Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20729 del 04/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/09/2017, (ud. 27/04/2017, dep.04/09/2017),  n. 20729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26320-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7546/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/10/2010 R.G.N. 2984/2007.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza pubblicata il 27.10.10 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame di Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza con cui il Tribunale capitolino aveva dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro stipulato (per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio, 17 aprile 2002 congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo”) fra detta società e F.F. per il periodo 7.5.02 – 30.6.02, per l’effetto ripristinando il rapporto e condannando la società al risarcimento del danno;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a quattro motivi;

che l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4, comma 2, dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 1362 e ss. e 1325 e ss. c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto de quo per mancanza di specificità della clausola giustificatrice.

che il secondo motivo prospetta violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, artt. 115,116,244 e 253 c.p.c., e art. 421 c.p.c., comma 2, perchè il medesimo errore di interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 denunciato nel primo motivo è stato alla base dell’inversione dell’onere della prova posta in essere dalla Corte territoriale e dell’illegittimo rigetto dell’istanza di prova testimoniale formulata dalla società per dimostrare la fondatezza della causale apposta al contratto per cui è causa;

che analoga censura viene sostanzialmente fatta valere con il terzo motivo sotto forma di vizio di motivazione;

che il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,2094,2099 e 2697 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia non ha affermato che alla lavoratrice spettano le retribuzioni solo a decorrere dal momento dell’effettiva ripresa del servizio;

che nel corpo dello stesso motivo la ricorrente aggiunge la richiesta di applicare quanto meno lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che – ritiene il Collegio – i primi tre motivi risultano inammissibili in quanto fuori centro rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, che ha dichiarato la clausola di apposizione del termine nulla non soltanto perchè la sua formulazione non consente di individuare il nesso causale tra l’assunzione dell’odierno controricorrente e le concrete esigenze aziendali (fra quelle dedotte nella clausola medesima), ma anche per mancanza di prova di quel processo di trasformazione e riorganizzazione che la società allega essere stato all’origine dell’assunzione a tempo determinato per cui è causa, senza però chiedere di fornire prova in tal senso; che in tal modo la Corte territoriale non ha affatto invertito l’onere probatorio, che incombe pur sempre sul datore di lavoro;

che il quarto motivo è fondato nella parte in cui invoca l’applicazione dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, (il che assorbe ogni ulteriore censura in esso contenuta), dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può riguardare anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), atteso che il ricorso per cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio in giudicato da escludersi al momento del ricorso per cassazione, essendo ancora sub iudice la questione relativa alla validità del termine);

che, in conclusione, accolto nei sensi di cui sopra il quarto e ultimo motivo e rigettati i primi tre, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa dell’illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

 

accoglie l’ultimo motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta le restanti censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2017

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