Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20710 del 10/08/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 20710 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso 18990-2013 proposto da:
MITTEL S.P.A. C.F. 00742640154, quale incorporante
della HOPA HOLDING DI PARTECIPAZIONI AZIENDALI
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA
PAPPALARDO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LUIGI BORLONE giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018
contro

1361

DI MARTINO GIAMPIERO, GNUTTI EMILIO;
– intimati –

Nonché da:

Data pubblicazione: 10/08/2018

DI MARTINO GIAMPIERO, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio
dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato VITTORIO PROVERA
giusta delega in atti;

contro

GNUTTI EMILIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA
PAPPALARDO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LUIGI BORLONE giusta delega in atti;
MITTEL S.P.A. C.F. 00742640154, quale incorporante
della HOPA HOLDING DI PARTECIPAZIONI AZIENDALI
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MARISA
PAPPALARDO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LUIGI BORLONE giusta delega in atti;
– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1156/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2012 R.G.N.
15555/2009.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

RG 18990/2013
RILEVATO
che con sentenza in data 26 luglio 2012, la Corte d’appello di Milano dichiarava il
difetto di legittimazione passiva di Emilio Gnutti e condannava HOPA – Holding di
Partecipazioni Aziendali s.p.a. al pagamento, in favore di Giampiero Di Martino a titolo

versati per l’anno 2004, oltre interessi e rivalutazione dal 14 gennaio 2004. Essa così
riformava parzialmente la sentenza di primo grado, nel resto respingendo gli appelli
principale di Giampiero Di Martino e incidentale delle altre parti avverso di essa, che
aveva rigettato tutte le domande proposte: in via risarcitoria per danno patrimoniale e
non, in misura maggiore, dal primo nei confronti di HOPA e di Emilio Gnutti, per
inadempimento da marzo 2003 (e in ogni caso da gennaio 2004) agli obblighi assunti
con l’accordo quadro di collaborazione sottoscritto nel gennaio 2001 per il rilancio e la
riqualificazione, attraverso anche l’ideazione e l’implementazione delle strategie di
marketing, della ditta Francesco Pineider s.p.a. controllata dall’anno 2000 da HOPA e
della quale dal 1999 era vice presidente e consigliere delegato Emilio Gnutti; nonchè di

risarcitorio, della somma di C 103.291,37, pari all’importo dei compensi pattuiti e non

accertamento, da queste ultime parti, della risoluzione per inadempimento del /
predetto e di sua condanna alla restituzione delle somme percepite di C 774.685,35;
che avverso tale sentenza Mittel (incorporante HOPA – Holding di Partecipazioni
Aziendali) s.p.a. ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui resisteva Giampiero Di
Martino con controricorso, contenente ricorso incidentale con quattro motivi, di cui
l’ultimo condizionato, cui replicavano con distinti controricorsi la società ed Emilio
Gnutti;
che la società e Giampiero Di Martino hanno comunicato memoria ai sensi dell’art.
380b1s1 c.p.c.;

CONSIDERATO
che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2719 c.c.,
214, 215 c.p.c., anche per

error in procedendo

ed omessa, insufficiente o

contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, per l’erronea esclusione di
idoneo disconoscimento, in comparsa di risposta, della conformità all’originale della

RG 18990/2013
fotocopia dell’accordo quadro di collaborazione dell’anno 2001 tra le parti, in quanto
né generica, né tanto meno avente valore di mera clausola di stile, senza
giustificazione delle ragioni in assenza di un più completo ed attento esame delle
specifiche contestazioni formulate nel suddetto atto, nella piena coincidenza della

