Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20722 del 04/9/2017

Cassazione civile, sez. I, 04/09/2017, (ud. 05/04/2017, dep.04/09/2017),  n. 20722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 4405/2013 proposto da:

B.M., B.C., B.A., B.G.,

S.M., D.F.G., elettivamente domiciliati in Roma, via

degli Scipioni n. 268/A, presso l’avvocato Mandrà Lidia,

rappresentati e difesi dall’avvocato Baldassini Rocco giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Sant’Agata dè Goti, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie n. 4, presso

lo l’avvocato Martinelli Simona, rappresentato e difeso

dall’avvocato Cavuoto Pellegrino giusta prOcura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.M., B.C., B.A., B.G.,

S.M. e D.F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3868/2011 della Corte di appello di Napoli,

depositata il 20 dicembre 2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

aprile 2017 dal Cons. Dott. MUCCI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale ZENO

Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine,

il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale, il rigetto dei

motivi primo e secondo del ricorso principale e il rigetto del

secondo motivo del ricorso incidentale;

udito, per i ricorrenti, l’avv. BALDASSINI ROCCO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto dell’incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’avv.

CAVUOTO PELLEGRINO, che ha chiesto il rigetto del ricorso principale

e l’accoglimento dell’incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.M., B.C. e B.A. (comproprietari di un fondo, distinto al foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), oggetto di espropriazione parziale per mq. 15.484), B.G. (fittavolo conduttore del predetto fondo), S.M. (comproprietario di un fondo, distinto al foglio (OMISSIS), partt. (OMISSIS), oggetto di espropriazione parziale per mq. 9.500) e D.F.G. (fittavolo conduttore del predetto fondo) convenivano innanzi alla Corte di appello di Napoli il Comune di Sant’Agata dei Goti proponendo opposizione alla stima dell’indennità definitiva di espropriazione. Deducevano che l’indennità doveva essere calcolata sulla base del valore venale dei fondi, aventi natura edificatoria, che i terreni erano stati espropriati in vista dell’ampliamento delle aree per gli insediamenti produttivi e che la più recente stima della commissione provinciale espropri relativa ad altro terreno compreso nella medesima zona D2 (insediamenti produttivi) e posto nelle immediate vicinanze ne aveva determinato il valore medio in Euro 100,00 al mq. Chiedevano pertanto, tra l’altro, la determinazione della giusta indennità di espropriazione e il riconoscimento dell’indennità aggiuntiva per i fittavoli.

La Corte di appello di Napoli, per quel che rileva nella presente sede, determinava, previa c.t.u., l’indennità di espropriazione in favore di B.M., B.C. e B.A. in Euro 464.520,00, e in favore di S.M. in Euro 259.893,00; riteneva di non applicare la riduzione del 25 per cento del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ex art. 37, comma 1; rigettava le domande dei fittavoli B.G. e D.F.G. relative all’indennità aggiuntiva in quanto sfornite di prova. La Corte motivava la stima sulla base della natura edificabile dei fondi alla luce della variante al piano regolatore generale approvata nel 2002, che aveva comportato la destinazione dei terreni in zona D2 (zona omogenea di nuovi impianti industriali), variante da qualificarsi come intervento di ampliamento delle aree di insediamenti produttivi (p.i.p.) inserentesi in un processo di sistemazione dell’intero ambito territoriale e da ritenersi vincolo conformativo, di cui tenere conto ai fini indennitari. Quanto alla valutazione dei fondi, la Corte accoglieva le conclusioni della c.t.u. per un valore di Euro 300,00 al mq. ottenuto mediante l’applicazione del metodo sintetico-comparativo fondato su una serie di rilevazioni e con adeguamento dei valori al momento dell’espropriazione.

Avverso detta pronuncia gli espropriati e i fittavoli propongono ricorso affidato a due motivi, cui replica il Comune di Sant’Agata dei Goti con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi. I ricorrenti principali hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve esaminarsi, per ragioni di priorità logica, il primo motivo di ricorso incidentale. Con esso il Comune di Sant’Agata dè Goti deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, contestando la destinazione edificatoria dei terreni ablati ritenuta dalla Corte di appello: la motivazione della sentenza impugnata, “sul piano teorico corretta” (p. 13 del controricorso), non avrebbe considerato che alla base della variante di p.r.g. vi sarebbe l’accordo di programma finalizzato all’espropriazione per la conseguente realizzazione dell’opera pubblica, accordo che non costituirebbe, secondo il Comune, intervento coerente con una zonizzazione del territorio avente valenza conformativa, bensì l’attuazione di un vincolo già preordinato all’esproprio, irrilevante ai fini della valutazione della natura e del valore dell’area per la determinazione delle dovute indennità; stante la pregressa inclusione dei terreni ablati in zona E8 (zona agricola semplice zona di protezione del paesaggio agricolo di fondovalle), l’accordo di programma avrebbe modificato la zonizzazione al solo fine di realizzare l’opera pubblica con apposizione del correlato vincolo espropriativo.

