Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20711 del 01/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20711 Anno 2014
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 18708-2009 proposto da:
DI BIASE F.LLI & C. SOCIETA’ SEMPLICE AGRICOLA in
persona dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
AURELIA 325, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA
DI GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato DI
CARLO FABRIZIO giusta delega a margine;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona
domiciliatd
del Direttore pro tempore, Q3.1. ~-eamM’Ite
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 01/10/2014

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controrícorrente nonchè contro
DIREZIONE PROVINCIALE AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO
DI PESCARA;

n.
126/2009
della
sentenza
eAt i Manzo,
COMM.TRIB.REGYPEZ.DIST. di PESCARA, depositata il
avverso

la

25/05/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/06/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
MARULLI;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che
si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’inammissibilità e in subordine il rigetto del
ricorso.

– intimato

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. A seguito di verifica fiscale della G.d.F., l’Agenzia delle entrate
notificava alla Di Biase F.11i & C. società semplice agricola, esercente
l’attività di trasformazione in vino dell’uva coltivata su vigneti di proprietà
quali procedeva a rettificare le dichiarazioni IVA, ILOR, IRPEF e IRAP,
che la parte aveva presentato per gli anni dal 1997 al 2000, qualificando il
proprio reddito come agrario ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett c) D.P.R.
917/86 e assoggettando la propria attività al regime speciale previsto
dall’art. 34 D.P.R. 633/72, sul rilievo, motivato in particolare dagli ingenti
investimenti in attrezzature sostenuti dalla società e dal fatto che oltre la
metà dell’uva trasformata provenisse da terzi, che l’attività anzidetta non
rientrasse nell’esercizio normale dell’agricoltura secondo la tecnica che lo
governa, sicché i redditi prodotti andavano più rettamente considerati come
redditi di impresa ai fini delle imposte dirette e non era altrimenti
applicabile il regime speciale ai fini dell’IVA.
1.2. L’appello della contribuente avverso la sentenza di primo grado, che
ne aveva parzialmente accolto il ricorso limitando la riqualificazione del
reddito come reddito di impresa solo alla parte di esso eccedente i limiti
quantitativi stabiliti dall’art. 29 Tuir, confermando viceversa la legittimità
dell’operato dell’ufficio in punto di forfetizzazione delle detrazioni, era
respinto dalla CTR Abruzzo con la sentenza qui impugnata sulla base della
ritenuta infondatezza delle eccezioni relative alla violazione dell’art. 12,
comma 5, 1. 212/00 e all’inammissibilità dell’appello incidentale della
resistente Agenzia, nonché della considerazione, nel merito, che la pretesa
estensione all’IVA dell’interpretazione che il giudice di prime cure aveva
dato della normativa in materia di imposte dirette trovava nella specie
ostacolo nella “barriera invalicabile” innalzata dal legislatore tra le due
forme di imposizione, “che non ammette nemmeno in sede di
interpretazione né tampoco di analogia G•1 una automatica trasposizione di
RG 18708/2009

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o ricevuti in comodato da terzi, distinti avvisi di accertamenti a mezzo dei

norme dal campo della disciplina sul reddito a quello dell’IVA, anche per
effetto altresì del riferimento operato dal citato art. 34 al testo dell’art. 2135
del codice civile vigente ratione temporis”.
1.3.In accoglimento dell’appello incidentale dell’Agenzia, che si era doluta
delle imposte dirette e dell’inclusione dei terreni in comodato nel calcolo
dell’estensione dei terreni operato ai fini della quantificazione del prodotto
aziendale, la CTR aveva invece ritenuto di affermare, quanto al primo
rilievo, che con la previsione risultante dall’art. 29 Tuir era intenzione del
legislatore “fissare una soglia percentuale che segna una linea di confme tra
attività agricola e attività commerciale per cui quando nelle attività
connesse a quelle agricole concorrono nei processi di trasformazione dei
prodotti provenienti dalla coltivazione dei terreni e da acquisti di prodotto
presso terzi, non si consegue contemporaneamente reddito agrario e reddito
di impresa in percentuale scaturente dalla maggiore o minore incidenza
delle due tipologie di prodotto investito nella attività di trasformazione e di
alienazione bensì reddito agrario e reddito di impresa a seconda che venga
garantita o superata ovvero non superata la soglia del cinquanta per cento
del prodotto proveniente dalla coltivazione del terreno”; e, quanto al
secondo rilievo, che la natura simulata di alcuni contratti era stata recepita
dall’Ufficio nell’ambito della potestà accertativa attribuita dalla legge
all’amminsitrazione finanziaria” ed in quella sede, come anche in sede
contenziosa, era perciò nei poteri di questa “dedurre e contestare la
simulazione di natura contrattuale”.
1.4. La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dalla parte in forza di
cinque motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’impugnante deduce insieme
violazione e falsa applicazione di legge e vizio di motivazione ai sensi
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della parziale riqualificazione del reddito operata dal primo giudice ai fini

dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione, la prima, all’art.
12, comma 5, 1. 212/00 in quanto la CTR, disattendendo la preliminare
eccezione sollevata sul punto con cui si evidenziava, tra l’altro, in fatto che
la verifica fiscale a cui avevano proceduto nella specie i militari della
ogni caso eccedendo il termine previsto dalla norma citata, aveva ritenuto la
circostanza irrilevante ai fini dell’utilizzabilità degli elementi raccolti nel
corso delle operazioni, malgrado fosse evidente che per questa ragione “il
procedimento di verifica .

3 apparisse gravemente viziato e che andasse

completamente riesaminata la posizione della deducente alla luce dei soli
atti legittimamente acquisiti e dunque utilizzabili”.
2.2. Il secondo motivo addebita alla sentenza d’appello violazione e falsa
applicazione di legge e vizio di motivazione ex art 360, primo comma, n. 3
e n. 5 c.p.c. in relazione, la prima, agli artt. 36 D.P.R. 655/82, 149 c.p.c. , 4
e 7 1. 890/82 nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’appello incidentale
proposto dall’ufficio con la memoria di costituzione depositata il 22.3.2008,
malgrado l’eccepita tardività di esso (era dimostrato, sulla scorta di quanto
disposto dall’art. 36 D.P.R. 655/82, che la raccomandata a mezzo del quale
era stato notificato il ricorso in appello, quantunque consegnata il
22.1.2008, era stata tuttavia posta “nella disponibilità giuridica e fattuale
dell’Agenzia il giorno 21.1.2008 come attesta inequivocabilmente l’avviso
di ricevimento” portante appunto tale data ancorché non sottoscritto) e
malgrado pure la sua inammissibilità (l’appello era rivolto ad ottenere la
riforma della sentenza di primo grado “per ragioni completamente
indipendenti rispetto a quelle fatte valere con l’appello principale”, di modo
che ad esso non potevano applicarsi i termini dell’art. 334 c.p.c.).
2.3. Con il terzo motivo si censurano i giudici di appello per violazione e
falsa applicazione di legge e vizio di motivazione rilevanti ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c. in relazione la prima all’art. 34 D.P.R.
633/72 per aver respinto il gravame sul punto dell’applicabilità del regime
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G.d.F. si era protratta a seconda dei casi per 51 giorni o per 36 giorni, in

speciale ai fini dell’IVA, facendo proprio il convincimento dei primi
giudici che avevano attribuito rilievo dirimente alla circostanza
dell’acquisto presso terzi di uve in quantità prevalente rispetto a quella
direttamente proveniente dalla coltivazione del fondo, ancorché, almeno
“l’attribuzione della natura dell’imprenditore agricolo non presupponesse
alcun calcolo di prevalenza dell’origine dei prodotti derivanti dal fondo,
limitandosi a richiedere l’esercizio di un’attività comunque connessa in
qualche misura allo sfruttamento del fondo a disposizione
dell’imprenditore”
2.4. Violazione e falsa applicazione di legge e vizio di motivazione ex art.
360, coniala primo, n. 3 e n. 5, la prima in relazione agli artt. 29 e 51 Tuir si
denunciano con il quarto motivo di gravame / atteso che decretando
l’assoggettamento all’una o all’altra tipologia di imposizione a seconda che
si superi o meno la soglia del cinquanta per cento del prodotto tratto dal
fondo, “la statuizione della CTR si pone in contrasto con
un’interpretazione consolidata della normativa cristallizzata da 10-15 anni
almeno anche nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi”, in guisa delle
quali solo le attività eccedenti i limiti quantitativi per essere considerati
redditi agrari sono considerati come redditi di impresa.
2.5. Con il quinto motivo, l’impugnante si duole della violazione e falsa
applicazione di legge e vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 3
e n. 5, la prima in relazione agli artt. 29 Tuir,, 54 13.1g. 546/92, 2697, 2729
e 1803 c.c. perché, motivando nei riferiti termini quanto alla simulazione
di alcuni dei contratti di comodato, la CTR aveva mostrato di “ignorare un
dato di comune esperienza” rappresentato dall’interesse del proprietario
acché i terreni a vigneto siano debitamente coltivati ed era altresì venuta
meno all’onere della prova sul punto, non esistendo invero “alcun indizio,
men che mai grave, preciso e concordante, che consenta di far ritenere
simulati i contratti in questione”
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sino alla novellazione dell’art. 2135 c.c. ad opera del D.P.R. 228/01,

