Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2073 del 29/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 29/01/2021), n.2073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6995/2013 R.G. proposto da:

T.E., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Eugenio Briguglio e

Gianluca Boccalatte, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Ernesto Mocci, in Roma, via Germanico, n. 146;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 13/04/12 della Commissione Tributaria

regionale del Lazio depositata il 19 gennaio 2012;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2020

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso principale e del ricorso incidentale;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Gianluca Boccalatte;

udito il difensore della parte controricorrente, avv. Alessia Urbani

Neri.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.E. impugnò l’avviso di accertamento, per l’anno d’imposta 2003, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva accertato una maggiore plusvalenza da cessione di partecipazione societaria, recuperando maggiore imposta sostitutiva, sul presupposto che l’operazione integrasse una operazione elusiva D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37-bis.

La verifica traeva origine dalla alienazione, nel 2002, da parte del T. e del coniuge N.M., delle quote di partecipazione della società Meta Costruzioni s.r.l. ad una società lussemburghese, la High Tech Construction, che, alcuni mesi dopo, le aveva rivendute alla Idrica s.p.a., società italiana di cui il T. deteneva il 90 per cento delle quote, ad un prezzo notevolmente superiore (Euro 5.000.000,00). La Idrica s.p.a., successivamente, aveva venduto parte della propria partecipazione in Meta Costruzioni s.r.l., pari al 29 per cento del capitale sociale, a F.G. e G.A., a fronte del corrispettivo di Euro 300.000,00.

Secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria, con tale operazione, evitando la cessione diretta delle quote dai due soci della Meta Costruzioni alla Idrica s.p.a., era stata realizzata una plusvalenza da cessione, per un importo pari alla metà di quella complessiva di Euro 4.958.400,09, ammontante, quindi, ad Euro 2.479.200,00 (quale differenza tra il prezzo di vendita pari ad Euro 5.000.000,00 ed il prezzo di acquisto pari a Euro 41.600,00) che, essendo stata imputata alla società lussemburghese, era stata sottratta alla tassazione in territorio italiano; inoltre, la società Idrica s.p.a. aveva iscritto in bilancio la partecipazione acquistata nella Meta Costruzioni s.r.l. ad un prezzo elevato e, al momento in cui, dopo pochi mesi, aveva rivenduto parte delle quote ad un prezzo inferiore, aveva creato una indebita minusvalenza, derivante dalla cessione delle quote della Meta Costruzioni s.r.l., deducibile dal reddito d’impresa.

2. La Commissione tributaria provinciale rigettò il ricorso, ritenendo che si fosse verificata la contestata elusione fiscale, ma annullò le sanzioni irrogate.

Interposto appello principale dal contribuente – che deduceva che la maggiore plusvalenza realizzatasi non era stata da lui incassata, ma dalla società lussemburghese – e proposto appello incidentale dall’Ufficio limitatamente alle sanzioni, la Commissione regionale del Lazio, con la sentenza in questa sede impugnata, dichiarò inammissibile l’appello incidentale perchè tardivo e rigettò quello del contribuente, confermando gli importi accertati nell’atto impositivo a carico del T., con esclusione delle sanzioni.

3. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, affidandosi a quindici motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, con un unico motivo, cui resiste T.E. con controricorso al ricorso incidentale.

Il contribuente, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi sulla eccepita illegittimità dell’avviso di accertamento per errata imputazione temporale del presunto maggior reddito.

Nel giudizio di merito aveva sottolineato che nell’avviso di accertamento era stato evidenziato che l’operazione a fine elusivo posta in essere consisteva nell’operazione di cessione delle quote della Meta Costruzioni s.r.l. alla High Tech Constructions, avvenuta nel 2002, ma l’Ufficio aveva imputato al periodo d’imposta 2003 il presunto maggior reddito accertato per effetto della contestata elusione.

Pur avendo dedotto sia in primo che in secondo grado che l’Ufficio aveva errato nell’identificazione dell’annualità cui riferire il maggior reddito, i giudici di appello avevano ignorato la questione prospettata e neppure avevano fatto menzione che nell’atto di appello era stato sollevato specifico motivo di impugnazione.

2. Con il secondo motivo – rubricato “omessa pronuncia (illegittimità dell’avviso di accertamento per errata imputazione temporale del presunto maggior reddito) – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – il ricorrente ripropone la doglianza già esposta con il primo motivo per il caso in cui il vizio di omessa pronuncia venga ritenuto rientrante tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè in quelli contemplati dall’art. 360 c.p.c, medesimo comma 1, n. 4.