Il motivo deve essere disatteso poichè in parte infondato e in parte inammissibile.

I terreni in questione risultano ricompresi in zona D2 (zona omogenea di nuovi impianti industriali e artigianali), nonchè in zona di valorizzazione degli insediamenti rurali infrastrutturali, alla luce della variante di p.r.g. approvata, con il predetto accordo di programma, in data anteriore al decreto di esproprio, variante che ha comportato l’ampliamento delle aree di insediamenti produttivi.

Orbene, non può che darsi continuità al principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’inclusione di un’area in un piano per insediamenti industriali (p.i.p.) ne implica l’acquisizione della prerogativa di edificabilità, non diversamente dall’inserimento in un piano di zona per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.), anche ove l’originaria zonizzazione del p.r.g. ne comportasse la qualificazione come suolo agricolo: infatti, l’acquisto del carattere di edificabilità avviene in virtù della variante introdotta dal piano attuativo, che in tale parte va considerato strumento programmatorio e conformativo (da ultimo, Sez. 1, 9 febbraio 2017, n. 3459; Sez. 1, 6 settembre 2006, n. 19128); nei medesimi sensi Sez. 1, 15 luglio 2011, n. 15658: ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, ai terreni inseriti nella zona territoriale omogenea D (parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali, commerciali o ad essi assimilati), di cui al D.M. 2 aprile 1968, art. 2, emanato in attuazione della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, si applica il regime di edificabilità legale.

Mette conto inoltre notare che il precedente di legittimità invocato dal Comune (Sez. 1, 8 novembre 2012, n. 19349) non è in termini, poichè concernente una fattispecie di intesa tra Stato e Regione ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 81, comma 3, per l’ampliamento della linea ferroviaria che, in variante al p.r.g., ha comportato la destinazione di alcune aree urbane a zone di rispetto ferroviario.

Ciò posto, la Corte di appello – contrariamente a quanto dedotto dal Comune – ha considerato l’incidenza della variante di cui all’accordo di programma concludendo motivatamente per la sua valenza conformativa in ragione sia dell’ampiezza dell’area interessata dalla variante, sia del carattere di razionalizzazione degli insediamenti produttivi proprio dell’intervento, sia, infine, dell’intervenuta classificazione – da parte dello stesso Comune della zona nella tabella dei valori dei suoli ai fini dell’applicazione dell’I.C.I. Ciò correttamente applicando consolidati principi affermati da questa Corte in tema di ricognizione della qualità edificatoria delle aree ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio: tale ricognizione, infatti “deve tener conto dei vincoli conformativi, che, in quanto non correlati alla vicenda ablatoria, ma connaturati alla proprietà in sè, contribuiscono a fondare i caratteri del suolo ai fini valutativi, e tale scopo il carattere conformativo dei vincoli di piano non discende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici (nella specie il piano regolatore), ma dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi, in particolare configurandosi tale carattere ove tali vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un’opera pubblica; di contro, se il vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, il vincolo che la stessa contiene deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione con conseguente sua ininfluenza agli effetti indennitari” (Sez. 1, 7 febbraio 2006, n. 2612; Sez. 1, 25 settembre 2015, n. 19072).

Ma proprio con riferimento alla valenza conformativa della variante introdotta con l’accordo di programma la censura risulta inammissibile, atteso che essa non attacca i relativi specifici passi della motivazione della sentenza impugnata, sopra sinteticamente riepilogati, ma si limita a postulare il carattere della variante meramente attuativo di un vincolo già preordinato all’esproprio in modo affatto assiomatico ed altresì carente sotto il profilo dell’autosufficienza del motivo, non essendo riportato il testo dell’accordo di programma, nè quello degli altri atti amministrativi richiamati dal Comune.

Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento ai criteri di stima adottati dal c.t.u. e recepiti dalla Corte di appello, riferiti al mero valore minimo del rapporto tra il valore del terreno e quello del fabbricato, nonchè al valore unitario dei terreni edificabili inferiore a quello minimo indicato dall’osservatorio del mercato immobiliare; si contesta altresì la mancata considerazione dei dati coevi al momento dell’espropriazione (stima della commissione provinciale espropri riferita a un terreno vicino a quelli oggetto del procedimento espropriativo; valori indicati dal menzionato osservatorio), nonchè la preferenza per il criterio sintetico-comparativo.

