Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2072 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/01/2017, (ud. 08/11/2016, dep.27/01/2017),  n. 2072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24993-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SAIMA AVANDERO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA giusta delega in calce;

– controricorrente –

e contro

CICLI F.M. SRL;

– intimato –

Nonchè da:

CICLI F.M. SRL in persona del Liquidatore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA LUIGI LUCIANI 42 – STUDIO SALUSTRI E

ASSOCIATI – presso lo studio dell’avvocato LORENZA ROBERTA LEONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GREGORIO LEONE giusta delega a

margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

SAIMA AVANDERO SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 120/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

VERONA, depositata il 10/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale;

uditi per i controricorrenti gli Avvocati LUCISANO e LEONE GREGORIO

che hanno chiesto il rigetto del ricorso principale, accoglimento

ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 3^ motivo

del ricorso principale, assorbiti i motivi 1^ e 2^, rigetto ricorso

incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, con la sentenza n.120/15/11, depositata il 10.10.2011 e non notificata, confermava la decisione di primo grado che aveva accolto, previa riunione, le impugnazioni separatamente proposte dalle società Cicli F.M. SRL e Saima Avandero SPA avverso l’avviso di rettifica di accertamento doganale n. 36406/2008, emesso dall’Agenzia delle dogane.

La rettifica aveva riguardato l’importazione di telai per biciclette di origine cinese in merito alla quale la Agenzia aveva escluso la sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’esenzione dal dazio antidumping prevista dall’art. 14 del Reg. CE n.88/97 – avendo riscontrato che la merce non era stata sottoposta al controllo di destinazione particolare e non era stata accompagnata dalla preventiva autorizzazione dell’Ufficio doganale territorialmente competente – ed aveva provveduto al recupero.

2. Il giudice di appello, pur ritenendo condivisibili e corrette in via generale le ragioni della ripresa alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 29.07.2010, in causa C-371/09, aveva escluso tuttavia che ne ricorressero i presupposti facendo applicazione del disposto dell’art.220 del Codice doganale comunitario.

Aveva affermato che la mancata contabilizzazione dei dazi era dipesa da un errore dell’autorità doganale che non poteva essere ragionevolmente scoperto dal debitore, che aveva agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla specifica normativa; che tale errore non era conseguito ad una omissione dell’autorità doganale, ma ad una vera e propria attività amministrativa che aveva avallato la prassi interpretativa risultata erronea, secondo la quale l’esenzione daziaria era applicabile per il solo fatto che l’importazione riguardava un quantitativo di merce inferiore a trecento pezzi mensili, anche in mancanza della dichiarazione di destinazione particolare.

3. L’Agenzia delle dogane ricorre per cassazione su tre motivi nei confronti della società Cicli F.M. SRL in liquidazione e della società Saima Avandero SPA; la prima replica con controricorso e propone ricorso incidentale fondato su un unico motivo al quale risponde l’Ufficio con controricorso; la seconda propone controricorso corredato da memoria ex art. 382 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente giova ricordare che la ripresa doganale mediante recupero a posteriori, è stata fondata sulla circostanza che la contribuente e la Saima, che aveva presentato la merce in dogana (parti di bicicletta – telai e forcelle – provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese), avevano illegittimamente fruito del trattamento daziario favorevole previsto dal Regolamento (CE) n. 88/97 della Commissione del 20 gennaio 1997, relativo all’autorizzazione all’esenzione delle importazioni di alcune parti di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese dall’estensione, in forza del regolamento (CE) n. 71/97 del Consiglio, del dazio antidumping imposto dal regolamento (CEE) n. 2474/93, (pubb. su Gazzetta ufficiale n. L 017 del 21/01/1997 pag. 0017 – 0027), esenzione prevista per l’importazione in quantitativi inferiori a trecento unità al mese: l’illegittimità della fruizione dipendeva dal fatto che l’importazione era avvenuta senza che le parti private fossero in possesso dell’autorizzazione alla destinazione particolare rilasciata dalla Dogana competente, come previsto dall’art.14 del Reg. cit.