3. Con il terzo motivo si denuncia nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere i giudici regionali omesso di pronunciarsi sull’illegittimità dell’avviso di accertamento per insussistenza dei presupposti per l’applicazione della normativa antielusiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis.

In primo grado aveva dedotto che la norma citata era tesa a contrastare eventuali riduzioni di base imponibile realizzate mediante manovre elusive, per cui la eventuale vendita di partecipazioni, da parte di un soggetto tassato a bilancio, se considerata elusiva, poteva essere disconosciuta ai fini fiscali e, quindi, comportare una ripresa in aumento nella determinazione del reddito di tale soggetto. L’Ufficio non poteva, invece, aumentare il valore di vendita di una partecipazione posta in essere da soggetti diversi da quello che, presuntivamente, ne aveva tratto vantaggio.

In grado di appello aveva riproposto la questione, sottolineando che non aveva ritratto alcun vantaggio fiscale dall’operazione, atteso che: a) la società High Tech era un soggetto terzo; b) il corrispettivo della prima cessione era significativamente inferiore a quello della seconda; c) il corrispettivo con riferimento al quale l’Ufficio pretendeva, facendo leva su una presunta elusività, di imputare una maggiore plusvalenza non era stato da lui incassato, bensì dalla società lussemburghese. Aveva preso parte unicamente alla prima cessione, in occasione della quale era stato determinato un corrispettivo, che era stato regolarmente pagato, e non aveva poi partecipato alla successiva fase della vicenda oggetto di accertamento; ne conseguiva che l’avviso di accertamento configurava una fattispecie diversa, ossia la contestazione di una plusvalenza sulla base di un corrispettivo non incassato.

La decisione impugnata non conteneva alcuna pronuncia in relazione al suddetto motivo di impugnazione.

4. Con il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente richiama le argomentazioni già esposte con il terzo motivo, invocando la violazione di legge per il caso che il vizio di omessa pronuncia venga ritenuto rientrante tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5. Con il quinto motivo si denuncia nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e si lamenta che i giudici regionali, sebbene fosse stata evidenziata nel corso del giudizio di primo grado e in quello di secondo grado l’illegittimità dell’avviso di accertamento per mancato rispetto dell’onere di motivazione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 5, non si sono espressamente pronunciati sulla questione prospettata.

Precisa, sul punto, che l’Ufficio, dopo avere ricevuto, in risposta ai questionari inviati, puntuali chiarimenti con riferimento alla vicenda oggetto di controllo, non aveva spiegato nell’avviso di accertamento perchè le giustificazioni fornite non fossero condivisibili, violando in tal modo la disposizione del citato art. 37-bis, comma 5, che impone all’Amministrazione finanziaria, che intenda procedere alla contestazione di una presunta manovra elusiva, di motivare specificamente, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.

In particolare, l’Ufficio, nell’avviso di accertamento notificato, non aveva motivato in relazione alla giustificazione fornita da Idrica s.p.a., con lettera del (OMISSIS), nè circa il fatto che, dopo lo scorporo del gasdotto, Meta Costruzioni s.r.l. era diventata una scatola vuota, nè ancora circa la rappresentata ingovernabilità della stessa società in ragione dei dissidi non componibili tra i due soci. Neppure l’Ufficio aveva replicato in merito alla questione della acquisizione di commesse per 10 milioni di Euro verificatasi a seguito della presentazione di garanzie e know how da parte del nuovo socio.

6. Con il sesto motivo – rubricato: “omessa pronuncia (illegittimità dell’avviso di accertamento per mancato rispetto nel caso di specie dell’onere motivazionale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 5) – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 100 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, reitera la doglianza fatta valere con il quinto motivo per il caso in cui il vizio di omessa pronuncia venga ritenuto rientrante tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7. Il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto mezzo di ricorso, che possono essere unitariamente scrutinati in quanto tutti volti a denunciare una omessa pronuncia, da parte del giudice d’appello, su specifici motivi di gravame mossi alla sentenza di primo grado, sono infondati.

7.1. Appare opportuno premettere che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. U, 24/07/2013, n. 17931), hanno chiarito che “l’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione delle ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, nè di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di altri testi normativi, comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui al citato art. 360″.

Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia, da parte della decisione impugnata, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate, non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purchè nel motivo si faccia riferimento, in modo inequivoco, alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va, invece, dichiarato inammissibile il motivo quando, in ordine alla predetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., sez. U, n. 17931/13, cit.; Cass., sez. 6-5, 15/05/2013, n. 11801; Cass., sez. 6-3, 16/03/2017, n. 6835).

Applicando i suddetti principi nella fattispecie in esame, deve ritenersi che anche il secondo, il quarto ed il sesto motivo in esame, dalla illustrazione dei quali emerge chiaramente che il ricorrente si duole, non dell’omesso esame di un fatto, principale o secondario, nè di una violazione di legge, quanto piuttosto della mancata pronuncia, da parte della Commissione regionale, su motivi contenuti nell’atto di appello, sono ammissibili, al di là dell’improprio riferimento dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nella rubrica n. 3, in ragione della sostanziale riconducibilità delle censure all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c..

7.2. Le doglianze fatte valere con i mezzi in esame si rivelano, tuttavia, infondate.

7.2.1. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., sez. 1, 13/10/2017, n. 24155; Cass., sez. 5, 6/12/2017, n. 29191; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718; Cass., sez. 6-1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 5, 2/04/2020, n. 7662).

7.2.2. Risulta evidente che, nella specie, il vizio di omessa pronuncia non ricorre, dal momento che la Commissione regionale, rigettando l’appello del contribuente e ritenendo sussistente l’intento elusivo nella operazione contestata, perchè finalizzata “ad aggirare obblighi previsti dall’ordinamento tributario ed ad ottenere riduzioni di imposta altrimenti indebite, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37-bis”, ha, implicitamente, disatteso e ritenuto infondate le eccezioni con le quali il contribuente prospettava la illegittimità dell’avviso di accertamento “per errata imputazione temporale del presunto maggior reddito”, “per insussistenza dei presupposti di diritto per l’applicazione dell’art. 37-bis” e “per mancato rispetto dell’onere di motivazione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, stesso art. 37-bis, comma 5”.

8. Con il settimo motivo si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la sentenza è viziata laddove ha rilevato che si è verificata una manovra elusiva, e ciò sia perchè l’Ufficio non ha ipotizzato che vi sia stato un accordo fraudolento tra il contribuente e la High Tech, sia perchè il contribuente non ha conseguito alcun vantaggio fiscale dall’operazione.

9. Con l’ottavo motivo il contribuente censura la sentenza impugnata per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, deducendo che la motivazione è assolutamente insufficiente a chiarire l’iter logico-giuridico che ha condotto i giudici di secondo grado a decidere la controversia.

Ad avviso del ricorrente, la motivazione si basa su tre elementi: a) una mera ripetizione degli avvenimenti relativi alle quote di Meta Costruzioni s.r.l.; b) la sussistenza di vantaggi fiscali ottenuti dall’originario cedente, con la non tassabilità della plusvalenza; c) la differenza tra il corrispettivo relativo alla prima cessione (dal ricorrente alla High Tech) e quello concernente la seconda (da High Tech a Idrica s.p.a.).

Essa non spiega, tuttavia, perchè il ricorrente avrebbe realizzato una plusvalenza tassabile, nè tanto meno perchè gli dovrebbe essere imputata una plusvalenza realizzata da un soggetto terzo; nega poi la sussistenza di valide ragioni economiche con riferimento alla cessione di quote di Meta Costruzioni s.r.l., non sulla base di caratteristiche intrinseche della transazione, ma per effetto di un mero raffronto tra il corrispettivo pagato con la prima cessione ed il prezzo applicato nelle successive cessioni delle quote, senza tenere conto delle giustificazioni addotte dai soci della Meta Costruzioni s.r.l. a giustificazione economica della operazione.

10. Il settimo e l’ottavo motivo, da esaminare congiuntamente perchè strettamente connessi, sono infondati.

10.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, si considerano aventi carattere abusivo e possono essere disconosciute dall’Amministrazione finanziaria quelle operazioni che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano poste in essere al principale scopo di ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo o prevedono esenzioni o agevolazioni, con la conseguenza che il carattere abusivo è escluso soltanto dalla presenza di valide ragioni extra fiscali (Cass., sez. 5, n. 1372 del 21 gennaio 2011).