3.1. Tutti i motivi, così come riassuntivamente riportati, sono affetti da
plurime ragioni di inammissibilità per contrarietà al precetto delle
specificità del motivo di cui all’art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c. e per
difetto nella formulazione dei quesiti a mente dell’art. 366-bis c.p.c..
legge e vizio di motivazione e di quesiti la cui stesura non ottempera ai
canoni che da tempo questa Corte ha inteso enunciare con specifico
riferimento tanto all’uno che all’altro dei dedotti motivi di ricorso.
3.2. Merita perciò di essere innanzitutto rammentato che questa Corte, sul
filo di un insegnamento che raccomanda, in ossequio ad un criterio di
necessaria correlazione tra motivo di gravame ed interpello del giudice di
legittimità, che nel caso in cui i motivi si articolino in plurime ed autonome
censure di vizi diversi e, segnatamente, nel caso in cui la loro
prospettazione si presenti formalmente unica, la formulazione di tanti
quesiti per quanti sono i profili oggetto di denuncia (SS.UU. 5624/09), ha
già avuto modo di chiarire, riguardo ai motivi c.d. “misti”, molto frequenti
nella pratica (soprattutto con riferimento alle ipotesi di cui ai nn. 3 e 5
dell’art. 360 c.p.c.,

comma primo), con i quali vengano in un unico mezzo

d’impugnazione, cumulate due o più censure sussumibili sotto diverse
categorie di vizi di legittimità, che “tale modalità di formulazione risulta
irrispettosa del canone della specificità del motivo d’impugnazione nei casi
in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo d’impugnazione non
risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro
vizio,determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da
rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle
censure” (SS.UU. 17931/13).
L’inammissibilità che a ciò fa seguito colpisce qui senza distinzioni di sorta
tutti i motivi di ricorso, poiché tutti denunciano in pari tempo la contrarietà
della sentenza alla legge, richiamando l’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c e
l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di essa circa un fatto
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Trattasi invero di motivi in cui si denunciano indistintamente violazione di

decisivo della controversia, richiamando l’art. 360, comma primo, n. 5
c.p.c. E ciò la parte fa procedendo nell’illustrazione del motivo e, vieppiù,
nella formulazione del quesito che del motivo dovrebbe sintetizzare il
contenuto in modo tale da mettere la Corte in grado di cogliere senza
ragioni e gli argomenti a fondamento dell’uno e dell’altro, optando
viceversa per una forma di quest’ultimo che, se non fosse
pregiudizialmente preclusa, finirebbe con obbligare la Corte a sostituirsi al
ricorrente, effettuando una preventiva opera di semplificazione e
procedendo poi a fornire le singole risposte non sempre tra loro univoche
(23820/12; 20070/10; 1906/08).
3.3. Per ovvio riflesso del difetto che affligge il ricorso con riguardo
all’enunciazione dei motivi, anche la formulazione dei singoli quesiti che
ne accompagnano l’illustrazione risulta immancabilmente viziata, atteso
che nessuna delle regole affermate a più riprese da questa Corte al riguardo
ha trovato qui la dovuta osservanza.
Ed invero ricordato previamente che la specie in discorso soggiace ratione
temporis al dettato dell’art. 366-bis c.p.c. secondo cui “nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun
motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione
di un quesito di diritto. Nel caso previsto dell’art. 360, primo comma, n. 5),
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità,
la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione”, questa Corte, sulla più generale premessa che “è
inammissibile la formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una
tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta
ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice”
(28536/08), ha da tempo chiarito con riguardo alle censure di diritto che il
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mediazioni l’errore compiuto dal giudice, senza sceverare debitamente le

