Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20727 del 14/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/10/2016, (ud. 16/09/2016, dep. 14/10/2016), n.20727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9447/2016 proposto da:

Avv. S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE,

rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente

p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEA PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ape legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4446/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, emessa in data 01/12/2014 e depositata il 05/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., datata 1.6.16 e regolarmente notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza 15 marzo 2015, a 4446, di questa Corte suprema di Cassazione, del seguente letterale tenore:

“p. 1. – S.S. ricorre, affidandosi ad almeno cinque motivi e con atto notificato il 5.4.16 (il completamento della valutazione della cui regolarità si riserva peraltro al Collegio), per la revocazione della sentenza di questa Corte Suprema in epigrafe indicata, con cui è stato rigettato il suo ricorso avverso il decreto della corte di appello di Perugia, in proc. n. 3269/13 r.g., di rigetto del reclamo contro la declaratoria di inammissibilità della sua azione dispiegata nei confronti dello Stato italiano ai sensi della L. 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2 e segg., conseguente all’adozione di vari provvedimenti giudiziari, assunti dalla Procura della Repubblica, dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Roma, nonchè dalla Corte di cassazione, relativi ad un procedimento penale che aveva visto lo Stare imputato del reato di cui all’art. 342 c.p..

L’intimato Stato italiano non svolge attività difensiva in questa sede.

p. 2. – Del ricorso principale pare doversi rilevare l’inammissibilità, così proponendosene la relativa declaratoria all’esito della trattazione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380-bis e 391-bis c.p.c..

p. 3. – Alla disamina del ricorso va premesso che:

p. 3.1. in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio di legittimità e tale da aver indotto la stessa Corte di cassazione a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26022; Cass., ord. 12 dicembre 2012, n. 22868; Cass. 9 dicembre 2013, n. 27451);

p. 3.2. la configurabilità dell’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà obiettiva ed effettiva (quale documentata in atti) induce, rispettivamente, ad escludere od affermare, così che il fatto in questione sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonchè posto a fondamento dell’argomentazione logico-giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità (Cass., ord. 15 luglio 2009, n. 16447; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1383); e così dall’ambito della revocazione resta esclusa quindi qualunque erroneità della valutazione di fatti storici o della loro rilevanza ai fini della decisione;

p. 3.3. a maggior ragione, anche una risposta al motivo di doglianza ritenuta insoddisfacente o incompleta è di per sè idonea ad escludere un errore revocatorio, come tradizionalmente inteso e come ribadito anche in questa sede: a tutto concedere, costituendo un ordinario effetto del sistema che la decisione giudiziale, che dimostri di avere percepito i motivi di doglianza per averne illustrato il contenuto, possa – per definizione – risultare insoddisfacente per una delle due parti litiganti;

p. 3.4. ancora, non potendosi snaturare l’ambito dell’istituto stesso della revocazione nè trasformarlo inammissibilmente in un improprio ulteriore grado di giudizio sulla stessa controversia già definita, è indispensabile che l’errore revocatorio cada su di un fatto materiale: e per di più, quando oggetto della revocazione siano i provvedimenti di questa Corte, di un fatto materiale interno al giudizio di legittimità ed afferente ai suoi stessi atti;

p. 3.5. in definitiva, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso, ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass., ord. 12 maggio 2011, n. 10466; Cass. 31 marzo 2011, n. 7488) e quindi un’attività valutativa e non percettiva;

p. 3.6. infine (tra le ultime, v. Cass., ord. 5 novembre 2014, n. 23525, ovvero Cass., ord. 21 gennaio 2015, n. 929), anche la revocazione avverso le sentenze di questa Corte è inammissibile qualora il prospettato errore di fatto attenga ad una sola di plurime rationes decidendi (Cass. 3 settembre 2005, n. 17745; Cass., ord. 30 dicembre 2011, n. 30436; Cass., ord. 7 maggio 2012, n. 6856; Cass., ord. 25 marzo 2013, n. 7413).

p. 4. – Ora, l’odierno ricorrente:

– col primo motivo di revocazione (pag. 3 del ricorso), lamenta avere la gravata sentenza ignorato l’avvenuta abrogazione della L. n. 117 del 1988, art. 5: ma si tratta, con tutta evidenza, di censura inammissibile, prima che infondata, visto che involge una questione di diritto e non certo di fatto, ma soprattutto si riferisce a norma che, recata da legge pubblicata sulla G.U. n. 52 del 4.3.15, sarebbe entrata in vigore solo il 19.3.15 e quindi in tempo successivo alla pubblicazione della sentenza qui gravata, che non avrebbe quindi potuto tener conto di una legge non ancora in vigore;

– col secondo motivo di revocazione (pag. 4 del ricorso), si duole della mancata presa in esame della tesi sull’illegittimità del c.d. meccanismo di filtro di ammissibilità: ma anche in questo caso si tratta di questione di diritto e, comunque, infondata, per l’ampiezza della motivazione comunque resa sul punto, anche con richiami a precedenti e non rilevando l’unilaterale critica di autoreferenzialità o di carenza di pregio giuridico (censure che non integrerebbero giammai un motivo di revocazione, alla stregua del diritto processuale vigente) mossa dall’odierno ricorrente, dalla qui gravata sentenza alle pagine 12 e seguenti;