Si è, infatti, ritenuta formata una clausola generale antielusiva, di matrice comunitaria per quanto attiene ai cd. tributi armonizzati, a partire dalla sentenza in causa C-255, Halifax, e, per le imposte dirette, di matrice costituzionale, traendo origine dall’art. 53 Cost., con conseguente obbligo di applicazione d’ufficio anche nel giudizio di legittimità.

10.2. Come già diffusamente illustrato da questa Corte (Cass., sez. 5, 16/03/2016, n. 5155), integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che – tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico – ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta.

10.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, proprio con riguardo alle imposte dirette, hanno affermato che “non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” (Cass. Sez. U, 23/12/2008, n. 30057; in tema di cessione di quote e fusione per incorporazione, Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390; Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 653).

Si è, altresì, precisato che “il divieto di abuso del diritto, il cui fondamento si rinviene nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, non contrasta con il canone della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali da essa non derivanti, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, e comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass., sez. 5, 19/02/2014, n. 3938).

10.4. In punto di onere della prova, questa Corte ha affermato che “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicchè il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” (Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4603; Cass., sez. 5, 19/02/2014, n. 3938; Cass., sez. 5, 28/02/2017, n. 5090; Cass., sez. 5, 23/11/2018, n. 30404).

Ciò comporta che spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perchè la forma giuridica impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa (Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390; Cass., sez. 5, 20/05/2016, n. 10458), mentre ricade sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.

Tale regime, che nell’ordinamento comunitario è imposto dal principio di proporzionalità (Corte Giust. 17 luglio 1997 in causa 28/95, A Leur Bloem), nel sistema nazionale costituisce diretta applicazione dei principi di libertà d’impresa e di iniziativa economica (art. 42 Cost.), oltre che del principio di piena tutela giurisdizionale del contribuente (art. 24 Cost.).

In sostanza, “il carattere abusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass. Sez. U, n. 30055 del 2008 e 30057 del 23/12/2008; Corte Giust. UE, nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quanto meno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dai contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass., sez. 5, 30/11/2012, n. 21390) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4604; Cass., sez. 5, 16/03/2016, n. 5155).

10.5. L’applicazione del principio impone, dunque, di trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa e quando si sia in presenza di ristrutturazioni societarie che avvengono nell’ambito di grandi gruppi di imprese, non potendo la strategia sul mercato dei gruppi di imprese essere valutata come quella dell’imprenditore singolo (Cass. n. 1372 del 2011, cit.).

10.6. Nell’intento di perseguire la pianificazione fiscale aggressiva, la Commissione Europea ha diramato agli Stati membri la Raccomandazione 2012/772/UE ad intervenire ogniqualvolta vi sia “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale” (montages articiels, artificial arrengement, mecanismo artificial nelle varie versioni linguistiche); a tal fine precisa che “Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro “sostanza economica”” (p. 4.2); “ai fini del punto 4.2, la finalità di una costruzione o di una serie di costruzioni artificiose consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili” (p. 4.5) e che “Ai fini del punto 4.2, una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (p. 4.6) (Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 438; Cass., sez. 5, 14(01/2015, n. 439, in motivazione).

10.7. Nella stessa direzione (v. ult. cit. p. 8.4) si è mosso anche il legislatore nazionale (L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5) che, nel delegare al Governo l’attuazione della disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, coordinandola con la citata raccomandazione dell’UE, indica tra i principi e i criteri direttivi quelli di: “definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta” (Cass. Sez. U, n. 30055 del 2008 e 30057 del 23/12/2008, cit.; Corte Giust. UE, 3M Italia); “garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale” (CGUE Part. Service); “considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva” (rectius “scopo essenziale”, Corte Giust. UE, Halifax e Part. Service).

Il carattere abusivo va, quindi, escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali (Cass., sez. 5, 4/04/2008, n. 8772; Cass., sez. 5, 21/04/2008, n. 10257), che non necessariamente si identificano in una redditività immediata dell’operazione (Cass., sez. 5, 30/11/2002, n. 21390,) ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente (Cass., sez. 5, n. 21/01/2011, n. 1372; Cass., sez. 5, 26/02/2014, n. 4604), per cui, in tema di prova, l’attenzione deve essere incentrata sulle modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonchè sulla loro mancata conformità a una normale logica di mercato (Cass., sez. 5, 21/01/2009, n. 1465; Cass., sez. 5, 24/07/2013, n. 17955).