con la dichiarazione di Emilio Gnutti di “non ricordare” di averla sottoscritta (primo
motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 1321, 1326 c.c. ed
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo,
per erronea interpretazione dell’accordo quadro di collaborazione tra HOPA s.p.a. e Di
Martino alla stregua di contratto vincolante, anziché di mera puntuazione, per il rinvio
a successivi atti (in particolare, conferimento di mandato), pure tra soggetti diversi ed
estranei (la ditta Francesco Pineider s.p.a. e una società di riferimento del secondo),
contenenti una più specifica determinazione delle reciproche obbligazioni, in non
corretta adozione del canone interpretativo, sussidiario, del comportamento
successivo delle parti, finalizzato ad una migliore precisazione del contenuto de
contratto, traendo argomento da dati documentali in sé neutri (secondo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 1321, 1326, 2222 c.c., 409 n. 3
c.p.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto controverso e
decisivo, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20, 413 c.p.c., per
erronea qualificazione, neppure adeguatamente né coerentemente argomentata,
dell’accordo quadro tra le parti alla stregua di collaborazione coordinata e
continuativa, in difetto degli essenziali requisiti di coordinazione (non ravvisabile nelle
espressioni in esso impiegate, né nei documenti scrutinati dalla Corte territoriale, per
giunta nei confronti di HOPA, per la sua qualità di holding del gruppo cui appartenente
la ditta Francesco Pineider s.p.a., conferente il successivo mandato ad una società di
riferimento di Di Martino e unicamente adoperatasi per l’assunzione dei provvedimenti
idonei a consentire al predetto di operare e della garanzia di adempimento degli
obblighi della propria controllata) e di personalità (per la prestazione dell’incarico
oggetto di mandato da MB Company s.r.l. e non direttamente da Di Martino): con
riflesso dell’esclusione di un rapporto di parasubordinazione sulla competenza

dichiarazione di “non conoscenza” della scrittura (art. 215, primo comma, n. 2 c.p.c.)

RG 18990/2013
funzionale e territoriale dell’adito Tribunale di Milano, in favore di quella ordinaria
territoriale del Tribunale di Brescia, di sede di HOPA s.p.a. e di residenza di Gnutti,
nonché di esecuzione dell’obbligazione risarcitoria da inadempimento dedotta con la
domanda del ricorrente (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1362

contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, nullità della sentenza per
violazione dell’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo, per erronea individuazione,
dopo il conferimento di un mandato da Pineider s.p.a. a MB Company s.r.I., di una
frazione di obbligazione di HOPA s.p.a. nei confronti di Di Martino, direttamente
vincolante la prima a garantire al secondo un incarico di durata quinquennale, nonché
di esatto adempimento dal predetto delle proprie obbligazioni al contrario della
società, cui addebitata a titolo di inadempimento agli obblighi asseritamente contratti
con l’accordo quadro, in assenza di adeguata motivazione né di esame delle
documentate allegazioni offerte, la messa in liquidazione della ditta Francesco Pineider
s.p.a., piuttosto necessitata dalla improvvida e imperita gestione della società dal
predetto, che, lungi dall’averla rilanciata, l’aveva ridotta in condizione di grave crisi,
con perdite di oltre C 30 milioni: con giustificazione pertanto della formulata eccezione
di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., neppure esaminata dalla Corte milanese,
o quanto meno integrante giusta causa di recesso dall’accordo di collaborazione; con
omissione, infine, di pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risoluzione
contrattuale per inadempimento del medesimo, ampiamente allegato e documentato,
senza alcun esame né argomentazione dalla Corte territoriale (quarto motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. ed omessa motivazione su fatto
controverso e decisivo, relativo alla determinazione del danno positivo in entità pari
alle retribuzioni dovute in base all’accordo per due anni, senza detrazione di eventuali
guadagni conseguiti nel periodo dall’esercizio di altre attività, né delle spese sostenute
da Di Martino (così come da MB Company s.r.I.) per lo svolgimento della prestazione
dedotta in accordo (quinto motivo);
che Giampiero Di Martino a propria volta deduce, in via di ricorso incidentale,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 2697 c.c., 81, 100, 115, 116 c.p.c.,

