Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20717 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27038/2018 R.G. proposto da:

MEDDIX SRL IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentato e difesa dall’Avv. Prof.

FABRIZIO CRISCUOLO, elettivamente domiciliato presso il suo studio

in Roma, Viale Bruno Buozzi, 99;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in

persona del presidente pro tempore, rappresentate e difese

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 1331/3/2018 depositata in data 12 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 9 luglio 2020 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Emerge dalla sentenza impugnata che la società contribuente MEDDIX SRL ha impugnato una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis relativa al periodo di imposta dell’anno 2012, deducendo la non debenza degli importi in quanto società ammessa alla procedura di concordato preventivo in data 11 novembre 2015, in epoca precedente la notificazione della cartella di pagamento, nonchè deducendo mancanza dell’invio dell’avviso bonario, difetto di motivazione e insussistenza della pretesa impositiva.

La CTP di Benevento ha accolto il ricorso della società contribuente e la CTR della Campania, con sentenza in data 12 febbraio 2018, ha accolto l’appello dell’Ufficio.

Ha osservato il giudice di appello che la cartella, conseguente alla liquidazione automatizzata del Modello Unico 2013 per IVA non versata e sanzioni, ha funzione accertativa del credito, finalizzata a rendere noto l’esito della liquidazione dell’imposta iscritta a ruolo dichiarata e non versata, nonchè a consentire l’opponibilità del credito al passivo concorsuale. Ha, poi, rilevato il giudice di appello l’avvenuta comunicazione dell’avviso bonario, ritenendo la cartella sufficientemente motivata, senza che sia necessaria l’indicazione dei criteri di calcolo di interessi e sanzioni.

Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria; l’Ufficio e il Concessionario per la riscossione resistono con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 161, art. 168, comma 1, art. 188, comma 2, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la notificazione della cartella di pagamento, avvenuta successivamente alla proposizione della procedura di concordato preventivo della contribuente, ha funzione di quantificare il credito iscritto a ruolo dall’Ente impositore. Deduce il ricorrente contrasto con i principi enunciati da Cass., Sez. V, 2 ottobre 2008, n. 24427, laddove è stato affermato che la notificazione della cartella di pagamento costituisce esercizio dell’azione esecutiva, per cui non può essere notificata nei confronti di una società in concordato preventivo, nei confronti della quale non è esperibile l’esecuzione forzata. Ritiene, pertanto, il ricorrente che la cartella di pagamento debba essere annullata, dovendo la pretesa erariale essere fatta valere all’interno della procedura concorsuale, anzichè mediante proposizione di una azione esecutiva.

1.1 – Il primo motivo è infondato. E’ pacifico, in quanto dedotto dallo stesso ricorrente (“la richiesta di pagamento (…) scaturiva dal controllo automatizzato della dichiarazione”), nonchè accertato dalla sentenza impugnata (“cartella di pagamento (…) ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis”), che la cartella di pagamento è stata emessa a seguito di controllo formale. Si tratta di un caso affatto differente da quello della cartella emessa a seguito di un avviso di accertamento; nel primo caso, la cartella (salvo l’invio della comunicazione di preavviso di violazione) costituisce il primo e unico atto con il quale la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente, laddove nel secondo caso ci si trova di fronte a un mero atto esecutivo di una pretesa impositiva oramai definitiva (Cass., Sez. V, 8 febbraio 2019, n. 3759).

1.2 – In entrambi i casi, peraltro, la cartella di pagamento è equiparabile a un atto di precetto, rispetto al quale il titolo esecutivo è rappresentato dal ruolo (Cass., Sez. V, 16 marzo 2018, n. 65 6), quale atto interno all’amministrazione (Cass., Sez. VI, 9 settembre 2019, n. 22507). Nel secondo caso la cartella costituisce strumento mediante il quale la pretesa tributaria viene portata a conoscenza del debitore d’imposta (Cass., Sez. VI, 3 febbraio 2014, n. 2248), funzione che si cumula a quella di preannunciare, analogamente all’atto di precetto, l’esercizio dell’azione esecutiva (Cass., Sez. VI, 29 luglio 2016, n. 15966; Cass., Sez. VI, 3 gennaio 2014, n. 49; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2017, n. 30584; Cass., Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 1996; Cass., Sez. III, 8 febbraio 2018, n. 3021).

