Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2072 del 30/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2072 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 11666-2008 proposto da:
D’ANIELLO LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZALE CLODIO 61, presso lo studio dell’avvocato
MAFFEY CATERINA, rappresentata e difesa dall’avvocato
GAUDIOSI SONIA giusta delega in atti;
– ricorrente contro

MASSARO CRISTINA, elettivamente domiciliata in ROMA,
LARGO DI TORRE ARGENTINA,11, presso lo studio
dell’avvocato MARTELLA DARIO, rappresentata e difesa
dall’avvocato SORRENTINO UGO giuta delega in atti;

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Data pubblicazione: 30/01/2014

MONVISO FINANCE S.R.L. titolare del credito in forza
di cessioni da parte della ABN AMRO BANK N.V.,piena e
legittima titolare di portafoglio di crediti a sua
volta acquistati da SANPAOLO IMI S.P.A., SANPAOLO
BANCA NAPOLI S.P.A. e CASSA RISPARMIO BOLOGNA S.P.A.

in persona del suo procuratore Dott. GIORGOI FEDOCCI,
elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DI TORRE
ARGENTINA,11, presso lo studio dell’avvocato MARTELLA
DARIO, rappresentata e difesa dall’avvocato
SORRENTINO UGO giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

D’ANIELLO ROSA, DE

INTESA GESTIONE CRED S.P.A.
ROGATIS

GERARDO,

FRADELLA

GIUSEPPE,

ESPOSITO

SALVATORE, ETR S.P.A. ORLANDO GIOVANNI, CARMANDO
GENNARO, FAIELLA RAFFAELE, DE ROGATIS FILIPPO, DE
ROGATIS DOMENICO, DE ROGATIS MARIA ALFONSITE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 958/2007 del TRIBUNALE di
SALERNO, depositata il 17/04/2007 R.G.N. 223/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso

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e per essa la FBS S.P.A. in qualita’ di mandataria,

3

Svolgimento del processo

Nella procedura esecutiva immobiliare n. 253/86 RGE Lucia
D’Aniello propose opposizione

ex art. 617 c.p.c. avverso il

provvedimento reso dal Giudice dell’esecuzione in data 16
ottobre 2003, non comunicato, con cui era stata rigettata

prezzo di aggiudicazione del bene rispetto al valore di
mercato.
Si costituirono l’Intesa Gestione Crediti s.p.a., il San
Paolo Banco di Napoli s.p.a. nonché Cristina Massaro in
qualità di aggiudicataria provvisoria, concludendo per la
declaratoria di inammissibilità dell’opposizione ed in ogni
caso per il rigetto della stessa perché infondata.
Il Giudice dichiarò inammissibile l’opposizione.
Propone ricorso per cassazione Lucia D’Aniello con tre
motivi.
Resistono con controricorso la Monviso Finance s.r.l. e
Cristina Massaro.
Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia «Violazione
e falsa applicazione degli artt. 490, 569, 570, 756, 555
c.p.c. in relazione all’art. 2826 c.c. e 587 c.p.c. (art. 360
n. 3 c.p.c.) nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.).»
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l’istanza di sospensione della vendita per ingiustizia del

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
« Dica la Suprema Corte se, attesa la sussistenza degli errori
e delle omissioni riscontrate nel(l’ultimo) bando di vendita
(e, cioè, erronea descrizione dell’immobile sia riguardo al
numero dei vani che alla loro consistenza, mancata indicazione

gravi da fuorviare l’interesse dei potenziali acquirenti
falsando la procedura esecutiva nel suo momento più delicato
ed importante (la vendita del bene) e se ciò comporti la
nullità del bando stesso e dell’aggiudicazione per violazione
delle disposizioni, di cui agli artt. 490, 555, 570, 576,
c.p.c. in relazione all’art. 2826 c.c., norme che richiedono
che gli avvisi di vendita contengano “tutti i dati che possono
interessare il pubblico” (art. 490 c.p.c.) e l’indicazione
degli estremi previsti dall’art. 555 c.p.c, il quale richiede
che siano indicati esattamente (gli immobili) con gli estremi
richiesti dal codice civile per l’individuazione
dell’immobile, cioè “l’indicazione della natura !!! e dei dati
di identificazione catastale” (art. 2826 c.c.). Si ritiene
pertanto, ricorra l’ipotesi di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Dica, inoltre, la Suprema Corte se, per denunciare vizi
propri del bando di vendita

