Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20731 del 01/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 01/08/2019, (ud. 18/06/2018, dep. 01/08/2019), n.20731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9829 del ruolo generale dell’anno 2011

R.G. proposto da:

Rothenberger Italiana s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine

del ricorso, dall’avv. Eugenio Briguglio, elettivamente domiciliata

in Roma, via Germanico n. 146, presso lo studio dell’Avv. Ernesto

Mocci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, n. 109/43/10, depositata in data 8

ottobre 2010;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 giugno 2018

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, con

assorbimento degli altri motivi dal secondo al nono,

l’inammissibilità o il rigetto del decimo e undicesimo motivo di

ricorso principale, l’inammissibilità del ricorso incidentale.

udito per la società l’Avv. Gianluca Boccalatte e per l’Agenzia

delle entrate l’Avvocato dello Stato Alessandro Maddalo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rothenberger Italiana s.r.l. ricorre con undici motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la quale è stato parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004: in materia di Irpeg e Irap, erano stati contestati ricavi non dichiarati e costi non legittimamente dedotti; b) in materia di Iva, inoltre, era stato contestato il mancato assolvimento dell’imposta su presunti ricavi non contabilizzati, il mancato assolvimento della medesima imposta sulla valorizzazione delle differenze inventariali positive, l’omessa registrazione sul registro Iva acquisti di autofatture emesse per servizi effettuati dalla società consociata, e si era proceduto al recupero dell’imposta su operazioni ritenute classificabili tra le cessioni gratuite a titolo di omaggio di beni normalmente commercializzati dall’impresa; la Commissione tributaria provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha parzialmente accolto l’appello.

In particolare, ha ritenuto che: era infondato il motivo di appello relativo alla insufficiente motivazione sul calcolo delle percentuali di incidenza delle differenze di magazzino; era fondato il motivo di appello relativo ai costi indeducibili per servizi infragruppo, in quanto il giudice di primo grado aveva ritenuto utilizzabile, ai fini della decisione, il contratto non esibito dalla società in sede di verifica, in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5; era fondato il motivo di appello relativo ai costi non di competenza, per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 1; era, altresì, fondato, il motivo di appello concernente la non deducibilità dei costi per spese “meeting e altro”, dovendoli considerare quali spese di rappresentanza e quindi deducibili solo per un terzo; erano infondati, infine, gli ulteriori motivi di appello relativi alla ripresa a tassazione dell’Iva di cui alla fattura per la stampa di un catalogo e su operazioni ritenute quali cessioni gratuite a titolo di omaggi.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la Rothenberger Italiana s.r.l., affidato a undici motivi di censura.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso contenente ricorso incidentale.

Rothenberger Italiana s.r.l. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sui motivi di ricorso principale.

1.1. Sul primo motivo di ricorso principale.

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per nullità della medesima, non avendo pronunciato sulla questione prospettata della diversità della natura dei costi di cui alle due fatture oggetto di verifica.

In particolare, la ricorrente rileva che nei precedenti gradi di giudizio aveva evidenziato che la fattura emessa dalla Rothenberger AG riguardava il riaddebito dei costi sostenuti dalla medesima per spese di trasferta dei responsabili centrali del gruppo in relazione alle visite effettuate presso la sede italiana nonchè il riaddebito delle spese di trasferta del management della società ricorrente per la partecipazione a fiere tenute in Germania, mentre la fattura emessa dalla Rothemberger Gmbh era relativa all’imputazione della quota spettante alla ricorrente dei costi sostenuti in favore del Gruppo dalla società emittente, secondo quanto stabilito dal contratto relativo ai servizi infragruppo.

Evidenzia, a tal proposito, che la questione della rilevanza del contratto poteva avere rilievo unicamente in relazione alla seconda fattura sopra indicata, ma era del tutto inconferente con riferimento alla prima fattura e su tale questione la pronuncia censurata non ha espresso alcuna valutazione, nonostante la questione fosse stata prospettata, limitandosi ad affermare che, nella fattispecie, la non utilizzabilità del contratto riguardava l’intera questione della deducibilità del costi infragruppo, senza alcuna differenziazione.

Il motivo è fondato.

Si evince dal ricorso (pagg. 20 e 21) che la ricorrente, sia in primo grado che in appello, aveva evidenziato che, relativamente alla ripresa per costi per servizi infragruppo indeducibili, era necessario procedere ad una distinzione tra le due fatture ricevute da due diverse società del gruppo, prospettando, quindi, la questione della diversa natura dei costi addebitati e, conseguentemente, la non rilevanza del contratto di servizi con riferimento alla fattura emessa dalla Rothenberger AG, con la quale erano stati riaddebitati i costi sostenuti dalla medesima per spese di trasferta dei responsabili centrali del gruppo in relazione alle visite effettuate presso la sede italiana nonchè le spese di trasferta del management della società ricorrente per la partecipazione a fiere tenute in Germania.

