Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20715 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24670/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente –

contro

F.L.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, n. 629/12/2018 depositata in data 13 febbraio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 9 luglio 2020 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Emerge dalla sentenza impugnata che il contribuente F.L., esercente la professione di avvocato, ha impugnato una cartella di pagamento relativa al periodo di imposta dell’anno 2008 per omesso pagamento IRAP, deducendo di esercitare la propria professione in uno studio privo di struttura organizzata e allegando che, in concreto, le prestazioni svolte dai professionisti associati non creassero valore aggiunto al proprio reddito professionale.

La CTP di Palermo ha rigettato il ricorso e la CTR della Sicilia, con sentenza in data 13 febbraio 2018, ha accolto l’appello del contribuente.

Ha osservato il giudice di appello che, benchè il contribuente svolgesse la professione all’interno di una associazione di avvocati esercenti l’attività di custodi – circostanza costituente indizio dell’esistenza di una stabile organizzazione ai fini IRAP – il contribuente ha dedotto di non avere svolto alcuna attività professionale all’interno dello studio, circostanza in relazione alla quale l’Ufficio non ha fornito prova contraria.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a un unico motivo, articolato sotto due distinti profili; l’intimato non si è costituito in giudizio.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1 – Con l’unico motivo si deduce sia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, art. 2697 c.c. nonchè violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – sia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2 – Sotto il primo profilo, il ricorrente deduce violazione delle regolo di distribuzione dell’onere della prova, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di imporre all’amministrazione finanziaria l’onere di provare l’effettivo svolgimento di attività professionale all’interno dei locali dell’Associazione professionale ove opera il contribuente. Deduce l’Ufficio ricorrente che la cartella aveva ad oggetto l’imposta dichiarata e non versata, sicchè era onere del contribuente dare la prova dell’assenza delle condizioni per l’applicazione dell’imposta, onere non assolto per effetto della mera affermazione di non avere svolto alcuna attività all’interno dei locali della suddetta associazione professionale.

1.2 – Sotto il secondo profilo, il ricorrente deduce che sarebbe stato trascurato l’esame da parte del giudice di appello della circostanza in fatto – evidenziata dallo stesso ricorrente sin dal ricorso di primo grado (ricorso introduttivo allegato al ricorso per cassazione indicato sub. n. 1) – di svolgere la professione forense all’interno dello studio professionale unitamente al padre, circostanza che di per sè integrerebbe la prova della sussistenza di una autonoma organizzazione.

2 – Il ricorso è fondato in relazione ad entrambi i profili.

2.1 – Si premette che, pur non essendo stata prodotta la cartella di pagamento oggetto di impugnazione, risulta accertato dalla sentenza impugnata che il contribuente esercita la professione all’interno di uno studio associato (“dalla documentazione versata agli atti emerge che il contribuente appellante esercita la propria professione di avvocato nel medesimo immobile in cui si trova l’associazione di avvocati esercenti l’attività di custodi”), circostanza in relazione alla quale il contribuente ha contestato il presupposto impositivo in ragione della insussistenza della stabile organizzazione (“il contribuente deduceva che la propria attività professionale, benchè esercitata in uno studio professionale, risultava essere priva di struttura organizzata con modesto uso di beni strumentali (…) e che le prestazioni dei singoli associati non creavano valore aggiunto al proprio reddito di avvocato”).

2.2 – Deve, quindi, ritenersi accertato dalla CTR che l’IRAP è stata richiesta al contribuente sul presupposto che questi svolgesse attività professionale all’interno di uno studio associato.

2.3 – Va, ulteriormente, rilevato, in relazione alla dedotta violazione di legge relativa alle regole di distribuzione dell’onere della prova, che nella specie non si verte in tema di richiesta del contribuente di rimborso di IRAP versata in assenza di presupposti, bensì in tema di impugnazione di cartella di pagamento emessa a seguito della liquidazione dell’imposta dichiarata e non versata dal contribuente (“cartella (…) con la quale l’Amministrazione Finanziaria richiedeva (…)D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis la somma complessiva di Euro 7.600,57 per omesso pagamento dell’imposta IRAP”). Il recupero a tassazione dell’IRAP non versata consegue, pertanto, alla presentazione di dichiarazione dei redditi con esposizione di debito IRAP di cui è stato omesso il versamento.

2.4 – Nel qual caso, “in applicazione delle regole generali sulla distribuzione dell’onere probatorio stabilite dall’art. 2697 c.c., spetta al contribuente che ritratta la propria dichiarazione fornire la prova del fatto impedivo della obbligazione tributaria (asserita mancanza della autonoma organizzazione)” (Cass., Sez. V, 9 marzo 2018, n. 27127), determinandosi, altrimenti, un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono il versamento (Cass., Sez. V, 9 marzo 2018, n. 5728).

2.5 – Fatte tali premesse, deve ritenersi che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di distribuzione dell’onere della prova. A fronte della contestazione dell’Ufficio di debenza di IRAP per il fatto che il contribuente svolgesse l’attività professionale all’interno di uno studio associato, spetta al contribuente provare ai fini della insussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP che il luogo di svolgimento della propria attività professionale non abbia alcun collegamento con la ivi presente associazione professionale, laddove la sentenza impugnata ha erroneamente posto a carico dell’Ufficio l’onere di provare la sussistenza della stabile organizzazione.

2.6 – Nè può costituire assolvimento dell’onere della prova la mera dichiarazione della parte di avere “dedotto di non avere svolto alcuna attività all’interno di uno studio associato”, asserzione (come nota il controricorrente) “labialmente” affermata, senza accertamento in fatto e senza indicazione di alcun supporto probatorio.

3 – Fondato è, altresì, l’ulteriore profilo denunciato dal ricorrente, nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare la circostanza in fatto, secondo cui il ricorrente svolgeva la professione in un luogo in cui operava professionalmente anche un proprio congiunto (genitore), anche egli avvocato.

3.1 – Lo svolgimento dell’attività professionale in forma collettiva fa, normalmente, conseguire agli aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio, le sostituzioni in attività – materiali e professionali – da parte di colleghi di studio, l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la possibilità di conferenze e colloqui professionali (Cass., Sez. V, 15 gennaio 2019, n. 766), con conseguente presunzione di sussistenza di autonoma organizzazione, come rilevato in punto di diritto dalla stessa sentenza impugnata.

3.2 – Ove, poi, vi sia prova del fatto che il professionista si avvalga della collaborazione di altro professionista (specie ove sia coniuge o parente), sussiste di per sè il presupposto dell’autonoma organizzazione, pur in assenza di un formale rapporto di associazione professionale (Cass., Sez. VI, 18 gennaio 2018, n. 1089). Nel qual caso, non è l’Ufficio a dover provare la sussistenza dei requisiti della stabile organizzazione, ma il contribuente a dovere dare la prova contraria della insussistenza o del venir meno dei requisiti di imponibilità IRAP.

4 – Va, pertanto, richiamato il principio di diritto, enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui l’esercizio di professioni in forma societaria costituisce ex lege presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività (Cass., Sez. U., 14 aprile 2016, n. 7371); nel qual caso spetta al contribuente provare l’insussistenza dello svolgimento della professione in forma associata, ovvero l’insussistenza della fruizione di benefici organizzativi recati dalla associazione professionale.

5 – La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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