1.2. L’art. 14 cit., intitolato “Esenzione subordinata al controllo della destinazione particolare”, prevede infatti, nel testo vigente ratione temporis “Le importazioni di parti essenziali di biciclette dichiarate per l’immissione in libera pratica da un soggetto che non sia esentato, a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento di riferimento sono esentate dall’applicazione del dazio esteso se sono dichiarate in conformità della struttura Taric di cui all’allegato 3^ e delle condizioni di cui all’art. 82 del Regolamento (CEE) n. 2913/92 e agli artt. da 291 a 304 del Regolamento (CEE) n. 2454/93 che si applicano in quanto compatibili nei casi seguenti: a) consegna di parti essenziali di biciclette ad una parte esentata a norma degli artt. 7 o 12, b) consegna di parti essenziali di biciclette ad un altro titolare di un’autorizzazione in conformità dell’art. 291 del Regolamento (CEE) n.2454/93, oppure c) dichiarazione, su base mensile, di un quantitativo inferiore alle 300 unità per tipo di parti essenziali di biciclette per l’immissione in libera pratica da una parte o sia ad essa consegnato. Il numero di parti essenziali di biciclette dichiarate da una parte, oppure consegnate ad una parte qualsiasi, viene calcolato con riferimento al numero di parti di biciclette dichiarate o consegnate a tutte le parti associate o legate da accordi di compensazione con detta parte.”.

Nello specifico caso, circostanza non in contestazione, le dichiarazioni doganali erano state presentate senza essere accompagnate dalla dichiarazione di destinazione particolare, al cui controllo era normativamente subordinata l’esenzione.

1.3. Sul contenuto normativo e sull’efficacia operativa dell’art. 14 cit. si è registrata la recente pronuncia della Corte di giustizia che, nella causa C-371/09, ha affermato: “L’art. 212 bis del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700, non consente di concedere l’esenzione dai dazi antidumping ad un importatore che non possieda l’autorizzazione preventiva per beneficiare di un’esenzione da tali dazi in base all’art. 14, lett. c), del regolamento n. 88/97.” e ciò, quindi, anche quando l’importazione riguardi un quantitativo di merce al di sotto della soglia massima ivi prevista.

Tale pronuncia è richiamata e condivisa nella sentenza impugnata, anche se, all’esito del ragionamento sviluppato, non ne viene fatta applicazione.

1.4. Si deve ora passare all’esame dei motivi del ricorso principale proposto dall’Agenzia delle dogane e del ricorso incidentale proposto dalla società Cicli F.M. SRL.

2.1. Primo motivo del ricorso principale – Si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della domanda concernente l’applicazione dell’art. 220, comma 2, lett. b) del Reg. (CEE) n. 2913/1992, sollevata dall’Ufficio con l’atto di appello, deducendo che, nel caso in esame, l’art. 220 cit. non poteva applicarsi in quanto disciplina le ipotesi in cui il credito tributario doganale, non ancora iscritto nell’apposita contabilità riservata alle risorse proprie della Unione Europea, non doveva più essere registrato e, quindi, riscosso; nel caso in esame, invece, il credito era già stato iscritto nella contabilità separata ed era stato già comunicato al debitore con la notifica dell’avviso di accertamento impugnato per cui questi avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 236 CDC, avanzare una richiesta di sgravio in via pregiudiziale all’Autorità doganale per poi ricorrere al giudice tributario: poichè ciò non era avvenuto il ricorso al giudice tributario era da ritenersi – a detta dell’Agenzia – inammissibile.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. Osserva la Corte che la questione di inammissibilità del ricorso in via giurisdizionale, posta dall’Agenzia contestando la applicabilità della procedura ex art. 220 cit., attiene a profili processuali connessi alla previsione di una pregiudiziale amministrativa ai sensi dell’art. 236 cit., di guisa che, anche in questo caso, trova applicazione il principio secondo il quale in sede di impugnazione, non rileva nè l’omessa pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, nè l’omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame (Cass. n. 13425/2016). Ne consegue che, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità (15843/2015), impugnazione che, tuttavia, nel caso in esame non ricorre.

2.4. Tanto premesso, si deve osservare che il motivo risulta anche infondato giacchè, avendo il giudice del merito accolto le richieste in relazione alle quali era stata formulata l’eccezione di inammissibilità, giammai potrebbe configurarsi un vizio di omessa pronuncia, dovendo considerarsi implicita la reiezione di quella eccezione (Cass. n. 17956/2015).

3.1. Secondo motivo del ricorso principale – Si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, valutazione e disamina da parte della CTR del motivo concernente il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado laddove aveva applicato l’art. 220 CDC anche nei confronti della Saima, nonostante questa – a dire dell’Agenzia – non ne avesse invocato l’applicazione nel proprio ricorso.