10.8. All’attuazione di tali principi risponde anche l’art. 10-bis dello Statuto del contribuente – non applicabile catione temporis nel caso di specie (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5) – laddove stabilisce che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (comma 1) e che “si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali (…) b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”, precisando che “sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” (comma 2) e ribadendo che, ferma restando la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale (comma 4), “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3) (Cass., sez. 5, 16/03/2016, n. 5155; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 438 e n. 439, in motivazione; Cass., sez. 5, 23/11/2018, n. 30404; Cass., sez. 5, 5/12/2019, n. 31772, in motivazione).

10.9. In tale contesto, questa Corte ha, quindi, chiarito che, in materia tributaria, la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in un uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale (Cass., sez. 5, 26/08/2015, n. 17175).

Si è, pertanto, escluso che la astratta configurabilità di un vantaggio fiscale possa essere sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poichè è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25758).

11. Tanto premesso, la statuizione del giudice d’appello, seppure sintetica, si pone in linea con i superiori principi di diritto e non risulta assertiva ed insufficiente.

Invero, la Commissione regionale, prendendo le mosse dall’esame dell’intera operazione che, attraverso una serie di passaggi tra loro collegati, ha condotto al risultato finale, consistente nella cessione alla Idrica s.p.a. delle quote di partecipazione nella Meta Costruzioni s.r.l., originariamente detenute dall’odierno contribuente e dal coniuge N.M., ha ritenuto sussistente il disegno elusivo, considerata “la concentrazione nel breve tempo dei singoli negozi giuridici, l’interposizione di una società a fiscalità privilegiata, la “rinascita dalle ceneri” della Meta Costruzioni, i vantaggi fiscali ottenuti dall’originario cedente ( T.E.) medesimo, con la non tassabilità della plusvalenza prima e dopo con la deducibilità della minusvalenza generata nell’occasione della rivendita a terzi delle quote della Meta Costruzioni, riacquistate dalla “sua” società Idrica ad un valore molto più alto rispetto a quanto sarebbe stato possibile se la cessione fosse avvenuta direttamente con il ricorrente, con valutazione delle azioni al valore nominale”.

Con tali argomentazioni i giudici di appello hanno chiaramente palesato l’iter logico posto a base della decisione, riconoscendo l’elusività dell’operazione contestata, sostanzialmente volta ad ottenere due vantaggi fiscali: la sottrazione a tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione delle quote della Meta Costruzioni s.r.l. alla Idrica s.p.a., mediante l’interposizione di un soggetto, la High Tech, avente sede in Paese a fiscalità privilegiata, e la deducibilità dal reddito d’impresa della Idrica s.p.a. della minusvalenza generatasi per effetto della rivendita a terzi delle medesime partecipazioni sociali, precedentemente acquistate ad un prezzo più alto.

Hanno, quindi, escluso che il contribuente avesse fornito sufficienti prove in ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche sottese alla sequenza negoziale, considerato che la cessione delle quote avrebbe potuto essere realizzata mediante la cessione delle partecipazioni sociali dai due soci della Meta Costruzioni s.r.l. direttamente alla Idrica s.p.a., senza l’intervento della società lussemburghese, con una valutazione delle azioni al valore nominale, di gran lunga inferiore rispetto al valore molto più alto richiesto ed ottenuto dalla High Tech.

11.1. Va, quindi, esclusa la sussistenza del vizio di insufficiente motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo applicabile ratione temporis), che deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c., o anche fatto secondario (Cass., sez. 5, 13/12/2017, n. 29883).

Come più volte ribadito da questa Corte (Cass., sez. 5, 4/08/2017, n. 19547; Cass., sez. 5, 23/05/2018, n. 12676), la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi. Ne discende che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione o insufficienza della medesima, può dirsi sussistente solo quando il giudice di merito abbia mancato di esaminare o abbia esaminato in modo insufficiente un punto decisivo della controversia.

Nella specie, il ricorrente non ha individuato specificamente fatti storici decisivi il cui esame sarebbe stato insufficiente da parte della Commissione regionale, ma ha piuttosto riproposto gli stessi elementi fattuali, già tenuti presenti dal giudice di appello, al solo fine di ottenere una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata nella decisione impugnata.

