Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20710 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/07/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 20/07/2021), n.20710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

A.J.C., rappr. e dif. dall’avv. Maestri Andrea

andrea.maestri.ordineavvocatiravenna.eu, elett. dom. presso lo

studio in Ravenna, via Meucci n. 7, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in

Roma, via del Portoghesi n. 12 è domiciliato

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Bologna 16.10.2018, n.

2595/2018, in R.G. 3532/2016;

udita la relazione della causa svolta dal Presidente relatore Dott.

Ferro Massimo alla camera di consiglio del 15 luglio 2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.J.C. impugna la sentenza App. Bologna 16.10.2018, n. 2595/2018, in R.G. 3532/2016 di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza Trib. Bologna 21.11.2016 che ha respinto l’impugnazione contro il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte, dopo aver premesso che l’appello era circoscritto alla domanda di protezione umanitaria, condividendo il giudizio espresso dal primo giudice, ha ritenuto: a) non credibile il narrato, per molteplici contraddizioni rispetto alle versioni offerte e genericità delle dichiarazioni stesse, su elementi decisivi quali la collocazione del luogo di nascita (un villaggio riferito a città poi diverse, della Nigeria, nel Kano State), l’epoca dell’allontanamento, con la madre, a Sabon Gari (prima nell’anno 2005, poi nel 2001); b) avendo riguardo alle circostanze dell’asserito matrimonio, celebrato con rito tradizionale – benché il ricorrente abbia dichiarato di essere cattolico – è emersa una versione della donna, confrontata a quella del marito richiedente, diversa per punti rilevanti, come le circostanze della cerimonia, i presenti, la ubicazione e le caratteristiche fisiche del tetto coniugale, così confermate le circostanze della permanenza in Libia e la supposta violenza in danno della moglie; d) assenti altri elementi di vulnerabilità; ne conseguiva un giudizio di inattendibilità delle riferite ragioni di allontanamento, quali il timore che, al rientro, la moglie potesse essere costretta alla prostituzione “dallo zio”, con “conseguenti persecuzioni da parte dei musulmani”, così svalutando le ragioni familiari addotte;

3. il ricorrente propone ricorso su due motivi; ad esso si oppone il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con motivi si deducono: a) la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, nonché dell’art. 33 Conv. Ginevra sui rifugiati, avendo la sentenza violato il dovere di non refoulement, applicabile alla fattispecie avendo riguardo alla Libia (quale Paese di transito); b) vizio di motivazione sul diniego della protezione umanitaria, che non può essere esclusa in via automatica dal rigetto delle protezioni maggiori;

2. i motivi, da riunire in trattazione perché connessi, sono inammissibili, in ognuno dei profili esposti; avendo riguardo all’apprezzamento sulla credibilità, essa appare essere stata esclusa sin dal giudizio della commissione territoriale, in una valutazione di assenza di dettaglio e soprattutto di coerenza con decisive vicende attinenti al matrimonio e alla rappresentata esigenza di protezione del coniuge per come prospettata e sopravvissuta quale unica ragione d’impugnazione;

3. va così ripetuto il principio, pienamente osservato nella motivazione, per cui “il D.Lgs. n. n 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull’id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sé inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass. 20580/2019); in ogni caso, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass.3340/20149, oltre a Cass. s.u. 8053/2014); d’altronde, questa Corte ha anche precisato che la norma “la dove prevede che, ai fini della valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente sia “in generale attendibile”, va interpretato nel senso che il racconto debba essere considerato credibile “nel suo insieme”, attribuendo all’espressione “in generale” utilizzata dalla norma il valore semantico di “complessivamente” o “globalmente”, benché non si possa escludere, in astratto, che una specifica incongruenza, per il ruolo della circostanza narrata, possa inficiare del tutto la valutazione di credibilità del ricorrente” (Cass. 24183/2020);

4. i motivi, inoltre, risultano difettare di specificità laddove si richiamano ad una integrazione lavorativa senza riportarne, almeno in sintesi, i tratti di stabilità e precisa consistenza che sarebbero stati omessi dal giudice di merito, così come è mancata un preciso richiamo di quelle conseguenze del transito in Libia che la sentenza ha negato fossero riferite ad eventi pacifici, per via delle omissioni narrative proprie delle dichiarazioni, smentite dal coniuge e comunque non decisive ove il rimpatrio si colloca in altro Paese(Nigeria) e il passaggio è stato persoli 10 mesi (pag. 2 sentenza);

5. con riguardo infine alla vulnerabilità, il mero e generico richiamo ad una situazione di “scarsa sicurezza” in Nigeria non offre elementi per contrastare in modo idoneo la netta valutazione della corte in punto di insussistente correlazione tra vulnerabilità e compromissione dei diritti umani rispetto alla vicenda personale; in ciò, la menzionata lacuna e le ragioni non credute dell’allontanamento mostrano di reagire negativamente pertanto sul complessivo giudizio proprio della protezione umanitaria;

6. il ricorrente – anche in questa sede e in sostanza – non ha indicato altro fattore oltre alla sua presenza nel territorio italiano e una generica integrazione, rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; va disposta la condanna alle spese, liquidate come meglio in dispositivo; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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