Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20713 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. II, 31/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 31/07/2019), n.20713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6581/2015 proposto da:

C.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

PLEBISCITO 107, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CUGGIANI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BENEDETTO

COSTANTINO;

– ricorrente –

contro

S.F.A., elettivamente domiciliato in Partinico

(PA), VIA BENEVENTO 30, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

DENARO che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè

C.S., C.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1552/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Partinico, accoglieva la domanda di rivendica di C.A., accertando il suo diritto di proprietà esclusiva sulla particella (OMISSIS) relativa ad un appezzamento di terreno sito nel comune di (OMISSIS) e il suo diritto di comproprietà pro quota con i germani, S. e R., delle particelle (OMISSIS), e condannava S.F.A. alla reintegra dell’attrice nel possesso del fondo di sua proprietà, parzialmente occupato illegittimamente, costituito dalle particelle indicate oltre ad una porzione della particella (OMISSIS). Il Tribunale, infine, accertava il confine intercorrente tra il fondo dell’attrice e quello del convenuto con riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

2. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello S.F.A..

3. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione e dichiarava l’acquisto per usucapione del fondo sito in (OMISSIS), al foglio (OMISSIS) del catasto, particelle (OMISSIS), in capo a S.F.A., mentre rigettava la domanda di rivendica spiegata da C.A.. Dichiarava assorbita la domanda di regolamentazione dei confini e regolava le spese di lite.

La Corte d’Appello riteneva provato che i danti causa dell’appellante, F. – V., avevano assunto il possesso della striscia di terreno oggetto della domanda di rivendica e della correlata domanda riconvenzionale di usucapione, sin dal momento in cui avevano realizzato l’edificio insistente sul fondo, che insisteva sulla particella 842, a confine con la particella (OMISSIS).

Gli stessi avevano utilizzato la striscia di terreno, impiantandovi anche una serie di utilità in funzione del godimento dell’edificio. Tale situazione risaliva al 1977 e, dunque, risultava provato il possesso ad usucapionem rispetto alle particelle numero (OMISSIS), nonchè alla piccolissima porzione della particella (OMISSIS) la cui occupazione era stato accertata e descritta dal consulente tecnico nella relazione depositata in primo grado.

In particolare, la Corte d’Appello, valutava le risultanze testimoniali, comprese le dichiarazioni del marito della originaria attrice il quale aveva riferito che V.A., talvolta, durante il periodo estivo andava ad abitare in contrada (OMISSIS), confermando l’uso anche se sporadico dell’immobile. Inoltre, non poteva accogliersi il rilievo dell’appellata circa la tolleranza dell’occupazione delle particelle perchè tale tolleranza non poteva presumersi e non risultava provata.

Pertanto, lo S. aveva provato il possesso uti dominus delle particelle oggetto della domanda riconvenzionale, in quanto poteva unire il suo possesso a quello dei suoi danti causa, cominciato nel 1977, ex art. 1146. Infine la Corte d’Appello evidenziava che l’attrice che aveva in subordine formulato la richiesta di accertamento della propria usucapione non aveva provato il relativo possesso. Il rigetto della domanda di rivendica di usucapione dell’originale attrice comportava l’assorbimento della domanda di regolamentazione di confini spiegata in subordine all’accoglimento delle precedenti.

4. G.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.

5. S.F.A. ha resistito con controricorso.

6. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza C.A.M. ha insistito nella propria richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1144 c.c. e degli artt. 2727 e 2729c.c..

La ricorrente contesta in primo luogo l’interpretazione dell’art. 1144 c.c., compiuta dalla Corte d’Appello che ha escluso la sussistenza della tolleranza nonostante il rapporto di parentela tra la ricorrente e gli occupanti le particelle dichiarate usucapite.

Infatti, mentre la tolleranza connessa alla lunga durata del godimento non può presumersi quando ricorrano relazioni di amicizia e di buon vicinato, ciò muta quando, invece, si tratta di rapporti di parentela.

Sìcchè, il vincolo di stretta parentela intercorrente tra la ricorrente e i danti causa dello S., doveva consentire di ritenere meramente tollerata l’occupazione, nonostante la lunga durata e la considerevole incidenza degli atti posti in essere dagli zii della ricorrente, i quali, pertanto, non potevano essere considerati possessori ma meri detentori delle particelle (OMISSIS).

Inoltre, secondo la ricorrente, la Corte di Appello di Palermo aveva erroneamente ritenuto provato il possesso in capo ai F. – V. nonostante risultasse accertato che C.A. aveva chiesto di procedere all’accertamento dei confini dopo aver saputo dell’intenzione dei primi di vendere il fondo.