SS., 1321, 1326, 1722, 1725, 2227, 1401, 1406 c.c., omessa, insufficiente o

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per l’erronea esclusione del riconoscimento del diritto all’integrale corresponsione del
compenso maturato per il quinquennio garantito dall’accordo quadro, non avente
natura di contratto normativo (non essendo regolamento contrattuale per la
conclusione di una serie di contratti futuri), in quanto contenente obbligazioni attuali
flJ

lui indicata (poi individuata in MB Company s.r.I.), alla stregua di modalità di
pagamento del compenso (primo motivo); insufficiente e contraddittoria motivazione
su fatto controverso e decisivo, quale la non riconosciuta titolarità esclusiva di Di
Martino alla percezione dell’integrale compenso non corrisposto, sulla base del
carattere normativo di una parte dell’accordo e dell’individuazione dell’inadempimento
colpevole di HOPA s.p.a. nella liquidazione della ditta Francesco Pineider s.p.a. e quale
la riduzione del compenso dovutogli sul contraddittorio presupposto della debenza
dalla medesima società di somme a titolo di compenso a MB Company s.r.I.; con
mancata ammissione delle prove orali dedotte senza motivazione (secondo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1321, 2059, 2697 c.c., 113, 115, 116
c.p.c., 4 Cost., per erroneo rigetto delle ulteriori domande risarcitorie, a titolo di
danno patrimoniale per compensi aggiuntivi in base ad un piano di premi/incentivi e di
stock options previsti dall’accordo quadro, da predisporre rispettivamente all’atto di
formalizzazione dell’incarico (il primo) e di approvazione del progetto di rilancio (il
secondo), da liquidare in via equitativa in assenza di previsione contrattuale, nonché a
titolo di danno non patrimoniale, per danno reputazionale e all’immagine, sussistenti
in re ipsa (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 2697 c.c.,
100, 115, 116 c.p.c., per la condanna, subordinatamente alla negata riconducibilità
degli impegni assunti con l’accordo quadro a HOPA s.p.a., al pagamento delle somme
rivendicate direttamente nei confronti di Emilio Gnutti, ritenuto privo di legittimazione
passiva (quarto motivo condizionato);
che il collegio ritiene che il primo motivo sia infondato;
che la Corte territoriale ha correttamente applicato le norme di diritto denunciate,
ritenendo la disposizione prevista dall’art. 2719 c.c. (che esige l’espresso
disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o

nei diretti confronti di Di Martino, culYalTribuita la facoltà di fatturazione a società da

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fotostatiche) applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della
copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento dell’autenticità di scrittura o
di sottoscrizione. Nel silenzio della norma in merito ai modi e ai termini in cui i due
suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la

non autenticata si avrà per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale
quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa non la disconosca, in
modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella
prima risposta successiva alla sua produzione. In proposito, questa Corte ha
confermato la sentenza di merito, che aveva negato gli effetti del disconoscimento alla
dichiarazione del difensore della ricorrente limitatosi ad escludere la conoscenza
dell’atto, precisando che detta facoltà è consentita dall’art. 214 soltanto agli eredi ed
agli aventi causa delle parti, ai quali non può essere equiparato l’amministratore di
una società, neppure quando l’incarico sia ricoperto da soggetto diverso da quello in
carica all’epoca alla quale risale il documento prodotto (Cass. 27 ottobre 2006, n.
23174; in senso conforme: Cass. 13 febbraio 2008, n. 3474; Cass. 25 febbraio 2009,
n. 4476; Cass. 13 giugno 2014, n. 13425);

che è poi esatto il rilievo del difetto di precisione ed inequivocità della negazione della
parte (per le ragioni esposte dal terzo al quinto capoverso di pg. 13 della sentenza),
coerente con la necessità, pur senza il ricorso a formule sacramentali, di una
dichiarazione di contenuto chiaro e specifico, che consenta di desumere in modo
inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano
considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria,
contestazioni generiche o onnicomprensive (Cass. 30 dicembre 2009, n. 28096; Cass.
7 giugno 2013, n. 14416);

che l’interpretazione dell’atto processuale, congruamente e adeguatamente motivata
(per le ragioni esposte al secondo capoverso di pg. 13 della sentenza), è insindacabile
in sede di legittimità per omessa deduzione della specifica violazione dei criteri di
ermeneutica contrattuale stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c., di portata generale, e così
pure del vizio di motivazione sulla loro applicazione, con indicazione nel ricorso, a

disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica

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pena d’inammissibilità, delle considerazioni del giudice in contrasto con i criteri
ermeneutici e del testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione (Cass. 18 marzo
2014, n. 6226; Cass. 2 agosto 2016, n. 16057, con specifico riferimento a comparsa
di costituzione asseritamente contenente un disconoscimento di firma);

che, premesso che, ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è
necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo (non
potendosene ravvisare pertanto la sussistenza laddove, conseguita l’intesa solamente
su quelli essenziali, ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un
tempo successivo la determinazione degli elementi accessori), non impedisce, nei
singoli casi ed in base al generale principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art.
1322 c.c., di ritenere concluso un contratto, con gli effetti di cui all’art. 1372 c.c.,
allorquando, alla stregua della comune intenzione delle parti, queste abbiano inteso
come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie
ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia però da configurare come mera esecuzione
del contratto già concluso, potendo costituire oggetto di un obbligo che trova la sua
fonte proprio nel contratto stipulato (Cass. 22 settembre 2008, n. 23949);
che in tema di minuta o di puntuazione del contratto, qualora l’intesa raggiunta dalle
parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto, non è
configurabile un impegno con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio,
dovendo ritenersi formata la volontà attuale di un accordo contrattuale; per tale
accertamento e valutazione, riservati all’apprezzamento del giudice di merito e
insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, ben potendo il
giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 ss. c.c., i quali mirano
a consentire la ricostruzione della volontà delle parti: operazione che non assume
carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di
verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi
giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della
lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche
successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse,

che il secondo motivo è inammissibile;

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interpretando le clausole le une per mezzo delle altre (Cass. 4 febbraio 2009, n.
2720);
che è insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione (nel caso di
specie insussistente, per le argomentate e congrue ragioni esposte sub p.to 5 a pg.

comportamento delle parti, anche successivo (Cass. 6 giugno 2017, n. 14006), che è
canone ermeneutico non sussidiario, ma concorrente in via paritaria con il criterio
letterale del testo alla definizione della comune volontà delle parti (Cass. 1 febbraio
2016, n. 24560; Cass. 28 giugno 2017, n. 16181); e parimenti insindacabile è la
valutazione di determinatezza del contenuto dell’accordo contrattuale (Cass. 11
febbraio 1980, n. 953; Cass. 1 marzo 2007, n. 4849);
che il terzo motivo è pure inammissibile;
che non merita censura l’operata qualificazione del rapporto di prestazione di lavoro
(in particolare, se autonomo ovvero subordinato), pure in linea generale sindacabile
in sede di legittimità, per la corretta determinazione (alla luce dei requisiti,
individuativi di una collaborazione coordinata e continuativa, di continuità,
coordinazione e personalità della prestazione: in particolare al terzo capoverso di pg.
11 della sentenza) dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto,
costituendo invece accertamento di fatto, incensurabile in detta sede se sorretto da
motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle
risultanze processuali che abbiano indotto il giudice del merito ad includere il
rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. 5 novembre
2009, n. 23455; Cass. 4 maggio 2011, n. 9808);
che i suddetti requisiti sono stati in fatto accertati dalla Corte territoriale sulla base
della

“semplice lettura dell’accordo quadro di collaborazione”

(così al penultimo

capoverso di pg. 11 della sentenza), criticamente riscontrato da un attento scrutinio
(per le ragioni illustrate all’ultimo capoverso di pg. 11 della sentenza): risultando
l’elemento della coordinazione anche dall’indicazione del

modus operandi stabilito

nell’accordo quadro da HOPA s.p.a., in riferimento alle modalità di svolgimento
dell’incarico di Di Martino in funzione dell’elaborazione del piano di rilancio industriale e

