Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20713 del 10/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20713 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

SENTENZA

sul ricorso 26985-2007 proposto da:
CERBONE CARLO C.F.CRBCRL69M11F839E, RUSSANO ROSANNA
C.F.RSSRNN63D58F839D, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149, presso lo studio
dell’avvocato FIDENZIO SERGIO (DECEDUTO),
rappresentati
2013

e

difesi

dall’avvocato

OLIVIERI

GIUSEPPE;
– ricorrenti –

1748

contro

ESPOSITO

MATTIA,

FUSCO

MARIA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, FORO TRAIANO 1/A, presso lo

Data pubblicazione: 10/09/2013

y

studio

dell’avvocato

PALMA

ANTONIO,

che

li

rappresenta e difende;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 2775/2006 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/09/2006;

udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito l’Avvocato Olivieri Giuseppe difensore dei
ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito L’Avv. Attilio Terzino con delega depositata in
udienza dell’Avv. Palma Antonio difensore dei
controricorrenti che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 2.4.99 Maria Fusco e Mania Esposito,proprietari di un fondo con
sovrastante fabbricato in Caivano,citarono al giudizio del Tribunale di Napoli i vicini Carlo
Cerbone e Rossana Russo,per sentirli condannare all’arretramento,oltre al risarcimento dei
darmi,dell’edificio dai medesimi costruito sul loro suolo,in quanto posto a distanza inferiore

all’art. 17 L.n. 765 del 6.8.1967 ed al D.M. 2.4.1968 n. 1444.
La domanda, che i convenuti avevano contestato opponendo la legittimità dell’edificazione,
all’esito della consulenza tecnica di ufficio,venne respinta,con il carico delle spese,con
sentenza n. 10287 del 2002, avverso la quale gli attori proposero appello, che,nella
resistenza degli appellati,venne accolto dalla Corte di Napoli,con sentenza dei 24/58.8.2006,condannando il Cerbone e la Russano “ad arretrare,mediante demolizione,i1
primo,secondo e terzo piano dell’edificio….per la sola parte in corrispondenza dei manufatti
costruiti dagli appellanti …fino alla distanza di m. 6,5 … a confine tra la loro proprietà e
quella degli appellati”, oltre al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Tale decisione veniva motivata sull’essenziale rilievo che,pur non prevedendo la normativa
locale alcuna distanza degli edifici rispetto al confine,era invece prevista dall’art. 45 del
regolamento edilizio allegato al locale piano di fabbricazione,richiamante il D.M. n. 1444
del 1968,una distanza rispetto ai preesistenti fabbricati vicini (nella specie costituiti da “due
piccoli manufatti a confine” in precedenza realizzati dagli attori ) pari all’altezza del nuovo
edificio;in concreto,tenuto conto delle altezze variabili,nelle sue diverse componenti,
dell’edificio costruito dai convenuti,lo stesso era risultato parzialmente irregolare, quanto
alle distanze,nelle parti come sopra individuate.
Avverso la suddetta sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a
cinque motivi,cui hanno resistito gli intimati con rituale controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
1

a quella prescritta dal regolamento edilizio locale e non conforme alle disposizioni di cui

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “nullità della sentenza e del procedimento per
violazione degli artt. 329,2^ comma c.p.c. e 324 c.p.c.(art. 360 n. 4 c.p.c.), lamentando, nella
parte motiva,e formulando in quella conclusiva adeguato quesito di diritto,che i giudici di

violazione delle distanze rispetto ai fabbricati frontistanti,dichiarata inammissibile,perché
nuova,dal giudice di primo grado,che aveva esaminato nel merito,rigettandola,soltanto quella
basata sulla diversa causale dell’inosservanza della distanza dal confine;tale dichiarazione
d’inammissibilità,si soggiunge,non era stata impugnata dagli appellanti,e,pertanto,la
questione sarebbe stata preclusa dal giudicato interno.
Con il secondo motivo si deduce “nullità del procedimento e della sentenza per violazione
degli artt. 183,189,1^ comma,281 quinquies, 1^comma,345,1^ comma,c.p.c. (art. 360 n. 4
c.p.c.)”,essenzia1mente ribadendo,come si rileva dal formulato quesito ex art. 366 bis
c.p.c.,sotto la diversa ottica delle citate disposizioni processuali,la tesi dell’inammissibilità
della domanda,con riferimento alla causale della distanza tra costruzioni correlata all’altezza,
formulata dagli attori tardivamente in primo grado e poi con l’atto di appello,domanda
erroneamente accolta dalla corte territoriale,nonostante gli appellati avessero riproposto
l’eccezione di inammissibilità sollevata in primo grado.
I suesposti motivi,da esaminare congiuntamente per la stretta relazione delle censure,sono
privi di fondamento.
Con l’atto introduttivo del giudizio (il cui diretto esame è consentito in questa sede per la
natura processuale delle proposte censure ) gli attori non si limitarono a denunciare la
violazione della distanze rispetto al proprio fabbricato,ma dedussero a fondamento delle
richieste, demolitoria e risarcitoria,anche il contrasto tra l’edificazione posta in essere dai
vicini e “le norme di cui all’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 e quelle del D.M. 2
2