3.2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto è prospettato, in ordine ai motivi di ricorso originariamente svolti dalla Saima, con una evidente carenza di autosufficienza che, in assenza di una adeguata trascrizione degli atti interessati, non consente a questa Corte di sottoporlo al necessario vaglio di fondatezza e decisività.

3.3. Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato – come nel caso in esame un error in procedendo, presuppone, comunque, che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. n.19410/2015, 11738/2016).

4.1.1. Terzo motivo del ricorso principale – Si denuncia la violazione falsa applicazione dell’art.220 CDC (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver la CTR erroneamente ritenuto applicabile tale disposizione, in assenza dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per ritenere legittimo l’affidamento del contribuente. sulla considerazione che la mancata contabilizzazione dei dazi era dipesa “da un errore dell’autorità doganale che non poteva essere ragionevolmente scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa relativamente alla dichiarazione in dogana” (fol. 5 della sent. imp.), errore concernente la convinzione che per godere dell’esenzione era sufficiente solo che l’importazione non superasse i trecento pezzi.

4.1.2. Il terzo motivo è fondato e va accolto.

4.2.1. L’art. 220, n. 2 codice doganale così dispone: “Eccetto i casi di cui all’art. 217, par. 1, commi 2 e 3, non si procede alla contabilizzazione a posteriori quando: (…) b) l’importo dei dazi legalmente dovuto non è stato contabilizzato per un errore dell’autorità doganale, che non poteva ragionevolmente essere scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in vigore riguardo alla dichiarazione in dogana; (…)”.

4.3.1. Innanzi tutto va ricordato che, con consolidato principio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che, secondo l’art. 220, n. 2, lett. b) codice doganale, le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse, inoltre, che l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (v., per analogia, sentenze 12 luglio 1989, causa 161/88, Binder, punti 15 e 16; 14 maggio 1996, cause riunite C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., punto 83; ordinanze 9 dicembre 1999, causa C-299/98 P, CPL Imperial 2 e Unifrigo/Commissione, punto 22; 11 ottobre 2001, causa C-30/00, William Hinton & Sons, punti 68, 69, 71 e 72; 18 ottobre 2007, causa C-173/06, Agrover, punto 30). Allorchè detti requisiti sono soddisfatti, il debitore ha diritto a che non si proceda al recupero (sentenza 27 giugno 1991, causa C-348/89, Mecanarte, punto 12).

4.3.2. La Corte di Giustizia ha, quindi, precisato che per quanto riguarda il primo dei requisiti menzionati, occorre ricordare che l’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale ha l’obiettivo di tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza dell’insieme degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi doganali. Il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista in tale articolo solo se sono state le autorità competenti “medesime” a porre in essere i presupposti sui quali riposa il legittimo affidamento del debitore. Così, solo gli errori imputabili ad un comportamento attivo delle autorità competenti danno diritto al non recupero dei dazi doganali (v., per analogia, sentenza Mecanarte, cit., punti 19 e 23, sentenza Agrover, cit., punto 31).

4.3.3. E’ stato, inoltre, chiarito che la nozione di errore non può essere limitata ai semplici errori di calcolo o di trascrizione, ma comprende qualsiasi tipo di errore che vizi la decisione adottata, come avviene, in particolare, nel caso di una scorretta interpretazione o applicazione delle disposizioni applicabili (sentenza Mecanarte, cit.).

4.3.4. Quanto al secondo dei requisiti in parola, la rilevabilità di un errore commesso dalle autorità doganali competenti deve essere valutata tenendo conto della natura dell’errore, dell’esperienza professionale degli operatori interessati e della diligenza di cui questi ultimi hanno dato prova. La natura dell’errore è correlata alla complessità ovvero alla sufficiente semplicità della normativa di cui trattasi e al lasso di tempo durante il quale le autorità hanno perseverato nel loro errore (sentenza 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood/Commissione, punti 47 e 48 e giurisprudenza ivi citata, sentenza Agrover, cit., punto 32).

4.3.5. Per quanto riguarda il terzo requisito, il dichiarante deve fornire alle competenti autorità doganali tutte le informazioni necessarie previste dalle norme comunitarie e da quelle nazionali che, se del caso, le integrano o le recepiscono tenuto conto del trattamento doganale richiesto per la merce considerata (sentenza Faroe Seafood e a., cit., punto 108, sentenza Agrover, cit., punto 33).

4.3.5. In merito alla ricorrenza dei diversi requisiti, la Commissione Europea ha precisato (cfr. in atti ufficiali REM 03/07 del 3 novembre 2008) che “in assenza di un errore delle autorità competenti, non occorre verificare se le altre condizioni di cui all’art. 220, par. 2, lett. b) del regolamento (CEE) n. 2913/92 sono soddisfatte”, ciò a conferma che, in caso di errore dell’autorità, la parte si può avvalere dell’esimente solo quando ricorrano anche tutti gli altri requisiti.

4.4.1. Questi principi comunitari hanno trovato piena conferma nella giurisprudenza di questa Corte.

4.4.2. E’ stato ribadito in maniera costante che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore richiesto dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 de11992 (Codice doganale comunitario) ai fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori” dei dazi, può essere invocato solo se l’errore dell’autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede, il quale deve anche aver rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore in relazione alla sua dichiarazione in dogana, sicchè quando l’errore dell’Amministrazione sia consistito nella mera ricezione delle dichiarazioni inesatte dell’esportatore, tale buona fede non sussiste e il debitore è tenuto a sopportare il rischio derivante dalle irregolarità che si rivelino in occasione di un successivo controllo (tra le altre, Cass. n. 13770/2016).

4.4.3. E’ stato anche precisato, con riferimento all’errore dell’Autorità ai fini dell’esonero, che non è tuttavia sufficiente un comportamento incolpevole dell’operatore, ma occorre accertare se esso sia imputabile ad un errore delle autorità competenti, il quale può dipendere anche da un’erronea interpretazione della normativa doganale applicabile, e deve tradursi in un comportamento attivo delle stesse autorità, non potendo consistere in un comportamento meramente passivo, a meno che esse non si siano astenute dal formulare qualsiasi obiezione, malgrado il numero e l’importanza delle operazioni compiute dal debitore (Cass. n. 13065/2006).

4.4.4. Quanto all’onere della prova della ricorrenza della buona fede, la cui valutazione compete al giudice del merito, è principio indiscusso che ricada sul soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova di tutti i presupposti necessari perchè resti impedito il recupero daziario, prima ricordati (tra le altre Cass. n. 7702/2013).

4.4.5. Inoltre è stato confermato che la mancanza anche di uno solo dei citati presupposti, basta ad escludere il diritto del debitore a non vedersi assoggettato al dazio (Cass. SU n. 18190/2008, Cass. n. 13680/2009; n. 7837/2010, in motivazione, n. 4022/2012, n. 7702/2013).

4.5.1. Nel caso in esame la CTR, alla quale spettava di applicare la norma e valutare, in funzione dell’insieme degli elementi concreti della controversia ad esso sottoposta, e in particolare delle prove fornite a tal fine dalla ricorrente società e dalla Amministrazione, se era stato soddisfatto ognuno dei requisiti necessari per avere diritto a che non si procedesse al recupero dei dazi all’importazione, ai sensi dell’art. 220 cit. CDC, del codice doganale, non ha dato corretta applicazione a questi principi.

4.5.2. La CTR ha affermato “la mancata contabilizzazione dei dazi è dipesa da un errore dell’autorità doganale che non poteva essere ragionevolmente scoperto dal debitore avendo questi agito in buona fede e rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa relativamente alla dichiarazione in dogana” (fol. 4/5 della sent. impugnata), senza tuttavia procedere alla effettiva e compiuta verifica di tutti i requisiti, così come richiesto dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale prima richiamata.

In particolare ha ritenuto poter ravvisare un errore attivo della Amministrazione sulla scorta dei seguenti elementi: 1) la circostanza che il regolamento istitutivo dell’esenzione del sovra dazio era del 1997 e che fino all’ottobre del 2008 non erano stati richiesti chiarimenti dalle Dogane, desumendone che prima nessuna obiezione era stata mossa per il fatto che l’importatore si fosse avvalso di tale esenzione sulla scorta del solo quantitativo di merce non superiore a trecento pezzi: 2) la circostanza che a seguito di una richiesta di chiarimenti della Dogana di Vicenza, del 20.10.2008, l’Agenzia delle dogane si era espressa per una interpretazione restrittiva che richiedeva la contestuale dichiarazione a destinazione particolare; 3) la circostanza che nelle note del 6 novembre 2008 e del 5 dicembre 2008 dell’Agenzia delle dogane di Venezia si esplicitava che nel triennio precedente molto frequenti erano state le importazioni di biciclette senza pagamento del sovra dazio solo in ragione del numero dei pezzi e si chiedeva di conoscere l’orientamento dell’Area Tributi per poter applicare la disposizione comunitaria in tutto il territorio nazionale; 4) la circostanza che numerose pronunce giurisdizionali di varie parti di Italia avevano affrontato la medesima questione con decisioni alterne, desumendo da ciò che la Dogana aveva inteso costantemente interpretare nel senso della sufficienza del solo numero dei pezzi.