La censura è infondata, avendo la Corte di appello analiticamente motivato in ordine a tutti i suddetti profili, tenendo altresì conto dei rilievi critici sollevati dal c.t.p. alla luce delle integrazioni fornite a tale specifico riguardo dal c.t.u. In sintesi, la Corte di appello ha considerato l’ubicazione dei terreni ablati e gli elementi di valutazione rilevanti ai fini della stima (applicazione dell’I.C.I. sulle aree fabbricabili per la zona D2 e relativi valori di riferimento forniti dall’Agenzia delle entrate; valore unitario comprensoriale dell’area p.i.p. stimato dalla commissione provinciale ai fini della determinazione dell’indennità definitiva di esproprio; atti di compravendita di terreni ricadenti nella medesima area; criteri di adeguamento dei valori alla data del decreto di esproprio; valori espressi dall’osservatorio del mercato immobiliare, peraltro non riferibili alle aree destinate ad attività industriale), così dando esaustivo conto del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

La valutazione dei terreni operata dalla Corte di appello risponde ai requisiti di omogeneità degli elementi materiali (quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica del bene e simili) e della condizione giuridica richiesti per la corretta valutazione alla stregua dell’indicato metodo di stima sintetico-comparativo, con motivato riscontro della rappresentatività dei dati utilizzati, senza che assuma rilievo la fonte da cui i valori sono tratti (Sez. 1, 21 febbraio 2014, n. 4187; Sez. 1, 16 marzo 2012, n. 4210); ogni altra censura svolta dai ricorrenti conduce, in definitiva, ad un non consentito riesame nel merito delle valutazioni operate dalla Corte di appello.

Per quanto poi riguarda la scelta del metodo sintetico-comparativo, è sufficiente ribadire il principio secondo cui in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili, la determinazione del valore del fondo può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività (Sez. 6-1, 31 marzo 2016, n. 6243).

Con il secondo motivo di ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42, nonchè vizio di motivazione circa il mancato riconoscimento dell’indennità aggiuntiva per il coltivatore diretto, poichè la Corte di appello non avrebbe considerato i documenti (contratto di fitto non registrato, certificato di iscrizione S.C.A.U., dichiarazioni aziendali di conduzione di impresa diretto-coltivatrice, denuncia cumulativa di affitto di fondo rustico, certificato INPS) comprovanti l’attività diretto-coltivatrice allegati dai ricorrenti B.G. e D.F.G..

Il motivo non merita favorevole apprezzamento con riferimento ad entrambi i profili di doglianza. Posto che l’erogazione concreta dell’indennità aggiuntiva in favore dei fittavoli, mezzadri e coloni è condizionata dalla utilizzazione diretta agraria del terreno, ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare avviene con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia, nonchè dall’esistenza di uno dei rapporti agrari tipici, la cui prova deve essere fornita da chi da esso intenda trarre conseguenze favorevoli, atteso il disposto dell’art. 2697 c.c. (Sez. 1, 26 marzo 2012, n. 4784), la documentazione richiamata dai ricorrenti non soddisfa il detto requisito della prova dell’effettività della coltivazione dei terreni espropriati, almeno un anno prima della dichiarazione di pubblica utilità, da parte dei predetti B.G. e D.F.G., requisito richiesto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42, comma 2 e correttamente richiamato nella sentenza impugnata. Invero, gli elementi documentali offerti dai ricorrenti costituiscono al più elementi presuntivi, di cui parte ricorrente non propone una lettura complessiva e coordinata, ancorata al citato dato normativo, limitandosi in sostanza a contrapporre il proprio convincimento a quello del giudice risultato difforme da quello auspicato, ciò che ridonda in una non consentita sollecitazione al riesame nel merito dell’apprezzamento della Corte di appello (tra le tante, Sez. 5, 28 novembre 2014, n. 25332; Sez. 1, 30 marzo 2007, n. 7972).

Parimenti infondato è il residuo motivo di ricorso incidentale, con il quale il Comune si duole della mancata riduzione dell’indennità nella misura del 25 per cento, da riconoscersi del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 1, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale.

E’ sufficiente richiamare, non sussistendo valide ragioni per discostarsene, l’indirizzo di legittimità secondo cui l’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25 per cento del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, deve riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca (da ultimo, Sez. 1, 28 gennaio 2016, n. 1621; Sez. 1, 23 febbraio 2012, n. 2774). La Corte di appello ha correttamente applicato tale principio.

In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti; esito che giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

PQM

 

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale compensando le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2017

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