Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20718 del 13/08/2018

Cassazione civile sez. II, 13/08/2018, (ud. 12/01/2018, dep. 13/08/2018), n.20718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8271/2013 R.G. proposto da:

T.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Giancarlo Mazzei,

con domicilio eletto in Roma, via Chiana n. 35 scala 3 int. 24,

presso l’Avv. Alessandro Pellegrino dello studio Gentili &

Partners;

– ricorrente –

contro

M.G., M.M.G. e M.S., tutti

in qualità di eredi di Ma.Ma., il primo anche in proprio,

rappresentati e difesi dagli Avv. Maria Giuseppina Maglione, anche

ex art. 86 c.p.c., e Alessandro Basile, con domicilio eletto in

Roma, via di Villa Pepoli n. 4, presso lo studio dell’Avv. Giancarlo

Caracuzzo;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3593

depositata il 6 novembre 2012 e notificata il 19/21 gennaio 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio

2018 dal Consigliere Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, con sentenza n. 288 del 05.06.2008, in parziale accoglimento delle domande proposte da Ma. e M.G. nei confronti di T.M., condannava il convenuto alla eliminazione delle sporgenze (cioè dei corpi aggettanti costituiti dai balconi) che distavano meno di 1,5 metri dal confine con la proprietà degli attori, con arretramento degli stessi sino al limite previsto dal codice civile, nonchè al risarcimento dei danni patiti dagli stessi attori per effetto delle violazioni edilizie realizzata, quantificati in Euro 15.000,00, oltre accessori e spese processuali;

– sul gravame interposto dal T., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, indicati anche per la qualità di eredi di Ma.Ma., nel frattempo deceduta, che proponevano anche appello incidentale con riferimento alle ulteriori domande non accolte, respingeva il gravame principale e in parziale accoglimento di quello incidentale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, disponeva l’arretramento del fabbricato dell’appellante principale, nella parte frontistante l’edificio dei M.e, fino alla distanza di metri dieci dall’edificio degli originari attori, trovando nella specie applicazione l’art. 21 delle norme tecniche attuative del PRG del Comune di Aquilonia (diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice) e precisato che la transazione intervenuta fra le parti aveva ad oggetto un terrapieno naturale, posto al confine fra le proprietà, e non riguardava il fabbricato in questione;

– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Napoli ricorre il T. sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria;

– gli intimati resistono con controricorso;

– in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

– il primo motivo di ricorso (con il quale è dedotta la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine al rigetto dell’appello principale, censura che prosegue descrivendo le ragioni di doglianza sintetizzate in appello) è privo di pregio.

Nonostante gli sforzi argomentativi di parte ricorrente la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dalle risultanze probatorie. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione di una difforme interpretazione degli accertamenti fattuali rispetto a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, Cass. 23 luglio 2004 n. 13839; Cass. 9 agosto 2004 n. 15381; da ultimo, Cass. 29 ottobre 2012 n. 18587; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Cass. 7 febbraio 2013 n. 2988).

A voler ulteriormente indugiare sulla costruzione censuratoria al vaglio emerge piuttosto nitidamente che la Corte locale ha ritenuto, del tutto legittimamente, che “le doglianze dell’appellante principale riguardanti la ritenuta violazione delle distanze degli sporti sono superate dall’accoglimento dell’appello incidentale dei M.” (v. pag. 15 della decisione impugnata). Per giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, il vizio di omessa pronuncia è escluso quando la sentenza abbia assunto una decisione che comporti l’implicito rigetto della domanda od eccezione formulata dalla parte (cfr., tra le molte, Cass. 11 settembre 2015 n. 17956; Cass. 4 ottobre 2011 n. 20311), giacchè diversamente da quanto dedotto dal ricorrente la sentenza impugnata non si è limitata al recepimento acritico delle conclusioni del c.t.u., ma ha chiarito che la parte non aveva fornito elementi per smentire la qualificazione dell’opera come “nuova costruzione”. Del resto, la censura in discorso è tesa alla inammissibile rivalutazione in questa sede di circostanze fattuali, peraltro riportati aspecificamente, attraverso il monco stralcio di documenti, processuali e non;

– anche il secondo motivo di ricorso (con il quale è lamentata la violazione e la falsa applicazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2 e art. 21 delle NTA del PRG del Comune di Aquilonia, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia costituito dalla transazione conclusa fra le parti il 30.11.1994, per avere la Corte di appello erroneamente qualificato come nuova la costruzione in questione, trattandosi in realtà – come emergerebbe da tutti gli elaborati tecnici, di parte e di ufficio in atti, di ricostruzione con adeguamento sismico funzionale ex L. n. 219 del 1981, per essere stata realizzata attraverso un iter particolarmente elaborato sulla scorta delle concessioni n. 13/87, n. 16/93, n. 4/94 e n. 10/95, quest’ultima in particolare avrebbe recepito in toto la transazione intervenuta fra le parti. Prosegue il ricorrente criticando la sentenza per avere svilito il valore e la portata della transazione) è in parte infondato e in parte inammissibile.

