Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2072 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30147-2020 proposto da:

V.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA TROCCOLO;

– ricorrente –

contro

D.M., D.C., R.M.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato ORIANA BOBONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 154/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata l’08/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CRICENTI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. – In data (OMISSIS) il sig. D.P. è deceduto sul posto di lavoro. I suoi eredi, la moglie ed i figli, si sono rivolti per ottenere il risarcimento del danno, all’avv. V.M., che ha depositato costituzione di parte civile nel processo penale.

Nel 2001 (la data precisa non risulta agli atti di questo ricorso) è intervenuta sentenza di patteggiamento. L’azione civile non è stata mai esercitata, a seguito di tale patteggiamento, in sede civile.

Gli eredi della vittima, nel 2010, non avendo notizie della loro azione per risarcimento, si sono rivolte ad altro avvocato, il quale, nel 2012, dopo aver appurato che v’era stato patteggiamento ed avere inteso che ormai non poteva più farsi causa in sede civile, ha promosso azione di responsabilità professionale nei confronti del V..

2. – Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda, escludendo violazione di doveri professionali da parte del legale, mentre i giudici di appello hanno accertato che il V. non ha mai informato gli eredi della vittima dello stato dei procedimenti, ed anzi, avrebbe detto loro che il giudizio penale era stato sospeso, e dunque ha tenuto un comportamento contrario ai doveri professionali, che ha impedito di conseguire un risultato utile, anche al nuovo difensore.

3. – Il ricorso è basato su quattro motivi. V’e’ controricorso degli eredi D.. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. – I primi tre motivi riguardano una questione comune e mirano a dimostrare che, quando i clienti si sono rivolti all’altro d1fensore, l’azione per danni non era ancora prescritta, ed avrebbe potuto essere fatta valere dal nuovo incaricato.

Infatti, il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2947 c.c., e censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto che, essendo intervenuta sentenza di patteggiamento, ed essendo il termine di prescrizione quello decennale per responsabilità contrattuale, questo termine ha ripreso a decorrere dal 2001, così che quando è stato incaricato il nuovo difensore, non era spirato, e l’azione per danni era ancora possibile.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto controverso, vale a dire che questa circostanza, della natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro, della sua interruzione per via del patteggiamento, non è stata considerata dai giudici di appello.

Con il terzo motivo si assume violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2967 c.c., nel senso che la corte di appello negando un fatto, ossia la circostanza che la prescrizione non era ancora maturata ed era possibile quindi che il nuovo difensore la facesse valere, ha posto a base della decisione una circostanza per contro non vera, che invece doveva essere provata dalla controparte.

Questi motivi possono valutarsi insieme e sono inammissibili.

La ratio della decisione è che il V. ha violato i doveri professionali, sia per l’inerzia nella tutela dei diritti dei clienti, non avendo cioè fatto alcunché dal patteggiamento (2001) in poi, sia per non avere neanche mai informato i clienti dell’andamento del processo, ed anzi, per aver mentito loro affermando che il procedimento penale era sospeso; infine per non aver collaborato con il nuovo difensore, fornendo a costui le informazioni utili – non avrebbe neanche restituito le carte processuali – per poter agire in sede civile.

E’ questa condotta che – con un accertamento di fatto qui non censurabile – secondo i giudici di merito, ha impedito alle parti ed al nuovo difensore di agire in giudizio: invero, solo con la comparsa di costituzione in giudizio, nel primo grado di questa causa, si è scoperto che era stata proposta costituzione di parte civile in un procedimento penale, poi definito con patteggiamento in tempo ormai non più utile per una ulteriore azione in sede civile.

Ne deriva quindi che, secondo i giudici di merito, v’e’ un nesso di causa tra queste evidenti negligenze – mancata totale informazione al nuovo difensore, come alle parti, dello stato della causa – ed il danno. E’ stato questo atteggiamento che ha comportato l’impossibilità per il nuovo difensore di agire, ove mai ve ne fosse ancora tempo, per il risarcimento dei danni in sede civile.

Essendo questa la ratio, la contestazione circa i termini di prescrizione è peraltro inammissibile, non essendovi alcuna prova che la questione sia stata comunque posta al giudice di appello: lo stesso ricorrente, con il secondo motivo, lamenta omesso esame, con ciò significando dire che il fatto non è stato esaminato, ma senza dimostrazione alcuna che sia stato prospettato in quei termini.

E senza tacere del fatto che, ritenendo che dal 2001 (data generica del patteggiamento) decorrevano dieci anni di prescrizione, l’azione si sarebbe prescritta nel 2011, mentre non risulta proposta dal ricorrente una rituale denuncia di vizio motivazionale avente ad oggetto il fatto che l’epoca dell’incarico al nuovo difensore fosse antecedente la maturazione della prescrizione, posto che trattasi di circostanza non accertata dal giudice di merito.

5. – Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1226 e 2967 c.c..

La Corte di Appello ha condannato il V. a risarcire ai clienti un danno pari alla somma che costoro avrebbero potuto conseguire se fosse stata fatta l’azione civile.

Il ricorrente ritiene che, avendo i giudici di merito affermato che con molta probabilità la richiesta di risarcimento sarebbe stata accolta, non dovevano riconoscere il danno intero, ma quello corrispondente alla ritenuta probabilità.

Il motivo è infondato.

Il giudizio di probabilità è relativo qui alla causalità: la condotta alternativa lecita avrebbe potuto evitare il danno con molta probabilità. Il che significa che la corte di merito ha ritenuto che, se si fosse agito in sede civile, probabilmente il danno si sarebbe evitato, rectius, il vantaggio sarebbe stato conseguito, dove è evidente che il giudizio di probabilità attiene al nesso di causa, non già all’ammontare del danno. Una volta affermato che il danno (rectius, il mancato guadagno) è dovuto, con molta probabilità, all’omissione dell’agente, il nesso di causalità deve dirsi accertato (regola del più probabile che no) ed il danno va risarcito interamente, secondo la regola del “tutto o niente”: accertato che x ha causato Y – e questo giudizio non richiede certezza ma probabilità- il danno è interamente posto a carico dell’agente e non già in proporzione alla asserita probabilità: altro discorso essendo quello relativo alla probabilità del danno (chance) che invece è spesso confuso con la probabilità del nesso causale, come in questo caso.

6.- Il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 4000,00 Euro, oltre 200,00 Euro si spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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