Sulla questione in esame, il giudice del gravame ha del tutto omesso ogni statuizione, avendo unicamente incentrato la decisione sulla mancata esibizione del contratto di servizi in sede di verifica e, quindi, sulla sua non utilizzabilità in giudizio, senza tuttavia esprimere alcuna valutazione in ordine alla diversa valenza dello stesso con riferimento alle due fatture emesse in favore della contribuente, secondo quanto dalla stessa prospettato.

1.2. Sul secondo e terzo motivo di ricorso principale.

Le considerazioni espresse con riferimento al primo motivo di ricorso principale hanno valore assorbente del secondo motivo di ricorso principale, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), riproponendo le medesime ragioni di doglianza già esposte con il primo motivo di ricorso, ma sotto il profilo del vizio della violazione di legge, nonchè del terzo motivo di ricorso principale, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non avendo motivato sulle ragioni per cui il contratto relativo ai servizi infragruppo era da considerarsi rilevante anche ai fini della valutazione della deducibilità dei costi addebitati di cui alla fattura emessa dalla società Rothenberger AG che non riguardava la ripartizione dei costi nell’ambito del gruppo societario.

1.3. Sul quarto motivo di ricorso principale.

Con il quarto motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5.

La questione attiene alla ritenuta non utilizzabilità, da parte del giudice di appello, del contratto di servizi infragruppo prodotto solo in sede contenziosa e che, in sede di verifica, non era stato esibito. La ricorrente, in particolare, evidenzia, come già fatto nel corso dei precedenti gradi di giudizio, che il contratto non era stato esibito al momento della verifica solo perchè l’impiegata cui era stata fatta la richiesta ne ignorava l’esistenza.

Con il presente motivo, la contribuente ritiene che il giudice di appello non ha fatto corretta applicazione delle norme sopra indicate, avendo ritenuto che, sempre e comunque, il documento non esibito nel corso della verifica fiscale non possa essere mai utilizzato a favore del contribuente in sede contenziosa, mentre la vicenda in esame, in particolare la giustificazione resa dalla dipendente, avrebbe potuto consentire di ritenere utilizzabile il contratto.

La contribuente evidenzia, inoltre che, a seguito della produzione del contratto nel giudizio di primo grado, l’Ufficio finanziario non aveva contestato la produzione, circostanza che avrebbe dovuto condurre ad applicare il principio di non contestazione.

Il motivo è fondato.

La questione proposta attiene alla esatta interpretazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5.

La norma in esame prevede che “I Libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche le dichiarazioni di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.”.

La vicenda in esame va inquadrata nell’ambito del secondo periodo della norma indicata, in quanto il documento non è stato esibito poichè, secondo parte ricorrente, l’impiegata con delega aveva dichiarato di non averne il possesso.

Si tratta, quindi, di verificare quali siano i limiti della preclusione in esame e, in particolare, se e in che misura sia consentito, alla parte che dichiara di non possedere un dato documento, di produrlo in giudizio senza incorrere nella suddetta preclusione.

Come correttamente segnalato dalla parte ricorrente, questa Corte (Cass., Sez. U., 25 febbraio 2000, n. 45), ha enunciato i principi di fondo sulla questione della corretta interpretazione della previsione normativa in esame, ricostruendo il quadro giurisprudenziale fino ad allora formatosi e dettando le corrette linee interpretative da seguire.

A composizione del ravvisato contrasto giurisprudenziale, è stato quindi affermato che, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, perchè la dichiarazione resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere i libri, i registri, le scritture e i documenti, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatori, richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: la sua non veridicità o, più in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi; la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; ed il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento.

Dalla suddetta pronuncia si evince, quindi, che la previsione normativa in esame deve essere interpretata con particolare rigore ed entro limiti specifici, posto che la sua applicazione comporta una chiara limitazione del diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente tutelato, di potere legittimamente produrre in giudizio, a fini difensivi, i documenti ritenuti idonei a sostenere le proprie ragioni di difesa avverso la pretesa impositiva dell’ufficio finanziario.

Il profilo centrale, dunque, su cui occorre ancorare la corretta interpretazione della norma e, quindi, la sua applicabilità, risiede nell’accertamento dell’intento del contribuente sottoposto a verifica di sottrarre volontariamente alla verifica un dato documento al fine di ostacolare gli accertamenti in atto, profilo che comporta, solo in questo caso, la non possibilità per il medesimo contribuente di utilizzarlo successivamente in proprio favore.