(rectius

della pubblicità), il

termine di decorrenza per l’opposizione, di cui all’art. 617
c.p.c. debba decorrere dall’asserita conoscenza dell’atto
stesso da parte dell’interessato, secondo i principi più volte
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della rendita catastale) essi possano essere considerati tanto

enunciati da Codesta Suprema Corte. Della violazione di tali
principi la ricorrente lamenta la violazione (art. 360 n. 3)
da parte del Tribunale, che ha ritenuto, invece, che i vizi in
questione dovessero essere dedotti mediante opposizione da
proporsi entro 5 giorni dall’ordinanza che dispone la vendita.

avverso il bando di vendita, contenente gravi errori ed
omissioni, in quanto non è stata proposta dopo 5 giorni
dall’ordinanza di vendita. Orbene, la motivazione risulta
“lotu oculi”

contraddittoria ed illogica, in quanto, come è

evidente, il bando è stato pubblicato ben oltre i 5 giorni
dall’ordinanza di vendita e soltanto dopo la pubblicazione
l’interessato è in grado di avvedersi di eventuali vizi propri
di esso. L’opposizione, pertanto, era ammissibile. Sotto tale
profilo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5.
Il Tribunale ha ritenuto inammissibile

(rectius

infondata) l’opposizione relativa all’asserita ingiustizia del
prezzo di aggiudicazione

ex

art. 586 c.p.c. facendo

riferimento soltanto alla, differenza tra il prezzo base di E
82.633,10 (e quindi assolutamente ridicolo, tenuto conto del
mercato immobiliare salernitano) ed il prezzo di aggiudica di
E 222.000,00. Orbene tale motivazione è insufficiente ed
erronea, nonché assunta in violazione di legge, in quanto, per
valutare l’esatta applicazione dell’art. 586 c.p.c. occorre
fare riferimento al prezzo di aggiudica in sé, che non deve
6

Il Tribunale ha ritenuto inammissibile l’opposizione

essere di gran lunga inferiore al prezzo di mercato. Dica,
pertanto, l’on. Corte se si può ritenere sussistente la
violazione dell’art. 586 c.p.c. (prezzo dell’aggiudicazione
notevolmente inferiore a quello giusto), nell’ipotesi in cui
la sentenza ritenga che il giusto prezzo di aggiudicazione

prezzo a base d’asta e quello di aggiudica.
Il

Tribunale

ha

ritenuto

inammissibile

(rectius

infondata) l’opposizione relativa all’asserita ingiustizia del
prezzo di aggiudicazione

ex

art. 586 c.p.c. argomentando e

facendo perno sulla asserita inanità di precedenti tentativi
di vendita e sull’effettuato ricorso a forme di pubblicità
adeguate e potenzialmente idonee a rendere conoscibili a terzi
interessati la messa in vendita del bene pignorato. Da ciò
deduce che il prezzo di stima del bene, pari a 348 milioni di
lire sulla base di una perizia risalente al 1997 e che il
Tribunale (assurdamente) ritiene pari al valore di mercato
anche nel 2003, era eccessivamente alto e giustamente doveva
essere ridotto (ad E 82.633,10) per gli incanti successivi. Il
ragionamento del Tribunale si basa su presupposti erronei ed è
quindi inidoneo a sorreggere la motivazione. Infatti, vi sono
state, in ben 17 anni, solo due vendite, andate deserte (una
il 5/5/1994 e l’altra il 23/10/1997) e la pubblicità non è
stata affatto adeguata, in quanto affetta da evidenti errori
ed omissioni. Non va trascurato che l’errore contenuto nel
7

debba essere determinato sulla base della differenza tra

bando di vendita

in assenza di descrizioni

incluse

nell’ordinanza di vendita si ripercuote nel decreto di
trasferimento che, a norma dell’art 586, deve ripetere la
descrizione dell’immobile, contenuta nell’ordinanza di
vendita. Si ritiene pertanto, ricorra l’ipotesi di cui