16 della sentenza), l’interpretazione del negozio tenendo conto del comune

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commerciale affidatogli e dei successivi piani di settore, con gestione del management
esistente e la possibilità degli interventi necessari per la creazione di un team di sua
fiducia e della condivisione con i soggetti delegati dalla controllante delle scelte di più
delicato rilievo (come risulta dalla trascrizione dell’accordo dal primo al penultimo

della prestazione (evidentemente escluso dall’esercizio dell’attività di collaboratore da
una società, in quanto non riferibile a persone fisiche: Cass. 28 dicembre 2006, n.
27576; Cass. 21 aprile 2011, n. 9273), per il coinvolgimento della MB Company s.r.l.
solo parziale e in funzione di modalità di corresponsione del compenso pattuito, con
attribuzione pro quota (secondo il detto accordo nella trascrizione al primo capoverso
di pg. 15 della sentenza), così come accertato in fatto (a pg. 18 della sentenza);

che ogni altra questione, riguardante l’eccezione di incompetenza funzionale e
territoriale, rimane così assorbita;

che il quarto motivo è pure inammissibile;
che con esso è contestato l’accertamento in fatto, operato dalla Corte milanese in
ordine alle obbligazioni contratte dalla società ed alla loro esecuzione, sulla base
dell’argomentato scrutinio delle risultanze processuali (per le ragioni illustrate ai p.ti 7
e 8 da pg. 19 al penultimo capoverso di pg. 21 della sentenza), nella sottesa ma
evidente sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità
(Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo
2009, n. 6694);

che deve poi essere escluso che la messa in liquidazione di una società integri giusta
causa di risoluzione del rapporto lavoro (Cass. s.u. 10 gennaio 2006, n. 141), né che
ciò comporti l’estinzione del mandato, per la permanenza della società anche dopo il
suo scioglimento (Cass. 17 aprile 1970, n. 1096); tale vicenda evolutiva non
determina un mutamento della personalità giuridica della stessa, né tanto meno la
sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro, ma semplicemente la modifica
dell’oggetto sociale, che, per effetto della liquidazione, è ora diretto alla liquidazione
dell’attivo ed alla sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali:
sicchè, vi è continuità tra la società prima e dopo la messa in liquidazione,

capoverso di pg. 14 della sentenza); pure essendo evidente il requisito di personalità

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continuando gli atti compiuti prima di essa a produrre effetti e ad essere
giuridicamente vincolanti nei confronti della società (Cass. 19 dicembre 2008, n.
29776; Cass. 25 novembre 2015, n. 24045);
che neppure sussiste omessa pronuncia per l’implicito rigetto (Cass. 23 settembre

domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale per inadempimento di Di Martino,
alla stregua dell’argomentata esclusione di un suo inadempimento (ancora ai p.ti 7 e 8
da pg. 19 al penultimo capoverso di pg. 21 della sentenza);
che il quinto motivo è infondato;
che il danno è stato liquidato in ragione del compenso non percepito a causa
dell’accertato inadempimento della società, sul presupposto dell’interesse positivo di
Di Martino all’adempimento del contratto (Cass. 30 luglio 2004, n. 14539) e di sua
spettanza per la garanzia di durata quinquennale dell’incarico: sicchè la censura non
appare pertinente in riferimento a detrazioni puramente congetturali, non calibrate sul
ragionamento argomentativo del giudice di merito (ultimo capoverso di pg. 21 e primo
di pg. 22 della sentenza);
che il primo e il secondo motivo incidentali devono essere congiuntamente esaminati
per ragioni di stretta connessione;
che,

pur premessa l’inadeguatezza tecnica, ben sottolineata in dottrina,

dell’accostamento del termine

normativo, che presuppone la creazione di norme

destinate ad operare in futuro, alla fattispecie del contratto, ossia di uno strumento di
natura dispositiva per la regolamentazione attuale di un rapporto giuridico, essendo
stata piuttosto indicata come preferibile l’adozione della figura dell’accordo normativo
(nel caso di specie avendo regolato le parti il loro rapporto con un “Accordo quadro di
collaborazione”),

essendo certamente da escluderne l’assimilabilità ad ipotesi di

contratto normativo, comportante l’obbligo di conclusione di futuri contratti a
condizioni già fissate nell’accordo iniziale (come nella concessione di vendita: Cass. 11
giugno 2009, n. 13568; Cass. 19 febbraio 2010, n. 3990; ovvero come
nell’intermediazione finanziaria, in cui la prestazione dei servizi di investimento si