Su questo versante interpretativo si è, anche successivamente, orientata questa Corte (Cass. civ., 28 aprile 2017, n. 10527), affermando che: “In definitiva, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 5, a cui rinvia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli art. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicchè non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile”.

Questo profilo è stato del tutto trascurato dal giudice del gravame che, invero, ha ritenuto, non correttamente, che dalla non esibizione di un documento in sede di accesso ispettivo, possa, sempre e comunque, derivare la sua non utilizzabilità nel successivo processo tributario.

1.4. Sui motivi dal quinto al nono del ricorso principale.

Le considerazione espresse con riferimento al quarto motivo di ricorso principale, che attengono, come visto, alla non corretta applicazione della previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, hanno valore assorbente dei motivi di ricorso dal quinto al nono.

In particolare, con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere il giudice di appello pronunciato sulla questione della validità della giusta causa invocata dalla società contribuente per la non operatività della preclusione di utilizzabilità in sede processuale del documento non esibito in fase di verifica.

Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), riproducendo le medesime argomentazioni prospettate con il quinto motivo, ma sotto il profilo del vizio di violazione di legge.

Con il settimo motivo il settimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere chiarito l’iter logico giuridico seguito ai fini della decisione della non utilizzabilità del documento in sede contenziosa.

Con l’ottavo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione o falsa applicazione del TUIR, artt. 109 e 110.

In particolare, parte ricorrente si duole che il giudice di appello ha ritenuto, in sostanza, che ai fini della deducibilità dei costi sostenuti nell’ambito dei rapporti infragruppo, fosse necessario un contratto scritto, sicchè si sarebbe dovuto tenere conto di diversi elementi di prova da cui ricavare l’esistenza di specifiche pattuizioni contrattuali relative ai servizi infragruppo. Evidenzia, inoltre, che nè nell’avviso di accertamento nè in sede contenziosa era stato mai eccepito alcunchè in merito alla documentazione prodotta dalla società, diversa dal contratto scritto, confermando in tal modo, secondo il principio di non contestazione, la validità.

Con il nono motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere chiarito l’iter logico giuridico seguito per ritenere che la mancata produzione del contratto comportasse l’accoglimento del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate.

1.5. Sul decimo e undicesimo motivo di ricorso principale.

Con il decimo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del TUIR, art. 108, avendo ritenuto che le spese sostenute per “meeting e per riunioni” dovessero essere qualificate quali spese di rappresentanza, mentre le stesse avrebbero dovuto essere valutate quali costi interamente deducibili.

Con l’undicesimo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in particolare sull’inquadramento nella categoria delle spese di rappresentanza dei costi di cui al precedente motivo di censura.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati. Parte ricorrente, in particolare, prospetta, con i motivi in esame, una diversificazione delle diverse ragioni fondanti le singole spese e, in questo contesto, ritiene che le stesse erano state compiute in favore di personale della società e degli agenti di commercio plurimandatari di cui si avvale la medesima società ovvero ancora di aziende installatrici dei propri prodotti, sicchè non è corretta la loro qualificazione quali spese di rappresentanza.

In particolare, premesso di essere una società che opera nel settore della commercializzazione all’ingrosso di utensileria idrotermica, ha precisato, senza che sul punto la controricorrente abbia contestato le diverse tipologie di spese indicate nel ricorso, che le spese erano relativa a: spese “meeting forza vendita e promoter”, cioè spese sostenute per riunioni informative in favore di propri agenti e promoter per la raccolta di ordinativi di vendita dei prodotti; spese per “riunioni informative” nei confronti delle aziende installatrici dei propri prodotti; spese per “riunioni management”, finalizzate a condividere informazioni e scelte strategiche con la dirigenza e a volte con i dipendenti svolgenti funzioni significative; spese per cene aziendali sostenute periodicamente o per particolari ricorrenze.

Il giudice di appello ha ritenuto che le suddette spese dovevano essere qualificate come spese di rappresentanza, senza, tuttavia, alcuna specifica precisazione delle ragioni fondanti le conclusioni cui è pervenuto.

In tal modo, non ha fatto corretta applicazione dell’interpretazione che questa Corte ha dato delle previsione di cui al TUIR, art. 108. In particolare, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, nel testo vigente ratione temporis, non fornisce una nozione di spese di rappresentanza, limitandosi a contrapporle, ai fini della deducibilità, alle spese di pubblicità e, in questa prospettiva, questa Corte ha più volte precisato che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite (Cass. civ., 17 febbraio 2016, n. 3087).

