Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20715 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. II, 31/07/2019, (ud. 08/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8763/2015 proposto da:

T.M., rappresentato e difeso dagli Avvocati VINCENZA

CAGNETTA e GIUSEPPE de CONCILIIS o MARCO GIACOMUCCI ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giorgio Grasso in ROMA, VIA

SAN BASILIO 72;

– ricorrente –

contro

R.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3807/2014 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

pubblicata il 25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/04/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 3.12.1997, R.N. conveniva davanti al Pretore di Avellino T.M., esponendo che nell’aprile 1997 aveva stipulato un contratto verbale di appalto per la ristrutturazione dell’appartamento del convenuto; che l’importo dei lavori era stato di comune accordo fissato in Lire 35.000.000, IVA esclusa; che nel corso dell’esecuzione dei lavori il T. gli aveva commissionato altri lavori, con fornitura di ulteriori materiali, per i quali era stato convenuto di applicare il prezziario del Genio Civile; che i lavori erano eseguiti a regola d’arte, per un importo complessivo di Lire 70.164.920, di cui il T. aveva versato solo Lire 30.000.000.

Ciò premesso, l’attore chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma di Lire 40.164.920 o di quella maggiore o minore accertata in corso di causa, oltre agli interessi.

Si costituiva in giudizio T.M. eccependo che l’attore non avesse eseguito tutti i lavori appaltati e che alla consegna degli stessi, effettuata con notevole ritardo rispetto ai tempi previsti in contratto, gli aveva comunque versato la somma di Lire 30.000.000, a completa soddisfazione per ogni lavoro effettuato. Deduceva, quindi, di non dovere null’altro all’attore e che quest’ultimo era stato anche inadempiente, non avendo eseguito tutte le opere di cui al contratto d’appalto e presentando alcune di esse vizi e difetti tali da renderle inidonee all’uso convenuto e avendo consegnato le medesime opere, non tutte a regola d’arte, con notevole ritardo rispetto al termine finale stabilito in contratto, precisando che a causa dell’inadempimento dell’attore, egli non aveva potuto utilizzare compiutamente tutti gli ambienti del proprio appartamento.

Ciò premesso il convenuto chiedeva di dichiarare stipulato tra le parti un contratto di appalto relativo all’esecuzione soltanto di alcuni manufatti e lavori per l’importo di Lire 30.000.000 IVA compresa; di rigettare la domanda attorea; in via riconvenzionale, di dichiarare risolto, per grave inadempimento dell’attore, il contratto d’appalto e di condannare l’attore alla restituzione delle somme pagate o della somma maggiore o minore accertata in corso di causa, nonchè al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

La causa proseguiva davanti al Tribunale dopo la soppressione dell’Ufficio del Pretore, veniva istruita documentalmente, con CTU e con la prova testimoniale di parte attrice, per essere il convenuto decaduto rispetto al termine ex art. 184 c.p.c..

Con sentenza n. 1859/2007 del 30.11.2007, il Tribunale di Avellino condannava T.M. al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 1.397,32, oltre interessi legali e spese di lite.

Contro tale sentenza proponeva appello il T. con sei motivi di gravame. Resisteva il R. contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

Con sentenza n. 3807/2014, depositata in data 25.9.2014, la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello e condannava l’appellante alle spese del grado.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione T.M. sulla base di due motivi; l’intimato R.N. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, comma 2 – Errata e iniqua rivalsa del credito IVA a carico del committente”, in quanto la Corte d’appello, sulla scorta delle risultanze peritali, determinava il corrispettivo dei lavori accertati in Lire 27.254.655, applicando impropriamente l’IVA. Ritenuto pacifico il già intervenuto versamento della somma di Lire 30.000.000 da parte del T., quest’ultimo era stato condannato a pagare la sola differenza di Lire 2.705.586 (pari a Euro 1.397,32), corrispondente a parte dell’IVA non dovuta, stante la mancata emissione della fattura da parte dell’appaltatore.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Violazione dell’art. 91 c.p.c.: condanna alle spese della parte soccombente Violazione dell’art. 92 c.p.c.: compensazione integrale o parziale delle spese in caso di soccombenza reciproca – Violazione delle disposizioni di cui al D.M. n. 585 del 1994, art. 6e D.M. n. 127 del 2004 – Omessa pronuncia in ordine allo specifico richiamo delle norme violate, giusta punto 7 delle conclusioni di appello”, in quanto, a fronte del rigetto della domanda principale attorea e della domanda riconvenzionale del T., i Giudici di merito avrebbero dovuto decretare la reciproca soccombenza, con integrale o almeno parziale compensazione delle spese di lite.

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – La Corte di merito, rigettando il quarto motivo di appello, ha affermato che è la legge che impone il calcolo dell’IVA “allorchè dispone che essa sia dovuta per le prestazioni di servizi derivanti da contratti di appalto (D.P.R. n. 633 del 1972e succ. mod.), a nulla rilevando che sugli acconti non fosse stata rilasciata fattura o che il R. avesse cessato nel frattempo l’attività di impresa, involgendo questioni di natura tibutaria tra quest’ultimo e gli enti accertatori in ordine alla erogazione di sanzioni, mentre il fatto che l’impresa sia cessata non ne esclude il versamento anche per le prestazioni pregresse” (sentenza impugnata pagine 9-10).

2.2. – Fermo rimanendo che la domanda dell’Impresa comprendeva, ovviamente, anche il riconoscimento dell’IVA, va rilevato che del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, comma 1, prevede l’obbligo, per il soggetto che ha effettuato la prestazione di servizi, di addebitare l’imposta, a titolo di rivalsa, al committente, e cioè al soggetto tenuto al pagamento del corrispettivo. In particolare, l’art. 6 del citato D.P.R. dispone che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo.

Questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che la fatturazione all’atto della ricezione del pagamento, prevista dalla norma in esame per i prestatori di servizi, è una facoltà concessa agli stessi, i quali possono anche validamente fatturare, registrando la relativa imposta, al momento della prestazione del servizio stesso, che costituisce, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, che è autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma è ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso (Cass. n. 8222 del 2011; Cass. n. 15690 del 2008; Cass. n. 6149 del 1995).

Ciò non significa, tuttavia, che il prestatore di servizi possa rivalersi dell’imposta nei confronti del committente senza emettere fattura. Se è vero, infatti, che, in base al sistema delineato dalla normativa sull’IVA, colui che ha effettuato una prestazione di servizi deve corrispondere all’erario l’imposta sul corrispettivo spettantegli, ed è obbligato a rivalersene nei confronti del cliente, è del tutto evidente che, ai fini dell’esercizio della rivalsa, si rende comunque necessaria la fatturazione, potendo la stessa avvenire all’atto della ricezione del compenso ovvero, alternativamente, al momento stesso della prestazione del servizio. Tanto, del resto, si desume inequivocabilmente dal testo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18, il quale dopo avere stabilito, al comma 1, che il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibili deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente, al comma 2 dispone che la rivalsa non deve essere esercitata per le operazioni effettuate senza emissione di fattura (Cass. n. 17876 del 2013; anche Cass. n. 22276 del 2016).

3. – Va dunque accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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