appello avrebbero indebitamente preso in esame ed accolto una domanda,quella basata sulla

aprile 1968 n. 1444 che,anch’esse,hanno natura di norma integrativa del Codice Civile e
quindi inderogabili”(così testualmente a pag. 2,cpv. secondo,dell’atto di citazione).
A tanto aggiungasi che la richiesta di arretramento della costruzione dei vicini,basata
sull’assunta violazione della normativa sulle distanzgvale a dire dell’art. 873 c.c. e di tutte le
norme,statali o locali,integrative della relativa disciplina,costituiva una domanda a tutela

legittimità dell’esercizio in concreto dello ius aedificandi da parte dei proprietari confinanti,
in funzione della quale il fondamentale principio iura novit curia imponeva al giudice,quali
che fossero i richiami normativi dedotti dalla parte attrice,a ricercare ed applicare alla
fattispecie le norme di relazione pertinenti (in proposito v. Cass. n. 2965 del 1998,che in
fattispecie analoga esclude il vizio di extrapetizione).
Nessuna violazione,pertanto,del principio di corrispondenza di cui all’art. 112 c.p.c. vi è stato
da parte della corte di merito,né di eventuali giudicati interni, tanto più che gli appellanti
attori, avevano,nell’atto di impugnazione devoluto al giudice il riesame totale della questione
sulle distanze,espressamente,tra l’iatro e segnatamente,lamentando la mancata applicazione
da parte del primo giudice delle norme previste dagli artt 17 della L. 765/67 (introduttivo
dell’art. 41 quinquies L. 1150/1942) e 9 del D.M. 1444/68,che il Tribunale, ponendosi in
palese contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le tante v. nn.
11431/09,17089/06, quanto alla prima disposizione,nn. 5878/06,22495/07,3199/08,quanto
alla seconda), aveva erroneamente ritenuto dirette ai soli Comuni e non integrative della
disciplina codicistica.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del locale
regolamento edilizio,sostenendo che tale norma,disciplinando le altezze massime degli
edifici e i criteri di calcolo nelle distanze ammissibili fra i fabbricati,non conterrebbe alcuna
previsione del distacco fra costruzioni (come fra costruzioni e confine),così come confermato
dalla nota in data 27.9.2001 del Comune di Caivano,di cui il primo giudice aveva tenuto
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della proprietà,riconducibile alla previsione di cui all’art. 849 c.c., diretta a negare la

conto. Né varrebbe il richiamo,contenuto nella suddetta norma,a1 D.M. n. 1444/1968,in
riferimento all’art. 41 quinquies

L. 1150/1942, poiché quest’ultima disposizione (che si

assume “peraltro non d’immediata applicazione tra privati”),prevedendo per le zone C (come
quella in considerazione) distacchi tra pareti finestrate,qualora gli edifici si fronteggino per
almeno 12 metri,non avrebbe potuto trovare applicazione nella specie,in cui i fabbricati si

tra le costruziont sarebbe stata nella specie quella di m. 3 prevista dall’art. 873 c.c. (v.
quesito di diritto).
Anche tale motivo va respinto.
Richiamato il principio,in precedenza ribadito,a termini del quale le norme statuali sopra
indicate devono considerarsi integrative di quelle codicistiche in tema di distanze,e non
derogabili da quelle locali,è agevole osservare che la dedotta assenza nella normativa
regolamentare locale di norme prevedenti distanze diverse da quelle di cui all’art. 873 c.c.
non giova alla tesi sostenuta dai ricorrenti,tenuto conto dell’altro principio, consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte,secondo cui la norma contenuta nell’art. 41 quinquies
lett. c) della legge n. 1150/1942,introdotta con l’art. 17 della L.n. 765 del 1967,secondo la
quale,nelle nuove edificazioni a scopo residenziale, “la distanza dagli edifici vicini non può
essere inferiore all’altezza di ciascuna fronte dell’edificio da costruire”,va osservata non solo
nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico,ma anche quando negli
stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme specifiche che provvedano direttamente in
materia di distanze (v. S.U. n. 11489 del 1.8.2002,conf.,tra le altre, Cass.2^ nn. 17861/02,
7225/06,13338/06).
Poco o punto rileva,infine,nella fattispecie,in cui il giudice di merito ha tenuto conto della
disposizione di cui sopra (peraltro applicandola in termini più favorevoli alla parte
convenuta, limitando il distacco da osservare alla metà dell’altezza),i1 richiamo all’art. 9 del