11.2. Neppure la sentenza incorre nella denunziata violazione di legge, poichè, a fronte della contestazione di elusività dell’operazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, i giudici regionali hanno rilevato che l’operazione era unicamente volta ad un risparmio di imposta, in difetto di valide ragioni economiche, anche extrafiscali, rispondenti a mere finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, posto che l’intento indicato dal ricorrente a giustificazione dell’operazione (ossia la necessità di alienare le quote di Meta Costruzioni s.r.l. in ragione dello stato di difficoltà in cui la stessa versava a seguito della dismissione del ramo “gas” e del conseguente abbattimento del patrimonio netto, oltre che in ragione del deterioramento dei rapporti personali dei due soci) ben avrebbe potuto essere raggiunto mediante l’acquisizione, da parte di Idrica s.p.a., delle quote di Meta Costruzioni s.r.l. direttamente dal ricorrente e dall’altro socio, N.M..

12. Con il nono motivo il contribuente deducendo nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si duole che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sulla questione, proposta in via subordinata, concernente la corretta determinazione della plusvalenza allo stesso imputabile.

Nell’atto di appello aveva puntualizzato che l’Ufficio gli aveva attribuito il 50 per cento della plusvalenza complessiva (quantificata nell’atto impositivo in Euro 4.958.400,00), derivante dall’alienazione delle quote rappresentative dell’80 per cento del capitale sociale di Meta Costruzioni, senza considerare che egli aveva ceduto quote pari al 30 per cento, mentre il restante 50 per cento era stato venduto dall’altro socio N.M.. La quantificazione operata dall’Amministrazione comportava l’imputazione di una quota di plusvalenza superiore “percentualmente” alla partecipazione venduta.

13. Con il decimo motivo – rubricato “omessa pronuncia (corretta determinazione della presunta plusvalenza imputabile all’odierno ricorrente) – violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, e degli artt. 110 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – reitera la doglianza già esposta con il precedente motivo, per il caso che il vizio di omessa pronuncia venga ritenuto rientrante tra i motivi di impugnazione di cui al citato art. 360, n. 3.

14. Con l’undicesimo motivo, censurando la sentenza per “contraddittorietà del dispositivo ed impossibilità di comprendere la decisione in merito alla corretta determinazione della presunta plusvalenza imputabile”, evidenzia che sulle domande subordinate, con le quali chiedeva la corretta determinazione della presunta plusvalenza, la decisione impugnata nulla dice nè nella parte in “fatto”, nè in quella di “diritto”, anche se nel dispositivo così statuisce: “rigetta l’appello principale del contribuente e conferma gli importi accertati nell’atto impositivo a carico del T. con esclusione delle sanzioni”.

Il dispositivo, ad avviso del ricorrente, è contraddittorio dal momento che, da una parte, rigetta in toto l’appello principale e, dall’altra, accoglie la seconda domanda subordinata d’impugnazione, con la quale aveva richiesto che la plusvalenza imputabile venisse quantificata nella misura indicata nell’avviso di accertamento (Euro 2.479.200,00) e, conseguentemente, che l’imposta dovuta venisse determinata in misura pari a quella accertata (Euro 669.384,00).

15. Con il dodicesimo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 1, 81 e 82, lamenta che la decisione impugnata, qualora debba essere interpretata nel senso che abbia respinto il primo motivo di appello subordinato – con il quale si richiedeva che il maggior reddito imponibile venisse determinato sulla base delle quote direttamente cedute dal ricorrente e non in misura pari alla metà della maggiore plusvalenza complessiva accertata – è incorsa nella violazione della disposizione normativa indicata in rubrica.

16. Con il tredicesimo motivo, rubricato: vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. (corretta determinazione della plusvalenza imputabile all’odierno ricorrente) – nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce che, nel caso in cui l’interpretazione del dispositivo portasse a ritenere che la pretesa erariale è stata determinata in misura superiore a quella avanzata con l’atto impositivo, i giudici di appello sarebbero incorsi nel vizio denunciato.

17. Con il quattordicesimo motivo – rubricato: vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – ribadisce la doglianza fatta valere con il tredicesimo motivo per il caso in cui il vizio di extrapetizione dovesse ritenersi rientrante tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

18. Con il quindicesimo motivo, censurando la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (corretta determinazione della plusvalenza) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sostiene che la motivazione è assolutamente insufficiente a chiarire il punto decisivo della controversia, costituito dalla esatta determinazione della plusvalenza da assoggettare a tassazione e, dunque, del quantum della pretesa erariale.