1.3 – Nè può sostenersi che l’apertura di una procedura di concordato preventivo – diversamente da quanto assume il ricorrente anche in memoria, laddove deduce dal divieto di azioni esecutive l’inopponibilità alla massa dei creditori dei crediti erariali oggetto di cartella di pagamento – sia ostativa all’accertamento di crediti tributari pregressi mediante iscrizione a ruolo, come anche all’emissione di una cartella di pagamento anche per sanzioni pecuniarie ed accessori, maturati fino a tale momento; ciò in quanto, per un verso, l’accertamento del credito da parte dell’Amministrazione finanziaria è condizione per la partecipazione della stessa alla procedura concorsuale e, per altro verso, le sanzioni pecuniarie danno luogo ad un credito dell’Erario per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, senza che assuma rilevanza l’assoggettamento dell’impresa ad una procedura concorsuale (Cass., Sez. V, 4 aprile 2019, n. 9440).

1.4 – Non rileva, infine, in questa sede il principio espresso da Cass., Sez. U., 15 marzo 2012, n. 4126 (menzionato dal ricorrente in memoria), il quale opera in materia di prova del credito da ammettere al passivo del fallimento su istanza dell’ente impositore anche in assenza della formazione del ruolo.

1.5 – La Corte di merito, nella misura in cui ha ritenuto che la cartella possa essere legittimamente emessa a concordato pendente, in quanto consente la collocazione del credito erariale nel passivo concorsuale e non costituisce, di per sè, atto esecutivo, non si è sottratta alla corretta applicazione dei suddetti principi.

2 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 1-bis come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 90 nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto invalida la notificazione della cartella di pagamento nei confronti di una impresa in stato di crisi entro il 31 dicembre del terzo anno successivo alla pubblicazione del decreto che revoca l’ammissione al concordato preventivo o alla pubblicazione della sentenza che risolve o annulla il concordato preventivo, nè potendo l’azione esecutiva essere attuata in pendenza della procedura di concordato preventivo.

2.1 – Il secondo motivo è inammissibile, posto che delle questioni trattate dal ricorrente nel suddetto motivo non vi è traccia nè nella sentenza impugnata, nè nella narrativa del ricorso del contribuente. E’ principio comunemente affermato che, qualora una questione giuridica, che implichi un accertamento in fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 32804).

2.2 – Il motivo è ulteriormente inammissibile, in quanto il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1-bis riguarda il caso della cartella di pagamento, attinente a crediti concorsuali, notificata nel caso in cui si siano verificati eventi patologici afferenti al concordato preventivo (quali la revoca, la mancata approvazione, la risoluzione o l’ann (lamento del concordato). Al riguardo il ricorrente (che nell’intestazione del ricorso e nella procura alle liti, nonchè nella memoria ex art. 378 c.p.c. non spende neanche lo stato della procedura concorsuale di concordato preventivo) non ha fornito elementi in fatto per ritenere che si verta in tali casi, il che rende il parametro normativo enunciato dal ricorrente non congruente con il caso di specie.

2.3 – Il motivo è, in ogni caso, infondato quanto al dedotto contrasto con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 90 nella parte in cui prevede che il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini dell’inserimento del credito erariale, posto che la sentenza ha correttamente osservato che l’emissione della cartella è necessaria proprio in quanto in tal modo l’Ufficio può “iscrivere detto credito nel passivo della procedura concorsuale”.

3 – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 6 e 7 nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che sia stato inviato l’avviso bonario e che la cartella sia stata adeguatamente motivata in punto calcolo degli interessi, in quanto l’atto impositivo deve essere dotato di un sufficiente grado di determinatezza e intelligibilità, al fine di consentire un corretto esercizio del diritto di difesa.

3.1 – Il terzo motivo è infondato in punto mancato invio dell’avviso bonario, avendo la sentenza impugnata accertato in fatto che “la cartella è stata preceduta dall’invio in data 8.11.15 della comunicazione bonaria”. Non si tratta di mero “rilievo del giudice” (come deduce il ricorrente in memoria), ma di un accertamento in fatto incensurabile in sede di legittimità.

3.2 – Il terzo motivo è, ulteriormente, infondato in punto di determinazione delle modalità di calcolo di interessi e sanzioni, posto che in caso di cartella emessa a seguito di liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonchè ove vengano richiesti interessi e sanzioni per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova g nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (Cass., Sez. V, 20 settembre 2017, n. 21804; Cass., Sez. VI, 7 giugno 2017, n. 14236; Cass., Sez. V, 18 dicembre 2009, n. 26671). Il calcolo degli interessi si traduce, pertanto, in una mera operazione matematica e – quanto alle sanzioni – in un rinvio alle norme di legge che ne prevedono i criteri di calcolo o la tipologia della violazione da cui è possibile desumere gli stessi (Cass., Sez. V, 8 marzo 2019, n. 6812).

4 – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dal principio della soccombenza e raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

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