Pertanto, nella categorie delle spese di rappresentanza possono essere ricondotti solo i costi relativi a iniziative rivolte verso soggetti terzi rispetto alla società che li sostiene, posto che solo la rilevanza esterna di una determinata iniziativa è, in via di principio, idonea ad accrescere il prestigio e l’immagine di una società.

Ne consegue che, nel caso di specie, il giudice del gravame non ha considerato l’effettiva finalità delle spese in esame, come invece specificamente indicato dalla ricorrente, al fine di valutare se le stesse, piuttosto che rientrare nell’ambito delle spese di rappresentanza, possano essere considerate interamente deducibili qualora venga accertato, secondo una valutazione di merito, il loro indissolubile legame con l’attività aziendale e la conseguente possibilità di generare ricavi, ovvero la essenzialità per lo svolgimento dell’attiva aziendale.

Peraltro, la pronuncia censurata ha del tutto omesso, sul punto, di indicare il percorso logico giuridico seguito al fine di pervenire alla conclusione che le spese in esame dovevano essere qualificate di rappresentanza e non considerate quali spese interamente deducibili.

2. Sui motivi di ricorso incidentale.

2.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 85, del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53.

In particolare, viene censurato il punto della decisione relativo alla questione della riscontrata differenza tra i quantitativi risultanti nelle scritture di magazzino e quelli indicati nelle rettifiche di assestamento e, quindi, della conseguente omessa contabilizzazione di ricavi non dichiarati e di versamento Iva sul maggiore imponibile sulla valorizzazione delle differenze inventariali.

Il giudice di appello, in particolare, ha ritenuto che la percentuale di incidenza delle differenze di magazzino, sulla cui base inferire la non rilevanza della stessa ai fini della ripresa, era stata correttamente desunta dal giudice di primo grado facendo riferimenti al calcolo analitico prodotto dalla società, recependone i risultati avendoli ritenuti corretti.

Con il presente motivo, quindi, la controricorrente incidentale lamenta la mancanza specificazione dell’iter logico seguito per giungere alla determinazione delle citate percentuali e della ritenuta non rilevanza delle stesse.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, a ben vedere, più che prospettare una violazione di legge, censura la sentenza sotto il profilo motivazionale, non avendo esposto chiaramente la ragione del rigetto del motivo di appello proposto dall’Agenzia nel giudizio di secondo grado.

Peraltro, la sentenza ha chiaramente motivato sul punto, avendo ritenuto che la non rilevanza delle differenze inventariali poteva essere desunta, come già fatto dal giudice di primo grado, sulla base dei prospetti analitici prodotti dalla contribuente, in quanto ritenuto attendibili.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del TUIR, art. 109, per avere ritenuto non fondato l’appello proposto dall’Ufficio finanziario con riferimento alla ripresa relativa alla fattura ricevuta dalla contribuente per la stampa di un catalogo di prodotti della società.

In particolare, con il presente motivo si prospetta l’erroneità della decisione e la carenza di motivazione.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, invero, non coglie la ratio decidendi della pronuncia, in quanto il giudice del gravame ha ritenuto di non dovere accogliere l’appello in quanto il motivo di impugnazione non risultava congruamente motivato e, sotto questo profilo, nessuna specifica censura a questa ragione di rigetto è stata prospettata, limitandosi il presente motivo a contestare il difetto di motivazione della pronuncia, proponendo ragioni di censura attinenti al fatto, non prospettabili in questa sede.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, per avere ritenuto, con riferimento al motivo di appello relativo alla ripresa Iva non applicata su tutte le autofatture emesse per premi fedeltà e omaggi in favore dei clienti che raggiungevano un determinato budget di fatturato, la corretta fatturazione.

Il motivo è inammissibile.

Anche in questo caso, lo stesso non coglie la ratio decidendi della pronuncia, in quanto il giudice del gravame ha ritenuto di non dovere accogliere l’appello in quanto nel motivo di impugnazione non si rinvenivano valide ragioni di doglianza e la sentenza del giudice di primo grado, che aveva accolto il motivo di ricorso, appariva congruamente motivata, e, sotto questo profilo, nessuna specifica censura a questa ragione di rigetto è stata prospettata, limitandosi il presente motivo a contestare il difetto di motivazione della pronuncia, proponendo ragioni di censura attinenti al fatto, non prospettabili in questa sede.

3. Conclusioni.

In conclusione, sono fondati il primo, quarto, decimo e undicesimo motivo di ricorso principale, assorbiti il secondo ed il terzo, nonchè i motivi dal quinto al nono, sono inammissibili i motivi di ricorso incidentale, con conseguente accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo, quarto, decimo e undicesimo motivo di ricorso principale, assorbiti il secondo, terzo ed i motivi dal quinto al nono, rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2019

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