19. Il nono ed il decimo motivo, da trattare congiuntamente perchè volti a dedurre la medesima censura, sono infondati, posto che la Commissione regionale, confermando, in dispositivo, la determinazione della plusvalenza imputata al ricorrente nell’atto impositivo, si è pronunciata sulle domande subordinate avanzate, respingendo la prima ed accogliendo la seconda.

20. Parimenti infondati sono il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo, in quanto il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass., sez. 3, 24/09/2015, n. 18868).

La Commissione regionale, confermando gli importi accertati nell’atto impositivo, ha pronunciato nei limiti della pretesa fiscale, cosicchè deve escludersi il vizio denunciato.

21. Merita, invece, accoglimento il dodicesimo motivo, con assorbimento dei restanti motivi.

Dalla sentenza impugnata risulta che l’odierno ricorrente, proprietario al 50 per cento, unitamente a N.M., delle quote di partecipazione nella società Meta Costruzioni s.r.l., ha ceduto soltanto il 30 per cento di tali quote, diversamente dall’altro socio, che ha invece ceduto il 50 per cento.

Con l’avviso di accertamento, come emerge da uno stralcio riportato a pag. 129 del ricorso per cassazione, l’Amministrazione finanziaria nel ripartire la plusvalenza complessivamente accertata ha così motivato: “la plusvalenza totale di Euro 4.958.400,00 viene divisa per due considerando le responsabilità ugualmente condivise in ordine alla violazione della normativa fiscale”.

La quantificazione della plusvalenza imputabile a ciascuno dei soci, operata dall’Amministrazione finanziaria, prima, e, successivamente, dalla decisione impugnata, non è corretta, poichè, non tenendo conto delle quote effettivamente cedute ed invocando una paritetica responsabilità dei due cedenti, attribuisce al contribuente una quota della complessiva plusvalenza accertata, pari al 50 per cento, superiore percentualmente alla partecipazione da questo venduta.

La sentenza, sul punto, va, pertanto, cassata.

22. Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo dedotto, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 5, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha dichiarato “inammissibile l’appello incidentale proposto dall’Ufficio in quanto spedito in data 29/11/2010, ossia oltre 60 gg. dalla notifica dell’appello principale, avvenuta in data 21/09/2010, giusta D.P.R. n. 546 del 1992, art. 54”.

Sostiene che, nel computo dei termini, i giudici di appello non hanno considerato che l’appello principale del contribuente era stato ricevuto dall’Ufficio in data 29 settembre 2010 e che, pertanto, solo da tale data decorreva il termine di 60 gg. per la proposizione dell’appello incidentale. La data di ricevimento si evinceva dal protocollo in entrata dell’atto presso l’Agenzia delle entrate e la diversa data del 21 settembre 2010, presa in considerazione dai giudici di appello, era apposta sul timbro tondo riconducibile all’Ufficio postale di (OMISSIS) e corrispondeva alla data in cui l’atto era pervenuto dall’Ufficio di spedizione (Milano) a quello di destinazione ((OMISSIS)).

Essendo pacifica la proposizione dell’appello incidentale in data 29 novembre 2010, doveva dichiararsi la sua tempestività (considerato che il sessantesimo giorno, 28 novembre 2010, cadeva di domenica).

22.1. Il motivo è infondato.

22.2. A norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, “le parti diverse dall’appellante debbono costituirsi nei modi e nei termini di cui all’art. 23, depositando apposito atto di controdeduzioni. Nello stesso atto depositato nei modi e termini di cui al precedente comma può essere proposto, a pena di inammissibilità, appello incidentale”.

L’art. 23 stabilisce che “L’ufficio del Ministero delle finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale…”.

Nel caso di specie, la notificazione è stata pacificamente effettuata a mezzo servizio postale, per cui essa deve intendersi perfezionata per il notificante al momento della consegna del plico e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ne ha avuto legale conoscenza.