Risultavano, dunque, violati anche gli artt. 2727 e 2729 c.c., in materia di prova per presunzioni.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare le missive che, a parere della ricorrente, proverebbero il fatto che l’occupazione delle particelle era stata solo tollerata fino al momento in cui C.A. era venuta a conoscenza della volontà dei parenti di vendere il fondo limitrofo.

Tali missive costituivano circostanze decisive per giudizio che se prese in considerazione dal giudice d’Appello avrebbero portato alla conferma della mancanza del possesso ad usucapionem dei signori F. – V..

2.1 I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono fondati.

La ricorrente pone due distinte questioni, la prima attiene alla violazione dell’art. 1144 c.c., sulla tolleranza ai fini del possesso nell’ambito dei rapporti di parentela, e la seconda, connessa alla prima, attiene alla violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in materia di prova per presunzioni e all’omesso esame delle missive quale prova della mera tolleranza.

La Corte d’Appello ha ritenuto di escludere la mera tolleranza del possesso in capo al controricorrente sulla base del lungo tempo trascorso, affermando erroneamente che il lungo tempo trascorso valesse ad escludere la presunzione di tolleranza, senza tener conto del rapporto di stretta parentela esistente tra i ricorrenti e i F. – V., danti causa di S., odierno controricorrente.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, invece, “In tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacchè nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo (Sez. 2, Sent. n. 11277 del 2015).

Nella specie, dunque, il lungo tempo trascorso nella situazione di fatto emersa dall’istruttoria così come descritta in sentenza non valeva ad escludere la presunzione di tolleranza derivante dal rapporto di parentela esistente tra la ricorrente e i danti causa dello S., coniugi F. – V..

Peraltro, in sentenza non si fa alcun cenno alle missive mediante le quali la ricorrente, venuta a conoscenza della volontà dei parenti di vendere l’immobile, aveva comunicato la propria volontà di procedere all’accertamento dei confini tra i due fondi e aveva intimato la rimozione della recinzione e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

In tema di ricorso per cassazione, integra un vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., in L. n. 134 del 2012, l’omesso esame di un fatto storico, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia (ex plurimis Sez. L, Sent. n. 16703 del 2018).

Le suddette missive prodotte in giudizio e oggetto di discussione tra le parti (come indicato dal ricorrente a pag. 15 e 16 del ricorso) sono state del tutto omesse nella motivazione del giudice del merito, mentre assumono un carattere decisivo circa la prova della tolleranza.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente ritiene erronea la sentenza nella parte in cui afferma che non aveva assolto l’onere probatorio relativo al suo diritto di proprietà in relazione alla domanda di rivendica. L’onere probatorio, infatti, in presenza dell’opposta domanda di usucapione risultava attenuato e, dunque, il suo diritto di proprietà era stato pienamente provato.

3.1 Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello pur avendo accolto la domanda di usucapione dello S. ha affermato che non si era raggiunta la prova della proprietà in capo alla ricorrente che aveva agito in rivendica. Da un lato tale statuizione è del tutto irrilevante alla luce dell’accoglimento della domanda del controricorrente di acquisto a titolo originario del bene conteso, e dall’altra contraddice l’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale: “Il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto (Sez. 2, Sent. n. 694 del 2016 e n. 22598 del 2010).

Nel caso in esame la ricorrente aveva dedotto un titolo di acquisto del 1977 da un comune dante causa ( P.E.) che aveva trasferito le proprietà confinanti, con un unico atto, sia a lei che ai coniugi F. – V. (danti causa dello S.): V. pag. 18 del ricorso e pag. 1 della motivazione della sentenza impugnata.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 1, convertito in L. n. 27 del 2012, L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, nonchè dell’art. del d. m. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La ricorrente, dolendosi della condanna alle spese, lamenta l’erronea applicazione delle tariffe professionali in quanto il D.M. n. 55 del 2014, che si applica alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore è antecedente alla stesura della sentenza e, dunque, la Corte d’Appello di Palermo doveva utilizzare i parametri ivi indicati. Pertanto, la liquidazione delle spese in Euro 5700 era eccessiva visto che il valore della causa era pari a Euro 5200. Dunque applicando i valori medi l’ammontare complessivo delle spese di lite non avrebbe dovuto superare la somma di Euro 2775.

4.1 Il quarto motivo è logicamente assorbito dall’accoglimento dei primi tre, dovendo la regolamentazione delle spese, comprese quelle del giudizio di legittimità, essere rivalutata dal giudice di rinvio che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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