo, ma anzi di rafforzarlo, spostando la relativa previsione in una disposizione di carattere generale ed applicabile a qualsiasi tipo di giudizio.

4.2. Agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione.

Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto un ricorso nel quale:

– ha invocato la nullità della notifica d’un precetto notificato nel domicilio contrattualmente pattuito, e dunque una pretesa palesemente infondata;

– ha invocato la vessatorietà ex art. 1341 c.c., d’una clausola contenuta in un atto pubblico rogato da notaio, tesi insostenibile alla luce d’una quarantennale giurisprudenza di questa Corte;

– ha formulato due dei quattro motivi di ricorso (il terzo ed il quarto) in modo ultragenerico ed antitetico rispetto ai criteri prescritti dagli artt. 366 e 369 c.p.c., così come interpretati da una ormai pluridecennale giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorrente, in definitiva, ha proposto un ricorso in parte manifestamente infondato, ed in parte manifestamente inammissibile.

Da ciò deriva che delle due l’una: o il ricorrente – e per lui il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex art. 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l’ordinamento non può consentire); ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperato con la exacta diligentia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall’art. 1176 c.c., art. 45, comma 12) da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale è quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare.

Il ricorrente va, dunque, condannato di ufficio ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, al pagamento in favore della parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno.

Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c., nell’importo di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

5.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

PQM

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

-) condanna G.R. alla rifusione in favore di Sagrantino Italy s.r.l. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

-) condanna G.R. al pagamento in favore di Sagrantino Italy s.r.l. della somma di Euro 3.000 ex art. 385 c.p.c., comma 4, oltre interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di G.R. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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