Con il secondo motivo si denuncia «Violazione e falsa
applicazione degli artt. 567, 587 e 630 c.p.c (art. 360 n. 3.
c.p.c), nonché insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art.
360 n. 5 c.p.c.).»
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:
«Dica, quindi, la Suprema Corte se la mancata presentazione
della prescritta documentazione indicata dall’art. 567 c.p.c.
sia rilevabile d’ufficio e, pertanto, in qualunque stato e
grado del giudizio e se, per tale motivo, detto vizio della
procedura esecutiva andava rilevato dalla parte interessata
nel termine, di cui all’art. 617 c.p.c. ovvero, attesa la
rilevabilità di ufficio, una volta segnalata l’omissione, dal
Giudice. Atteso che il Tribunale ha ritenuto inammissibile
l’opposizione sul punto per tardività, si ritiene vi sia stata
una violazione e falsa applicazione degli artt. 567 e 630
c.p.c. (art. 360 n. 3. c.p.c.).
Il Tribunale ha ritenuto che l’opposizione fosse
inammissibile, perché presentata oltre il termine di 5 giorni
8

all’art. 360 n. 5 c.p.c.»

dalla prima ordinanza di vendita del 15/12/1988

(cioè

anteriore alla emanazione della nuova legge). Ci si chiede,
però, come si poteva far valere, specie con riferimento alla
nuova e diversa documentazione richiesta dall’art. 567 c.p.c.
riformato, una normativa entrata in vigore nove anni dopo !

idonea a giustificare la decisione.
Il Tribunale, inoltre, ritiene inapplicabile l’art. 567
c.p.c. novellato al caso in esame perché l’istanza di vendita
era stata già avanzata il 26/6/1986 e l’ordinanza relativa era
stata resa il 15/12/88. Si eccepisce innanzitutto che, vi sono
state varie istanze di vendita (l’ultima delle quali avanzata
1’1/4/2003) in seguito all’entrata in vigore della legge n.
302/1998, alle quali sono seguite ordinanze di vendita del
g.e. e che, in particolare, l’incanto successivo alla
decadenza dell’aggiudicatario è da considerarsi a tutti gli
effetti “nuovo” e debbono essere rinnovate tutte le formalità
(art. 587 c.p.c). Quando venne richiesta per l’ultima volta la
vendita, era quindi in vigore l’art. 567 c.p.c. nella
formulazione novellata dalla L 302/98 ed era tale nuova
disciplina che andava applicata, secondo il principio
regit actis”

“tempus

che regola le norme processuali. L’obbligo di

produrre i documenti prescritti è collegato dalla legge
all’istanza di vendita (ed ogni volta che essa si ripropone)
presentata dal creditore richiedente e non “alla
9

Per tale verso la motivazione appare insufficiente a rendere

determinazione del G.E della modalità della vendita” che è un
posterius.

Intervenuta la legge 3 Agosto 1998 n. 302 e succ.

modif., ogni istanza di vendita successiva alla entrata in
vigore di tale disposizione, che era assistita da termini per
l’adempimento in relazione alle esecuzioni già in corso,

richiesta, essendo, in mancanza, comminata l’estinzione del
processo esecutivo con l’inefficacia del pignoramento e di
tutti gli atti successivi, da dichiararsi sia ad istanza di
parte sia di ufficio. Alla luce di quanto esposto la
motivazione del Tribunale appare irragionevole, insufficiente
e contraddittoria e, comunque, inidonea a giustificare la
decisione, pertanto, si impugna ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c.»
I motivi sono inammissibili in quanto i quesiti non
corrispondono al paradigma normativo di cui all’art. 366 bis
c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis.
I due quesiti sono infatti privi del requisito della
sintesi logico-giuridica e si limitano a ripercorrere le
censure già esposte nello svolgimento del motivo, senza
sintetizzare la regula iuris di cui si chiede l’affermazione
da parte di questa corte.
Con il terzo motivo di ricorso (attinente all’opposizione
all’esecuzione) la ricorrente lamenta «Violazione e falsa
applicazione dell’art 112 c.p.c., dell’art. 1283 c.c. e della
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doveva necessariamente essere corredata dalla documentazione