2004, n. 19131; Cass. 14 marzo 2006, n. 5486; Cass. 4 agosto 2014, n. 17580) della

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realizza attraverso ordini regolati dall’accordo quadro a monte: Cass. 29 febbraio
2016, n. 3950; Cass. 9 agosto 2017, n. 19759), essi sono tuttavia infondati;
che è indubbia la fissazione, nel caso di specie, delle prestazioni da rendere dal
collaboratore e del relativo compenso (“A fronte della realizzazione del progetto come

annua … ” ), con riserva tuttavia al predetto della facoltà di “fatturare parte di tale
compenso attraverso una Sua società o studio di consulenza aziendale che a Lei fa
riferimento … in tal caso il compenso pro quota da attribuirsi a tale struttura sarà … “:
e tale parte, in esito alla vicenda, attinente
quadro”

alrevoluzione negoziale dell’accordo

(così definita al primo capoverso di pg. 18 della sentenza), forse

impropriamente qualificata di “carattere normativo” ma esattamente distinta dalle
diverse ipotesi, certamente non ricorrenti, di cessione negoziale né di contratto per
persona da nominare, bene è stata accertata secondo un’interpretazione dell’accordo
quadro (dal primo capoverso di pg. 18 al secondo di pg. 19 della sentenza)
insindacabile per le ragioni già illustrate nello scrutinio del secondo motivo principale,
qui richiamate, e risolta con la condivisibile conclusione dell’autonomo adempimento
dell’accordo quadro di collaborazione con il successivo patto negoziale tra

MB

Company s.r.l. e la ditta Francesco Pineider s.p.a.;
che è altresì infondato, anche per la formulazione perplessa (“Per completezza, pur
ritenendo la causa documentale in quanto occorra … ” ),

il denunciato vizio di

motivazione sulla mancata ammissione delle prove orali dedotte, implicitamente
rigettate e meramente reiterate, in assenza di allegazione della loro decisività a
determinare il diverso esito della controversia, laddove ammesse, così da invalidare
l’efficacia delle altre risultanze istruttorie (Cass. 17 maggio 2007, n. 11457; Cass. 23
febbraio 2009, n. 4369; Cass. 7 marzo 2011, n. 5377);
che anche il terzo motivo è infondato;
che manca, infatti, la prova certa del danno patrimoniale da mancato guadagno, sia
pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se
l’obbligazione fosse stata adempiuta, dovendosi escludere i mancati guadagni
meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione

sopra identificato, abbiamo concordato un compenso base di 500 milioni su base

RG 18990/2013
richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere
svolto in via equitativa solo qualora siano offerti dalla parte non inadempiente
elementi certi, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno
subito (Cass. 20 maggio 2011, n. 11254; Cass. 3 dicembre 2015, n. 24632): non

options previsti dall’accordo quadro, in difetto pertanto di un obbligo positivamente
posto e inadempiuto;

che, a riguardo del danno non patrimoniale, difetta la prova non tanto dell’effetto
dannoso, in re ipsa, conseguente alla lesione dell’immagine e della reputazione
professionale (Cass. 13 aprile 2004, n. 7043), ma proprio della ricorrenza dell’evento
lesivo, da valutare non già quam suis, in riferimento alla considerazione che ciascuno
abbia della propria reputazione, bensì come lesione dell’onore e della reputazione di
cui la persona goda tra i consociati (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21740; Cass. 21 giugno
2016, n. 12813);

che infine il quarto motivo condizionato è assorbito dal rigetto del ricorso principale;
che dalle superiori argomentazioni discende il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e
incidentale e la compensazione integrale delle spese del giudizio tra tutte le parti
principale, reciprocamente soccombenti e pure tra Di Martino e Gnutti, per
l’assorbimento del motivo incidentale condizionato;

P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi principale e incidentale e dichiara interamente compensate le
spese tra tutte le parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma

lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del
ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello
stesso art. 13.

Così deciso nella Adunanza camerale del 29 marzo 2018

ricorrente nella prospettata mancata definizione dei piani di premi/incentivi e di stock

IL CANCELLI
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Deposit”?

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RG 18990/2013

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