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fronteggiavano per meno di 12 metri e senza pareti finestrate; sicché la distanza applicabile

D.M. 1444/68,disposizione nella specie inconferente,non vertendosi in ipotesi di
fronteggiamento tra pareti finestrate.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.,115 e 116
c.p.c., per avere la corte di merito ritenuto,aí fini dell’applicazione del principio della
prevenzione,che l’edificazione da parte degli attori avesse preceduto quella dei

dato atto nella sentenza di primo grado (con argomentazione non censurata dagli
appellanti),avevano realizzato nel 1983 i piani seminterrato,terra e primo;né in contrario
avrebbe potuto attribuirsi valenza decisiva al contenuto della comparsa conclusionale degli
appellati,non potendo l’argomento di prova desumersi da una isolata affermazione
difensiva,di per sé sola inidonea a connotare il contegno processuale della parte.
Anche tale motivo è privo di fondamento.
Premesso che la questione dedotta risulta rilevante soltanto in relazione a quella parte della
decisione relativa all’arretramento parziale del primo piano,risalente al 1983,del fabbricato
dei ricorrenti convenuti (avendo il giudice di appello ritenuto regolari le distanze quanto ai
piani sottostanti,mentre,per quelli superiori,secondo e terzo,la relativa edificazione risulta
avvenuta nel 1993),si osserva che anche in tali limitati termini di astratta decisività,la
censura non merita accoglimento,attaccando una valutazione in fatto adeguatamente motivata
dalla corte di merito,che non si è limitata a valorizzare una stzr isolata affermazione
difensiva,contenuta nella comparsa conclusionale,ma,come si rileva dalla motivazione, ha
tenuto conto anche della precedente e richiamata ammissione,circa l’anteriore esistenza dei
due fabbricati attorei sul confine, contenuta nella comparsa di costituzione e risposta di primo
grado di tale parte,nella quale si era addirittura articolato una richiesta di prova testimoniale
in tal senso. In cospetto dell’inequivoca convergenza di tali ammissioni,relative ad una
circostanza di fatto sulla quale era stata improntata,a contestazione dell’avversa domanda,
l’iniziale linea difensiva (evidentemente diretta a dimostrare che anche gli attori non
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convenuti,senza prove al riguardo,né tener conto che questi ultimi,come accertato dal c.t.0 e

avevano rispettato quella distanza dal confine da loro addebitata ai convenuti),
ragionevolmente la corte di merito non ha tenuto conto di altre deduzioni difensive di tenore
diverso,in quanto funzionali alla subordinata tesi della prevenzione,poi sviluppata e
privilegiata nel grado di appello.
Con il quinto motivo si deduce omissione,insufficienza o contraddittorietà della motivazione

della costruzione dei due piccoli fabbricati degli attori,la cui preesistenza,rispetto alle
edificazioni dei convenuti ( seminterrato,piano terra e primo piano del 1983,ampliamento del
piano rialzato e sopraelevazione in secondo e terzo piano del 1997),data per scontata dalla
corte,non solo non era stata provata,ma era stata espressamente contestata nella comparsa
conclusionale di primo grado dai convenuti.
Il motivo, sostanzialmente ripetitivo del precedente,va respinto per le medesime ragioni
sopra esposte.
Si rigetta,conclusivamente,i1 ricorso,con condanna dei soccombenti alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del
giudizio,liquidate in complessivi C 3.200,00 di cui 200 per esborsi,in favore dei
controricorrenti.
Così eciso in Roma il 26 giugno 2013.

Il C

Il Pr5rte

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma, i 0 SET. 2013

sul fatto controverso e decisivo,ai fini della prevenzione,costituito dall’anteriorità (o meno)

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