22.3. Occorre a tal riguardo ribadire che, sebbene negli invii a firma – tra cui, ai sensi delle disposizioni regolanti il servizio postale universale, da ultimo dettate dalla Delib. della AGCOM n. 385/13 CONS del 20 giugno 2013, che sul punto ha confermato le pregresse disposizioni del D.M. 9 aprile 2001, n. 95, e del D.M. 1 ottobre 2008, n. 33894, sono ricompresi gli “invii raccomandati” (art. 21, comma 1) – identificati dal D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, art. 1, comma 2, lett. i), nel “servizio che consiste nel garantire forfettariamente contro i rischi di smarrimento, furto o danneggiamento e che fornisce al mittente una prova dell’avvenuto deposito dell’invio postale e, a sua richiesta, della consegna al destinatario” – per i quali il mittente richieda il servizio accessorio dell’avviso di ricevimento – ovvero della “ricevuta che, compilata dal mittente all’atto della spedizione e firmata dal destinatario all’atto della consegna, viene recapitata al mittente ai fini della conferma dell’avvenuta consegna” (del citato D.Lgs., art. 5, comma 1, lett. a)) – il destinatario “deve sottoscrivere anche l’avviso”, onde è la sola sottoscrizione di esso che attesta con fede privilegiata discendente dalla qualifica di incaricato di pubblico servizio che riveste l’agente postale nell’occasione, l’avvenuta consegna, va, tuttavia, rilevato, nel caso degli invii multipli diretti allo stesso destinatario, che “la prova della consegna è fornita dall’addetto al recapito” (citato D.Lgs., art. 21, comma 2, D.M. n. 33894 del 2008, art. 20, comma 3; D.M. n. 95 del 2001, art. 33, comma 2), e ciò, in particolare, come precisa il citato art. 21, nei casi nei quali la “sottoscrizione di ciascun avviso di ricevimento contestualmente alla consegna risulti eccessivamente onerosa” (Cass., sez. 6-1, 9/04/2018, n. 8643; Cass., sez. 6-1, 13/09/2019, n. 22934).

22.4. Premesso ciò, nel caso di specie non è ravvisabile l’errore addebitato alla Commissione tributaria regionale, in quanto l’esame dell’avviso di ricevimento dell’atto di appello, riportato nel controricorso in omaggio al principio di autosufficienza, consente di rilevare che nella specie ricorre l’ipotesi degli invii multipli, avendo l’agente postale provveduto a dare conto della circostanza mediante le annotazioni riportate dall’avviso di ricevimento (“Poste Italiane Consegnato ai sensi del D.M. 9 aprile 2001, art. 33, l’op. postale Russo Invii multipli ad un unico destinatario”) e mediante l’apposizione di tre timbri a secco, uno dei quali recante la data dell’adempimento di consegna, sul quale si legge “(OMISSIS)”.

Ne discende che, dovendo farsi decorrere da tale ultima data, in ragione della fede privilegiata attribuita dall’attestazione operata dall’agente postale, il termine di 60 giorni per la proposizione dell’appello incidentale, correttamente la Commissione tributaria regionale ha ritenuto non tempestiva l’impugnazione perchè proposta solo in data 29 novembre 2010.

Del tutto ininfluente risulta, d’altro canto, la data del 29 settembre 2010 in cui l’Agenzia delle entrate ha proceduto a protocollare l’atto di appello notificato dalla parte contribuente.

Il registro di protocollo di un pubblico ufficio, nel quale vengono annotate in ordine cronologico le corrispondenze in arrivo ed in partenza, costituisce atto pubblico di rilevanza esterna e fa fede fino a querela di falso, in quanto destinato a provare la data dell’annotazione e la successione nel tempo delle ricezioni e delle spedizioni, così consentendo di desumere l’esistenza a quella data del documento ricevuto o spedito (Cass., sez. U, 12/11/1999, n. 759).

Va, tuttavia, rilevato che l’avviso di ricevimento non ammette surrogati, con la conseguenza che, al fine di comprovare la data di perfezionamento del procedimento notificatorio con la ricezione dell’atto da parte del destinatario, si deve avere riguardo soltanto al timbro postale recato dall’avviso di accertamento, non potendo la data di consegna indicata sul protocollo dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate fare fede della consegna reale.

23. In conclusione, va accolto il dodicesimo motivo del ricorso principale, con assorbimento dell’undicesimo e del quindicesimo motivo e vanno rigettati i restanti motivi del ricorso principale; va, altresì, rigettato il ricorso incidentale. La sentenza deve quindi essere cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il dodicesimo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti l’undicesimo ed il quindicesimo motivo; rigetta i restanti motivi del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021

 

 

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