L 108/96 (art. 360 n. 3 c.p.c), nonché insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.).»
Sostiene Lucia D’Aniello che il Tribunale ha errato nel
ritenere inammissibile la sua contestazione relativa
dei

crediti

azionati,

per

genericità

e

indeterminatezza delle doglianze formulate nell’atto
introduttivo e nelle memorie, mentre soltanto nella comparsa
conclusionale avrebbe richiamato a titolo esemplificativo il
credito dell’Intesa Gestione Crediti.
La D’Aniello chiede quindi a questa Corte di accertare se
il mancato rilievo d’ufficio della presenza di somme
scaturenti dall’illegittima applicazione di clausole nulle
costituisca o meno una violazione di legge.
Ad avviso della ricorrente l’impugnata sentenza ha
altresì errato nell’affermare che lei si è limitata a
censurare, senza darne prova e dimostrazione, i crediti
azionati nella procedura esecutiva immobiliare e che non
poteva chiedere l’accertamento peritale per sottrarsi
all’onere probatorio cui era tenuta.
.

Il motivo è infondato, per quanto vada in parte corretta
la motivazione della sentenza a norma dell’art. 384 c.p.c..
Infatti la nullità delle clausole che prevedono un tasso
d’interesse usurario è rilevabile anche di ufficio, non
integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì
11

all’entità

una mera difesa, che può essere proposta anche in appello,
nonché formulata in comparsa conclusionale, sempre che sia
fondata su elementi già acquisiti al giudizio (Cass.,
9/01/2013, n. 350).
Egualmente a norma dell’art. 1283 cod. civ. – il quale,

sugli interessi scaduti, salvo che per il periodo successivo
alla proposizione della domanda giudiziale o in forza di
accordo successivo alla scadenza – le clausole che prevedono
una capitalizzazione degli interessi sono affette da nullità
per contrasto con norme imperative, la quale è rilevabile
d’ufficio, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ., sia nel giudizio
di appello che in quello di legittimità, ove il suo
accertamento non implichi l’acquisizione di ulteriori elementi
di fatto (Cass. 22/03/2011, n. 6518).
Quindi è errato in diritto l’assunto della sentenza
impugnata secondo cui, il giudice dell’opposizione
all’esecuzione può rilevare la nullità delle clausole che
prevedono interessi usurari o anatocistici solo in presenza di
un’espressa domanda, non essendo sufficiente che l’opponente
contesti l’entità del credito posto in esecuzione.
Tuttavia

il rilievo d’ufficio non si estende alla

ricerca d’ufficio degli elementi di prova di tali interessi
anatocistici o usurari.

12

in mancanza di usi contrari, fissa il divieto di interessi

Nella fattispecie il giudice di merito ha ritenuto che
l’opponente non avesse fornito alcuna prova in merito e che la
sola richiesta di una consulenza contabile non poteva esentare
la parte opponente dall’onere della prova.
Tale assunto è corretto.

Consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova
in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice
nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di
questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne
consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere
utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova
di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la
parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie
allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una
indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o
circostanze non provati (Cass., 8/02/2011, n. 3130).
La censura contenuta nel ricorso, secondo cui erano in
atti dichiarazioni confessorie delle banche in tema di
clausole attinenti a interessi usurari o anatocistici, è
inammissibile per difetto di autosufficienza.
Infatti, ove si denunci l’insufficiente motivazione della
sentenza impugnata per l’asserita mancata o errata valutazione
di risultanze processuali (un documento, deposizioni
testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t.,
13

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte la

ecc.), è necessario, al fine di consentire al giudice di
legittimità il controllo della decisività della risultanza non
valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente
precisi – ove occorra, mediante integrale trascrizione della
medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce

che, per il principio di autosufficienza del ricorso per
Cassazione, il controllo deve essere consentito alla corte di
cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto,
alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini
integrative (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n.
1170).
Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere
rigettato.
Esistono giusti motivi, a norma dell’art. 92 c.p.c.
nell’originaria sua formulazione, e segnatamente la necessità
della correzione della motivazione in diritto della sentenza
impugnata, per compensare tra le parti le spese di questo
giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio
di cassazione.
Roma, 4 dicembre 2013

decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato

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