Sulla scorta di tali elementi ha concluso che la mancata contabilizzazione del dazio era dipesa “da un comportamento attivo della Amministrazione che per lungo tempo ha assunto una prassi alla quale si sono conformati i contribuenti che non avevano possibilità di comprendere l’erroneità della interpretazione fino a quel momento data dalla Agenzia delle entrate” (fol. 7 della sent. imp.).

4.5.3. Ha rimarcato, quindi, che la norma poteva essere interpretata in modo ambiguo, come avvalorato dal contrasto giurisprudenziale e che l’ambiguità del dato normativo costituiva ulteriore elemento dal quale desumere la buona fede del contribuente e l’impossibilità conseguente di percepire l’errore interpretativo della norma ed ha concluso che “una costante prassi interpretativa costituisce ragione sufficiente per adeguarsi ad essa, perfino quando dubbi potrebbero legittimamente sorgere sulla base della lettura della norma” (fol. 7/8 della sent. imp.).

4.5.4. Ha quindi affermato, in maniera apodittica, la ricorrenza del requisito del rispetto delle pratiche di dichiarazione doganale da parte del contribuente.

4.5.3. La conclusione raggiunta dalla CTR non risulta conforme a diritto.

Invero la Commissione territoriale ha desunto l’errore attivo dell’Amministrazione, secondo la sua ricostruzione, da ripetute difformità operative, da richieste di chiarimenti rivolti all’Autorità centrale e da un contrasto giurisprudenziale, oltre che da una ritenuta ambiguità della normativa sostanziale relativa all’esenzione dal dazio antidumping: orbene, tale elementi privi di univocità, lungi dal comprovare la ricorrenza dell’errore attivo – alla stregua dei parametri normativi e giurisprudenziali prima ricordati – e dall’avallare la sussistenza di un affidamento in buona fede del contribuente, stante i contrasti interpretativi e di prassi emergenti, avrebbero dovuto indurre la CTR ad una maggiore attenzione ed a un approfondimento delle emergenze fattuali, considerando anche che in presenza di dubbi interpretativi ed operativi la parte avrebbe potuto richiedere all’Amministrazione una informazione tariffaria vincolante, piuttosto che optare per la procedura errata prescelta.

La CTR, inoltre, non ha tenuto conto di quanto denunciato in appello dall’Agenzia circa la impossibilità per il sistema informatico dell’Ufficio, all’epoca dei fatti, di rilevare la mancata indicazione dell’autorizzazione a destinazione particolare nella dichiarazione di importazione resa dalla parte, circostanza che assume particolare rilievo al fine di valutare la ricorrenza di un errore attivo, cioè di un errore che non sia stato semplicemente indotto nell’Amministrazione inconsapevole proprio dal comportamento del dichiarante in dogana.

La CTR ha sostenuto inoltre, in modo meramente apodittico, che l’importatore aveva osservato tutte le disposizioni previste dalla regolamentazione vigente per la sua dichiarazione, nonostante fosse stato proprio questi a presentare le dichiarazioni doganali non accompagnate dalla dichiarazione di destinazione particolare.

4.5.6. L’accoglimento della censura sul punto e l’obbligo di applicare il diritto comunitario prima ricordato, come interpretato dalla Corte di Giustizia e dalla Cassazione, sia in tema di esenzione dal dazio antidumping, sia in tema di esenzione dal recupero a posteriori, comportano la cassazione della sentenza, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in altra composizione, affinchè ne dia corretta applicazione, sulla scorta di una ricostruzione del quadro fattuale completa in relazione agli elementi di fatto rilevanti.

Quest’ultima dovrà, pertanto:

1) verificare se il comportamento della società (richiesta di importazione di telai di biciclette in numero non superiore a trecento in esenzione dal dazio antidumping, senza dichiarazione di destinazione particolare) sia stato, o no, determinato da legittimo affidamento causato da errore delle autorità competenti. Tale verifica dovrà essere condotta applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia richiamati in precedenza (da 4.3.1. a 4.4.5.) in particolare valutando che: a) i diritti non siano stati inizialmente riscossi a causa di un errore delle autorità competenti. Tale errore deve consistere in un comportamento attivo delle autorità; b) il debitore abbia agito in buona fede, vale a dire non abbia potuto scoprire l’errore commesso dalle autorità; c) il debitore abbia osservato tutte le disposizioni previste dalla regolamentazione vigente per la sua dichiarazione in dogana;

2) dare conto delle verifiche compiute con adeguata motivazione e, all’esito della predetta verifica, assumere le conseguenti statuizioni circa la debenza della maggiore imposta richiesta e decidere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

5.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, proposto in via subordinata dalla società Cicli F.M., vengono articolati due differenti profili di doglianza.