Questa Corte ha in più occasioni evidenziato come, ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione debbasi intendere non solo la realizzazione a fundamentis di un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno d’una maggior volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi; per il che si è ripetutamente ritenuto che la sopraelevazione, appunto, costituisca, a tutti gli effetti, nuova costruzione (Cass. 18 maggio 2011 n. 10909; Cass. 11 giugno 1997 n. 5246; Cass. 15 giugno 1996 n. 5517), così come anche il solo rifacimento di un tetto quando comporti l’aumento delle superfici esterne e dei volumi interni, pur se dei piani sottostanti (Cass. 6 dicembre 1995 n. 12582).

Nel caso di specie il giudice del gravame ha ben evidenziato nella sentenza impugnata la natura dell’intervento edilizio realizzato dal T., in quanto occupando il corpo di fabbrica della cui distanza si discute, contrariamente a quanto affermano dal ricorrente, oltre alla originaria particella (OMISSIS) anche la (OMISSIS), ha individuato esattamente quale fosse la questione sottoposta al suo esame e cioè la realizzazione, dopo la demolizione di fabbricato fatiscente, di un’opera ex novo, come tale assoggettata al rispetto delle distante legali tra costruzioni. La corte al riguardo ha osservato che vi era stato un ovvio aumento delle volumetrie e delle superfici, coprendo l’estensione dell’unica unità immobiliare ben due particelle e, ad colorandum, che i lavori in questione erano stati sospesi per ben tre volte a causa delle difformità realizzate rispetto a quanto consentito dai titoli abilitativi. A tale conclusione la Corte territoriale è giunta proprio attraverso le risultanze probatorie, comprensive anche delle CTU svolte nel giudizio, ed ha motivato adeguatamente il proprio convincimento ponendo a base della sua valutazione un accertamento in fatto circa l’esistenza del di una nuova costruzione, come la consistenza dell’edificio e ha concluso che detta costruzione doveva essere equiparata ad un nuovo corpo di fabbrica, assoggettato, in quanto tale, alle regole sulle distanze legali. Una volta compiuti tali accertamenti non ha fatto altro che applicare i principi affermati da questa Corte in materia di distanze, secondo i quali la nozione di “nuova costruzione” comprende qualsiasi opera che comporti ampliamento della originaria volumetria, mentre il ricorrente lamenta genericamente che si tratterebbe di intervento ricostruttivo con adeguamento sismico funzionale ex L. n. 219 del 1981, senza confrontarsi realmente con la ratio della decisione. Il motivo va, dunque, per detta parte rigettato.

Quanto alla censura relativa alla interpretazione dell’asserito accordo transattivo, occorre anzitutto osservare che l’interpretazione di una clausola contrattuale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, in tale nozione dovendosi far rientrare gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (cfr Cass. 8 marzo 2013 n. 5795).

In secondo luogo, la sentenza di appello ha fornito ampia motivazione sull’interpretazione della transazione invocata dal T., individuando l’oggetto della stessa non già nell’intervento edilizio in questione, ma nei lavori eseguiti dallo stesso ricorrente sull’area occupata in precedenza da un terrapieno naturale posto sul confine tra le rispettive proprietà (accordo che prevedeva la costruzione al posto del terrapieno naturale di un solaietto con funzione di raccogliere le acque piovane), così spiegando le ragioni per le quali ha disatteso la soluzione proposta dal medesimo;

– il terzo ed ultimo motivo (col quale è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la Corte di merito nel disporre l’arretramento del fabbricato fino a dieci metri è andata “ultra petitum” avendo gli originari attori formulato la domanda di demolizione contenendola entro il limite di cinque metri; prosegue il ricorrente che il D.M. n. 1444 del 1968, art. 7, comma 4, consentirebbe le ristrutturazioni edilizie a parità di volume degli edifici preesistenti in deroga ai parametri di edificabilità e al regime delle distanze, come nel caso di specie, trattandosi di intervento edilizio che costituisce un completamento di lotti) è parimenti infondato.

La corte territoriale ha giustificato la condanna dell’appellante all’arretramento della propria costruzione fino alla distanza di 10 metri, nella parte frontistante l’edificio di proprietà M., munito di finestre, essendo al momento dell’accertamento la distanza compresa tra metri 4,95 e metri 5,04. La statuizione si basa su una lettura dell’atto di citazione in primo grado conforme al pronunciamento impugnato che muove dall’idea che la domanda di arretramento del fabbricato di almeno cinque metri, a norma dell’art. 21 N.T.A. e dall’art. 4, comma 19 del R.E.C. e comunque nel rispetto degli indici inderogabili posti dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2 costituiscano soluzioni del tutto dipendenti dal regime che sarebbe stato ritenuto applicabile nella specie.

Ciò è reso evidente sia dalla precisazione contenuta nella pagina sei della sentenza, in cui si afferma la proposizione di appello incidentale sulle distanze, sia dal coordinamento che la sentenza riconosce della domanda con il D.M. n. 1444 cit.. Il motivo in esame nasconde, così, dietro la denuncia di violazione di ultra petitum una contestazione sulla interpretazione dell’atto di citazione da parte della corte territoriale, inammissibile in sede di legittimità. E’, infatti, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel “thema decidendum” – tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. 22 giugno 2004 n. 11639; Cass. 21 febbraio 2006 n. 3702).

Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, da porsi a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte di Cassazione, il 12 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2018

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