– col terzo motivo di revocazione (pag. 6 e seguenti del ricorso) il ricorrente variamente censura la gravata sentenza per avere omesso di tener conto o di confutare le deduzioni del primo e del secondo motivo di ricorso originario: ma nemmeno i principi del giusto processo impongono mai al giudice un’analitica risposta a ciascuno degli argomenti della parte, esigendola solo per quelli essenziali, cosa che nella specie si è avuta, sol che si legga la motivazione resa dalla qui gravata sentenza, complessiva e rivolta alla carenza di specifiche osservazioni, reputate insufficienti a scardinare la motivazione del provvedimento impugnato; ciò che integra una valutazione di diritto su questione oggetto di discussione tra le parti e quindi non un errore di percezione, solo rilevante ai fini del n. 4 dell’art. 395 c.p.c.;

– col quarto motivo di revocazione (piè di pag. 9 e seguenti del ricorso) il ricorrente si duole di mancata o errata lettura degli atti di causa, identificati in “C. Cost.”, ovvero di travisamento dei fatti, in ordine alla reiezione del terzo e del quinto motivo: ma la motivazione resa dalla qui gravata sentenza è con tutta evidenza in punto di diritto, per di più ampia ed articolata e relativa anche alla complessiva interpretazione di altre sentenze o dati normativi o perfino di elementi istruttori e comunque resi oggetto di discussione tra le parti; sicchè va escluso in radice l’errore di percezione che il ricorrente vorrebbe configurato nella fattispecie;

– col quinto motivo di revocazione (pag. 17 e seguenti del ricorso) il ricorrente si duole ancora una volta di mancata o errata lettura degli atti di causa, identificati in “C. Cost.”, con travisamento dei fatti: ma anche a questo riguardo – similmente a quanto già argomentato in ordine al motivo precedente – vanno ribadite le considerazioni in base alle quali escludere in radice e in tesi la stessa configurabilità dell’errore di fatto rilevante ai fini dell’art. 395 c.p.c., n. 4, visto che il ricorrente ripropone le argomentazioni svolte a sostegno della lettura e della qualificazione degli atti del processo oggetto della causa di responsabilità, i quali ultimi erano stati quindi presi appunto in adeguata, quand’anche in alcune circostanze necessariamente complessiva, considerazione.

p. 5. – La sostanziale rinnovazione dell’esame dell’originario ricorso, invocata sotto il profilo dell’erroneità delle valutazioni e considerazioni di questa Corte e nella quale si risolve l’odierno ricorso per revocazione, è – conclusivamente – in radice preclusa dal sistema processuale vigente, rispondendo la non ulteriore impugnabilità delle sentenze della Corte di cassazione, nei casi diversi da quelli soli ed eccezionali espressamente previsti e qui non ricorrenti, ad esigenze di tutela del diritto di difesa anche delle controparti, parimenti in linea con l’art. 6 della Convenzione EDU e con la normativa eurounitaria o sovranazionale in tema di giusto processo (in tali espressi termini, v. Cass., ord. 29 aprile 2016, n. 8472, ove ulteriori richiami).

p. 6. – Del ricorso non può quindi che proporsi al Collegio la declaratoria di inammissibilità”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.- Va preliminarmente rilevato, in emenda di quanto in contrario asserito in esordio dalla relazione, che l’Avvocatura Generale, addotta la notifica del ricorso in data 5.4.16, ha depositato un controricorso in data 25.5.16, ma spedito per la notifica lunedì 16.5.16, con cui ha contestato sia l’ammissibilità della dispiegata revocazione, perchè ciascuno dei motivi involgeva una valutazione o un errore di giudizio, ovvero comportava una doglianza di violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, se del caso previa deduzione di erronea considerazione o interpretazione dell’oggetto del ricorso, sia la fondatezza dei motivi, il primo dei quali basato su di una norma non ancora entrata in vigore al momento della decisione, mentre gli altri riguardavano questioni già ampiamente ed esaustivamente trattate nella qui gravata sentenza.

3.- Non sono state presentate conclusioni scritte, nè le parti hanno depositato memoria o sono comparse in Camera di consiglio per essere ascoltate, ma il ricorrente ha fatto tenere istanza di rinvio per concomitante impedimento professionale dinanzi ad altro giudice.

4.- La richiesta di rinvio non può essere accolta: infatti, l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., deve fare espresso riferimento – offrendo idonei elementi di riscontro sul punto – all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza (Cass. Sez. Un., ord. 26 marzo 2012, n. 4773; con riferimento alla facoltà di sostituzione ora confermata dall’art. 9, comma 2, legge 31 dicembre 2012, n. 247, v. pure: Cass., ord. 17 ottobre 2014, n. 22094; Cass. 7 giugno 2015, n. 9245; Cass. 14 marzo 2016, n. 4906; Cass. 11 agosto 2016, n. 16960); e, nella specie, manca ogni espresso riferimento a tale impossibilità di sostituzione.

5.- A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere integralmente i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione – con la sola precisazione in ordine all’avvenuta notifica di controricorso ad opera dell’intimata Presidenza del Consiglio – e di doverne fare proprie, senza riserve, le conclusioni, avverso le quali del resto nessuna delle parti ha ritualmente mosso alcuna critica osservazione.

6.- Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità.

7.- Non può, infine, trovare applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, non essendo stata qualificata, all’atto della sua iscrizione a ruolo, soggetta al contributo unificato la presente controversia e non potendo quindi spettare alcuna ulteriore somma a tale titolo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controparte, in persona del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito ed oltre maggiorazione per spese generali ed accessori nella misura prevista dalla legge;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2016

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