Con il primo si denuncia la decisione della CTR per avere ritenuto che il trattamento daziario di favore di cui al Reg. CEE n.88/97 era subordinato alla dichiarazione di destinazione particolare anche per le importazioni per un quantitativo inferiore a trecento pezzi mensili.

Con il secondo si sostiene che, ad ogni modo, nel caso di specie l’accettazione della dichiarazione in dogana della immissione in libera pratica doveva essere valutata come rilascio di un’autorizzazione alla destinazione particolare ai sensi dell’art. 292, n. 3 e dell’art. 293, n. 2 del Reg. CEE n.2454/1993 recante disposizioni di attuazione del Codice Doganale Comunitario (DAC).

5.2. In particolare, secondo la ricorrente incidentale, l’autorizzazione, da rilasciarsi ai sensi dell’art. 291 del Reg. CEE n. 2454/1993 recante disposizioni di attuazione del Codice Doganale Comunitario (DAC) nell’ambito della destinazione particolare era necessaria esclusivamente nel caso in cui la merce importata doveva essere consegnata e quindi destinata ad un assemblatore esentato, ovvero ad un titolare di autorizzazione preventiva, e non già nel caso, come quello di specie, in cui l’importazione era sotto la soglia quantitativa mensile di trecento pezzi in quanto, in tal caso, non occorreva verificare a chi la merce fosse stata consegnata (fol. 29 del controricorso).

5.3. Inoltre, sempre a dire della parte privata, qualora si dovesse ritenere necessaria l’autorizzazione scritta di destinazione particolare ai fini dell’art. 14, lett. c), nel caso di specie ricorrevano, ad ogni modo, i presupposti per l’utilizzazione dell’autorizzazione semplificata di cui all’art. 292, n. 3, del regolamento di applicazione del CDC e che, pertanto, l’accettazione delle dichiarazione doganale aveva costituito anche autorizzazione all’importazione senza il pagamento dei maggiori diritti antidumping, avendo riguardato l’importazione di meno di trecento pezzi (fol. 36 del controricorso).

5.4. Il motivo è infondato sotto il primo profilo, alla luce della sentenza della CGUE, autorità giudiziaria deputata all’interpretazione delle norme comunitarie, con carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarla anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa (Cass. SU n. 13676/2013; Cass. nn. 17993/2015, 2468/2016), che nella causa C- 371/09 ha affermato quanto riportato sub 1.3.

5.5. Il motivo, sotto il secondo profilo, è inammissibile, oltre che infondato.

Invero l’invocato art. 292, n. 3 del DAC prevede che “… in circostanze particolari le autorità doganali possono accettare che la dichiarazione di immissione in libera pratica… costituisca una richiesta di autorizzazione…” e fissa all’uopo una serie di condizioni.

Sul piano dell’autosufficienza la illustrazione del motivo appare carente in quanto in modo meramente assertivo la ricorrente sollecita l’applicazione della norma indicata, senza dimostrare la effettiva e concreta ricorrenza dei presupposti alla luce delle disposizioni dell’amministrazione finanziaria in merito all’utilizzo della procedura di autorizzazione semplificata, nè la tempestiva e compiuta introduzione nel giudizio di tali elementi.

Va inoltre osservato che l’applicazione di tale procedura semplificata costituisce una facoltà per l’amministrazione che non risulta essere stata esercitata nel caso in esame, di guisa che l’applicazione di tale norma non risulta conferente ed il motivo infondato.

6.1. In conclusione, il ricorso principale va accolto sul terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo, ed il ricorso incidentale va rigettato; la sentenza impugnata va cassata nei limiti del motivo accolto ed il giudizio va rinviato alla CTR del Veneto in altra composizione per il riesame (v. sub 4.5.6.) in applicazione dei principi espressi e per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE

– accoglie il ricorso principale, fondato il terzo motivo ed inammissibili i motivi primo e secondo, e rigetta il ricorso incidentale;

– cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Veneto in altra composizione per il riesame e per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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