relativo quesito di diritto deve essere formulato “in termini tali da costituire
una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla
corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di
ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla
riconducibili all’art. 360 cod. proc. Civ. nn. 3 e 4 vanno corredati, a pena di
inammissibilità, da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la
sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la
diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta
applicare al caso di specie” (19769/08; 8143/14; 4700/14); e con riguardo
al vizio motivazionale che “anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o
contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa
censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di
diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità” (S.U. 20603/07; 2602/14; 2711/14).
Orbene nella specie i quesiti che corredano ciascun, motivo e per mezzo
dei quali si chieda di dire alla Corte se “siano utilizzabili gli elementi di
prova e i documenti acquisiti presso il contribuente E.] oltre il limite
temporale dei 30 gg. previsto dall’art. 12 1. 212/00 (primo motivo), se “la
corrispondenza inviata alla p.a. deve intendersi pervenuta al destinatario fin
dal momento in cui è messa nella giuridica disponibilità del medesimo
presso l’ufficio postale”, se “l’avviso di ricevimento costituisca il solo
documento idoneo a provare l’intervenuta consegna dell’atto al destinatario
e la data di questo” e se “nel processo tributario l’appello incidentale debba
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sentenza impugnata” (S.U. 26020/08), traendone il corollario che “i motivi

essere proposto entro 60 giorni dalla notificazione del gravame principale a
pena di inammissibilità” (secondo motivo), se “secondo la previsione
dell’art. 2135 E.) la trasformazione dei prodotti della terra costituisca
proprio fondo, la svolga al fine di favorire la redditività del medesimo[ .3” e
se “vigente la formulazione dell’art. 2135 C…) era stabilito un limite
quantitativo agli acquisti da terzi per usufruire del regime speciale IVA ex
art. 34 DPR 633/72 ovvero se non vi fosse alcuna preclusione, in quanto gli
unici requisiti necessari erano quello soggettivo (essere imprenditore
agricolo) e quello oggettivo (coltivare e trasformare prodotti agricoli)”
(terzo motivo), se “in caso di superamento del limite quantitativo di
prevalenza imposto dall’art. 29 Tuir e fermo restando il limite qualitativo
dell’attività svolta, sia da qualificarsi di impresa tutto il reddito prodotto e
non solo la parte di reddito imputabile all’attività eccedente” (quarto
motivo) e se “in base al criterio stabilito in via ordinaria dall’art. 2697
l’amministrazione finanziaria, qualora faccia valere la simulazione assoluta
o relativa di un contratto stipulato del contribuente, debba fornire la relativa
prova, la quale tenendo conto della sua qualità di terzo può essere fornita
con qualsiasi mezzo e quindi anche mediante presunzioni purché gravi
precise e concordanti” (quinto motivo), non soddisfano alcuno dei ricordati
precetti.
Essi appaiono complessivamente generici e forieri di un interrogativo
puramente astratto — tautologico o circolare per usare l’efficace espressione
impiegata dalle SS.UU. — totalmente svincolato dalla fattispecie concreta e
avente finalità meramente esplorativa, intendendo sollecitare alla Corte in
definitiva nulla più che l’espressione di un parere giuridico. Per di più la
loro formulazione prescinde puramente e semplicemente dalle regole sopra
ricordate, mancando, ove si guardi ad essi sotto il profilo della violazione di
legge, la descrizione del fatto, l’indicazione della regola giuridica applicata
in concreto dal giudice e l’enunciazione di quella che si vorrebbe vedere
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attività agricola quando l’imprenditore, pur non limitandola ai prodotti del

applicata, mentre ove si guardi ad esso sotto la lente del vizio
motivazionale, è carente l’indicazione del fatto controverso così come
manca ogni indicazione puntuale delle ragioni in guisa delle quali si assume
che l’impugnata sentenza sia insufficientemente immotivata.
esposizione di composite doglianze che, nel rivelare la profonda
insoddisfazione della parte per gli esiti sfavorevoli del giudizio di merito,
non si compendiano tuttavia in una conclusiva domanda di giustizia che
permetta a questa Corte di assolvere fedelmente la propria funzione di
giudice di legittimità
4. Il ricorso va dunque respinto e le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione )
tespinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
che liquida in euro 7000,00=.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il
24.6.2014
Il Cons.

Il Presidente
Dott. Stefano Bielli

Ci si trova in buona sostanza di fronte ad un’estesa e particolareggiata

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