Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20717 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/07/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 20/07/2021), n.20717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

T.C., rappr. e dif. dall’avv. Bellini Chiara

chiara.bellini.ordineavvocativicenza.it, elett. dom. presso lo

studio in Vicenza, piazzetta Palladio n. 11 come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in

Roma, via del Portoghesi n. 12 è domiciliato;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Venezia 22.11.2019, n.

5307/2019, in R.G. 408/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Presidente relatore Dott.

Ferro Massimo alla camera di consiglio del 15.7.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. T.C. impugna la sentenza App. Venezia 22.11.2019, n. 5307/2019, in R.G. 408/2019 di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza Trib. Venezia 15.1.2019 che ha respinto l’impugnazione contro il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte, condividendo il giudizio espresso dal primo giudice, ha ritenuto: a) non credibile il narrato, per molteplici contraddizioni e lacune rispetto alle versioni offerte e confusione delle dichiarazioni stesse, peraltro non documentate in alcuna circostanza e correlazione con il contesto del Mali (Paese d’origine), in punto di provenienza effettiva dal Nord (posta la non conoscenza della lingua parlata a Timbuctou ed invece l’espressione in bambara, parlato al Sud), città (non descritta), chiesa cattolica di appartenenza (non citata), confessione (non articolata con nessun tipo di preghiera), famiglia in loco (prima riferita e poi negata), contesto di allontanamento (l’aggressione di integralisti, mal riferita in tre modi diversi); b) insussistenti i presupposti della persecuzione, al pari di quelli della protezione sussidiaria, nonché ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), di un vero conflitto armato nella parte Sud del Mali, secondo le varie fonti; c) infondata la richiesta di protezione umanitaria, mancando situazioni di vulnerabilità, anche in ragione della non credibilità del narrato e del difetto d’allegazione di integrazione sociale rilevane, nonché delle conseguenze del dedotto passaggio in Libia;

3. il ricorrente propone tre motivi di ricorso; il Ministero si è costituito solo con atto volto a partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo complesso motivo si deduce la violazione delle norme disciplinanti il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria e cioè D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11 comma 1, lett. c-ter;

2. con il secondo motivo si assume la violazione dei doveri di cooperazione istruttoria ed erronea valutazione delle dichiarazioni del ricorrente;

3. con il terzo motivo si contesta, in violazione dell’art. 33 Convenzione Ginevra e 3CEDU la violazione del principio del non refoulement;

4. le censure, inglobanti una pluralità di contestazioni e riferimenti normativi disomogenei, compendiano una assai poco specifica censura avverso l’apprezzamento di fatto cui è pervenuta la corte d’appello, cumulando mezzi diversi, posto che le doglianze miscelano disinvoltamente vizi di violazione di legge a sostanziali non condivisioni della motivazione; va così ribadito, come primo limite del ricorso, che “in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali sarebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate” (Cass. 7009/2017);

5. volendo peraltro isolare il nucleo critico afferente al giudizio di credibilità espresso dalla sentenza, si ripete che esso indica una sequenza di motivi inammissibile; per un verso, la censura appare del tutto deducendo una critica specifica alle rationes dedicendi (su difetto di credibilità e dei presupposti delle protezioni maggiori) argomentate nella sentenza, né indicando quali specifici elementi della narrazione sarebbero stati pretermessi e sulla base di quali alternativi parametri di tempestiva introduzione, completezza e coerenza, limitandosi ad invocare una diversa interpretazione delle stesse circostanze, rilettura preclusa in questa sede (Cass. s.u. 8053/2014);

6. quanto alla credibilità, poi, il motivo è inammissibile alla luce del principio, pienamente osservato nella motivazione, per cui “D.Lgs. n. n 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sulrid quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sé inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass. 20580/2019); va invero ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass.3340/20149);

7. la valutazione negativa della credibilità esclude invero l’onere di ricerca ulteriore di requisiti di esposizione ad atti persecutori ovvero al pericolo di esposizione ai danni gravi, a causa – nella specie – giudizio di genericità e incoerenza del preteso carattere politico o religioso del contesto confusamente comunque rappresentato dal richiedente, ratio non specificamente qui avversata e facendo difetto prove o più sicure allegazioni di atti d’indagine o punizione specifici riferibili alla parte; la censura, per altro verso, è inammissibile anche quanto alla situazione del Mali, avendo la sentenza correttamente attribuito rilevanza alla non credibilità, così orientando negativamente – come detto – la valutazione sulla protezione sussidiaria di cui alle lettere a) e b) di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, mentre la reputata assenza, secondo le fonti indicate, di un conflitto armato ai sensi e per gli effetti di protezione invocati D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), appare sollevata in modo ancora aspecifico, omettendo il ricorrente di segnalare fonti alternative e non considerate dai giudici veneziani con riguardo all’area maliana cui è stata motivatamente attribuita la provenienza del richiedente; invero, va ribadito che “il ricorrente in cassazione che deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria per l’omessa indicazione delle fonti informative dalle quali il giudice ha tratto il suo convincimento, ha l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione, non potendo la Corte di cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. 22769/2020; 22385/2020);

8. quanto al passaggio in Libia, non è contestata in modo specifico la lacuna del motivo d’appello e, più in generale, della domanda del richiedente che, a giudizio della corte, non avrebbe messo in evidenza e sostenuto la relazione attuale di tale vicenda con la sua vulnerabilità; va così ribadito che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione” (Cass. 29875/2018);

9. più in generale, la contestazione del diniego dellaDatapprgaffergir7/2021 umanitaria, oltre a difettare di specificità laddove si richiama ad una generica situazione di compromissione dei diritti umani in Mali senza una correlazione più diretta con la vicenda personale, induce a reputare che la menzionata lacuna e le ragioni non credute dell’allontanamento mostrano di reagire negativamente anche su tale ultimo residuo giudizio, non permettendo di attuare una comparazione effettiva sulla situazione di vulnerabilità che graverebbe sul richiedente al rientro; non basta invero e in ogni caso la segnalazione di alcuni indici di inserimento in Italia, rispetto ai quali la motivazione della pronuncia impugnata comunque non viene puntualmente contestata riportando in ricorso – e almeno per sintesi – elementi alternativi non considerati dai giudici veneziani e da descrivere in modo preciso, dando conto della loro tempestiva inserzione nel processo; si osserva così che il ricorrente, omettendo di allegarne la sussistenza in modo specifico, non ha riportato, per il principio di autosufficienza del ricorso e dunque nel testo del medesimo, il tenore di documenti pretesamente mal valutati, né ha rivolto impugnazione alcuna all’impossibilità, comunque, del difetto di comparazione con l’esposizione a rischio per il caso di rimpatrio; il ricorrente – anche in questa sede – non ha indicato altro fattore oltre alla sua presenza nel territorio italiano e una generica integrazione, rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ome modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA