Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2071 del 29/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 29/01/2018, (ud. 05/12/2017, dep.29/01/2018),  n. 2071

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che:

1. La N. Fratelli Costruzioni Generali s.p.a. conveniva innanzi al Tribunale di Imperia, con atto notificato nell’ottobre 1994, il Condominio (OMISSIS).

Nel libello introduttivo la società attorea – dopo aver premesso di aver acquistato, a seguito di incanto, nel febbraio 1992, dall’eredità beneficiata dell’ing. S.R., un locale sito in detto condominio, e che detto immobile era stato destinato dal Condominio come abitazione del portiere, senza alcuna autorizzazione del proprietario – deduceva la non opponibilità a sè della previsione statuente tale destinazione funzionale contenuta nell’art. 6 del regolamento condominiale; e, quindi, chiedeva:

– in via principale, il rilascio dell’immobile e la condanna dell’ente convenuto al pagamento di un corrispettivo per l’uso dell’abitazione del custode a partire dalla data di formazione del Condominio medesimo (1979);

– in subordine, accertato il grave inadempimento del Condominio (di corrispondere il corrispettivo per l’uso dell’immobile), la risoluzione del contratto (e, quindi, anche dell’obbligazione, gravante su essa società, di mantenere vincolato l’immobile ad abitazione del portiere);

– in ulteriore subordine, in caso di rigetto della domanda principale, la condanna del condominio convenuto al pagamento della somma mensile di 1 milione delle vecchie lire (o, in caso di opposizione, della diversa somma che sarebbe stata accertata in corso di causa), a titolo di corrispettivo, per l’uso dell’immobile da parte del Condominio ab origine (fatta salva la prescrizione) e sino alla data di cessazione del vincolo.

2. Il Condominio convenuto si costituiva, chiedendo:

– il rigetto della domanda attorea, in quanto: l’immobile oggetto del giudizio era gravato da un vincolo di destinazione “ad abitazione del portiere”; il proprietario-costruttore aveva concesso tale immobile al condominio, senza richiederne alcun corrispettivo, con l’intesa che il Condominio stesso si sarebbe assunto tutti gli oneri condominiali; l’appartamento in esame era gravato da vincolo di destinazione (ad abitazione del portiere); il Condominio aveva offerto di corrispondere alla società attorea un canone di 500 mila delle vecchie Lire ed era disponibile a corrispondere il canone ritenuto equo dal Tribunale.

– in via riconvenzionale, la condanna della società attrice al pagamento degli oneri condominiali, afferenti alla detta portineria, sul presupposto che gli stessi non erano mai stati corrisposti.

3. Il Tribunale di Imperia, con sentenza n. 277/2002:

– dichiarava l’inammissibilità della domanda diretta a far accertare il vincolo di destinazione sull’alloggio in questione;

– respingeva le altre domande, proposte dalla società attorea e, in via riconvenzionale, dal Condominio convenuto.

4. La Corte di Appello di Genova, con decisione n. 749/2005, in riforma della sentenza di primo grado, regolava diversamente le spese processuali, ma, nel merito, respingeva l’appello della società N.; il giudice del gravame perveniva a tale soluzione osservando che:

a) da una sentenza in precedenza resa dal Tribunale di Imperia (n. 264/1984) era emerso che in tutti i rogiti di vendita delle unità immobiliari comprese nello stesso comprensorio – del quale faceva parte anche il Condominio – era contenuto il mandato al costruttore – venditore S.R., di redigere un regolamento condominiale, vincolante per tutti i successivi acquirenti, contenente la clausola n.6, con la quale si disponeva che il custode avrebbe abitato permanentemente nell’alloggio oggetto di controversia; nella medesima sentenza era stata accertata la validità ed opponibilità della clausola anche per gli acquirenti dal S. in epoca anteriore alla predisposizione di tale regolamento;

b) per gli acquirenti successivi alla data di trascrizione del regolamento – 24/9/1979 – il vincolo di destinazione (a carico de S. ed a favore del Condominio) era viepiù opponibile;

c) le predette statuizioni, contenute nella sentenza n. 264/1984, sarebbero state coperte dal giudicato e vincolanti per le parti del presente procedimento, anche se l’oggetto del pregresso contenzioso era parzialmente diverso;

d) la predetta pattuizione – da interpretarsi come obligatio propter rem – era valida pur in assenza di una prestazione a carico della parte – Condominio – che avrebbe tratto vantaggio dall’obbligo assunto dal S., dal momento che l’interpretazione della volontà negoziale, trasfusa nella clausola del regolamento condominiale, portava a concludere che il vincolo di destinazione in esame non era stato assunto a titolo gratuito, dal momento che nei rogiti di acquisto sottoscritti dai singoli inquilini i medesimi si sarebbero obbligati – nel caso fosse destinata un’unità immobiliare del complesso ad uso abitazione del custode e per il caso quindi che detta unità venisse a far parte degli enti condominiali – ad acquistare la quota di essa afferente alla propria abitazione, con la conseguenza che solo in quel caso il S. si sarebbe spogliato della proprietà del locale adibito ad alloggio a fronte del versamento del corrispettivo;

e) il mancato adempimento dell’obbligazione contenuta nei singoli rogiti di trasferimento avrebbe riguardato i singoli condomini – non evocati in giudizio – e non già il Condominio appellante;

f) la clausola in esame non poteva essere interpretata – alla luce delle considerazioni in precedenza fatte – come istituente un diritto di uso o di abitazione in favore del Condominio;

g) infondata era la riproposta domanda di condanna al pagamento di un tantundem per l’uso del locale, dal momento che tale richiesta era stata motivata dall’assenza di un valido titolo che legittimasse il Condominio a detenere l’immobile, titolo che invece si era dimostrato sussistente, sia pure nei confronti dei condomini.

5. La Seconda Sezione Civile di questa Corte, alla quale ricorreva la società N., con sentenza n. 18596/2012 respingeva:

– il primo motivo di ricorso (nel quale la società ricorrente aveva lamentato la “violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 2659 e 2697 c.c.”, sul presupposto che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto opponibile il regolamento di condominio, non considerando che lo stesso non sarebbe stato trascritto contro tutti gli acquirenti antecedenti alla data del 21/24 sett. 1979 e mancando la prova che il regolamento di condominio fosse stato trascritto sull’immobile in discorso, non essendo stata prodotta la nota di trascrizione), in quanto la corte distrettuale: a) aveva puntualmente evidenziato che, con sentenza n. 264/1984 del Tribunale di Imperia, era stata accertata la natura contrattuale e la legittimità del regolamento, per cui non si poteva più dubitare della validità di quest’ultimo in relazione a coloro che avevano acquistato gli immobili dal costruttore S. prima della predisposizione del regolamento stesso; b) aveva poi precisato che, per rendere il regolamento opponibile ai successivi acquirenti (come la società attorea), bastava la sua trascrizione nei registri immobiliari senza uno specifico rinvio nell’atto di acquisto al regolamento convenzionale (mentre la trascrizione nei confronti del S. era avvenuta il 24.09.1979);

– il secondo motivo (nel quale la società ricorrente aveva lamentato la violazione di diverse disposizioni di legge sul presupposto che la Corte genovese aveva dato per accertata la vincolatività delle statuizioni contenute nella sentenza n. 264/1984 del Tribunale di Imperia, nonostante che della stessa era stata prodotta una copia mancante della certificazione di passaggio in giudicato; con la conseguenza che non si sarebbe potuto trarre alcun argomento da detta pronunzia a sostegno della tesi del Condominio), ritenendolo infondato, oltre che inammissibile (trattandosi di questione in parte nuova), in quanto: a) la questione del difetto di prova del passaggio in giudicato della sentenza 264/1984 – che era stata richiamata nella pronunzia di primo grado – non aveva formato oggetto di rilievo in appello, come espressamente sottolineato dalla Corte genovese; b) il richiamo all’anzidetta sentenza era stato operato dalla Corte territoriale al fine di rendere incontestabile la legittimità della clausola di destinazione di una porzione all’uso condominiale, nonchè al fine di ritenere che detto vincolo fosse oramai opponibile anche agli acquirenti di unità immobiliari precedenti alla trascrizione del regolamento: dal momento però che, nella fattispecie, l’aggiudicazione alla società N. era del 1992, le argomentazioni della Corte distrettuale a sostegno dell’opponibilità del testo regolamentare per gli acquirenti successivi avevano fatto leva sulla trascrizione del regolamento in relazione alla impostazione personale dei registri immobiliari.

A diversa conclusione la Seconda Sezione Civile perveniva con riguardo al terzo motivo – nel quale l’odierna società ricorrente aveva denunziato, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione di diverse disposizioni di legge, nonchè vizio di motivazione, sul corrispettivo del vincolo di destinazione dell’immobile ad abitazione del custode; laddove la Corte del merito:

a) non aveva correttamente applicato le norme sull’èrmeneutica negoziale e soprattutto aveva seguito un’interpretazione della clausola del regolamento – tale da identificare un nesso sinallagmatico tra cessione del diritto dominicale sull’alloggio poi aggiudicato alla società N. e l’obbligazione dei condomini di pagare pro quota di cessione del diritto condominiale su detto locale – del tutto difforme dalla prospettazione del Condominio, che aveva invece sostenuto che l’obbligo di destinazione ed il diritto di uso fossero gratuiti;

b) aveva erroneamente ritenuto che il corrispettivo del vincolo fosse costituito dalla promessa di acquisto delle quote dell’immobile da parte dei condomini, nonchè laddove aveva ritenuto la novità dell’affermazione dell’esistenza di un corrispettivo, giacchè il condominio aveva sempre sostenuto che il diritto d’uso fosse gratuito.

Orbene, questa Corte accoglieva il motivo in esame, rilevando che:

– la creazione di un vincolo di destinazione sul proprio bene da parte del venditore comporta una diminuzione del valore dello stesso e un minor prezzo in sede di vendita; questione diversa è la sua natura di bene infruttifero, giacchè l’aver posto un vincolo di destinazione non esclude che il suo uso debba essere retribuito;

– la sentenza impugnata era illogica laddove configurava il corrispettivo nell’obbligo di acquisto delle quote da parte degli altri condomini senza valutare che ciò attiene la proprietà (e non la redditività del bene);

– per il concreto utilizzo del locale, il condominio avrebbe dovuto stipulare un contratto di locazione e la sua l’occupazione, in assenza di questo, avrebbe costituito occupazione senza titolo, ferma la validità della costituzione del vincolo.

Nella sentenza di annullamento veniva preso in considerazione anche il quarto motivo, nel quale la società ricorrente aveva dedotto:

– violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale aveva negato il diritto ad un risarcimento per il mancato utilizzo del locale poi adibito ad abitazione del custode, adducendo che detta richiesta era stata avanzata presupponendo la mancanza di valido titolo per vincolare all’uso del condominio, mentre la richiesta, svolta in via di mero subordine, partiva proprio dal presupposto della esistenza di un titolo – concessione in uso con opzione di acquisto – opponibile ad essa ricorrente;

– violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato – art. 112 c.p.c. – sollevando d’ufficio un’eccezione (deve ritenersi costituita dalla mancanza del titolo) non sollevata da controparte.

Tuttavia, la Seconda Sezione Civile riteneva assorbito detto motivo, in conseguenza dell’accoglimento del motivo che precede, per effetto del quale era stato ritenuto senza titolo l’occupazione del locale da parte del condominio, con ogni conseguenza sul piano del pagamento dell’indennizzo o del risarcimento dei danni.

6.La Corte di appello di Genova, quale giudice di rinvio, con sentenza n. 713/2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Imperia:

– dichiarava tenuto il Condominio convenuto a corrispondere, in favore della società attorea, a titolo di indennità per l’utilizzazione dell’unità immobiliare specificata in parte motiva secondo il vincolo di destinazione regolamentare, la somma di Euro 258,23 mensili a decorrere dalla mensilità di febbraio 1994;

– respingeva nel resto le domande di merito e le eccezioni delle parti;

– compensava interamente tra le parti le spese dei giudizi di primo grado, di appello, di legittimità e di rinvio;

– condannava conseguentemente il Condominio alla restituzione, in favore della indicata Società, delle somme (incamerate a titolo di rimborso di spese processuali di primo e secondo grado) di Euro 5.172,84 e di Euro 584,13, oltre agli interessi legali (dal 30/11/2005, per la prima somma, e, dal 19/12/2005, per la seconda somma, sino al saldo).

La Corte d’Appello fondava la propria decisione sostanzialmente su due circostanze, che sono state riportate nella sentenza di annullamento:

a) l’esistenza e l’opponibilità alla società N. della clausola regolamentare stabilente che l’unità immobiliare acquistata nel 1992 dalla Soc. N. doveva essere permanentemente destinata ad abitazione del portiere del complesso residenziale;

b) la validità ed efficacia del suddetto vincolo di destinazione nei confronti della società N. non escludeva che l’uso di tale unità immobiliare doveva essere retribuito, non risultando espressamente previsto a titolo gratuito, (ancorchè il costruttore-venditore Ing. S., dante causa della Soc. N., non aveva mai preteso alcun corrispettivo per l’utilizzo del bene ad abitazione del portiere).

La Corte territoriale per quanto concerneva la quantificazione dell’indennità mensile dovuta dal Condominio in favore della Società attorea per l’utilizzazione della predetta unità immobiliare secondo il vincolo di destinazione regolamentare evidenziava che:

a) entrambe le parti nelle loro conclusioni avevano fatto riferimento all’importo mensile di Euro 258,23, che era stato offerto dal Condominio in sede di comparsa di risposta, nel primo grado, del 7 dicembre 1994, in forza di Delib. Assembleare 26 febbraio 1994;

b) in assenza di mora del debitore (avendo il Condominio prima e sin dall’inizio del giudizio di primo grado fatto tempestiva offerta non formale ex art. 1220 c.c., della prestazione dovuta) non potevano essere applicati eventuali accessori (interessi e rivalutazione monetaria).

7.Avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Genova, quale giudice di rinvio, la società N. proponeva ricorso, articolando 3 motivi.

8. Nel presente giudizio di legittimità, il Condominio si costituiva chiedendo il rigetto dei motivi di ricorso ex adverso formulati ed allegando al controricorso lettera 17/6/2014 dell’amministratore condominiale, dalla quale risultava che lo stesso, a seguito della pronuncia del Giudice di rinvio, aveva corrisposto alla società N. l’importo di Euro 70.161,64.

9. In vista dell’odierna adunanza camerale, depositavano memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente ed il Condominio controricorrente, illustrando e chiarendo i motivi dei rispettivi atti iniziali del giudizio e controdeducendo rispetto a quanto rispettivamente ex adverso osservato.

considerato che:

1. Il ricorso è infondato, salvo che in punto di determinazione della mensilità, a decorrere dalla quale è dovuta l’indennità per cui è causa.

2. Non fondato è il primo motivo, nel quale la società ricorrente censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, laddove il Giudice di rinvio avrebbe accolto la nuova domanda introdotta dal Condominio in quella fase processuale.

Secondo l’assunto della società ricorrente, il Condominio convenuto avrebbe formulato “nuove conclusioni, nuove eccezioni, nuove tesi difensive e nuove deduzioni istruttorie”. In particolare avrebbe introdotto, in comparsa di risposta “delle nuove conclusioni fondate su eccezioni nuove”, riferite alla richiesta al Giudice di rinvio, di “accertare e dichiarare che il Condominio convenuto è tenuto al pagamento del corrispettivo per l’utilizzo dell’immobile a portineria dal mese di ottobre 1994 al mese di novembre 2013 per l’importo di Euro 59.392,29 (Euro 258,23 x mesi 230)”, accertando e dichiarando altresì “che sino al permanere della destinazione vincolata a portineria dell’immobile il Condominio convenuto dovrà corrispondere mensilmente a titolo di canone per contratto atipico di godimento immobiliare l’importo di Euro 258,23 da rivalutarsi annualmente in ragione del 75% delle variazioni, accertate dall’ISTAT, verificatesi nell’anno precedente e così successivamente”. La società ricorrente, in particolare, osserva che vi sarebbe una sostanziale differenza tra l’offerta non formale di una somma di denaro e la proposta di corrispondere una somma.

In senso contrario, tuttavia, va osservato che l’art. 394 c.p.c., comma 3, prevede che le parti del giudizio di rinvio possano assumere conclusioni anche diverse da quelle assunte nel giudizio in cui fu pronunciata la sentenza cassata, qualora sopravvenga la necessità delle nuove conclusioni proprio a seguito della sentenza di Cassazione.

Tanto si è verificato nel caso di specie, nel quale la Seconda Sezione Civile di questa Corte con la sentenza di annullamento ha stabilito che i locali per cui è processo erano occupati senza titolo da parte del Condominio “con ogni conseguenza sul piano dell’indennizzo o del risarcimento dei danni” in favore della Società attorea (proprietaria dei locali).

Dunque, nel perimetro tracciato dalla sentenza di annullamento, la domanda del Condominio di determinazione dell’indennità per l’uso del locale occupato sine titulo (sulla base dell’importo mensile di Euro 258,23 corrispondente al canone di locazione) non si pone come nuova rispetto alla materia del contendere.

D’altronde, il Condominio convenuto fin dal giudizio di primo grado aveva concluso chiedendo, sia pure in via subordinata, la determinazione dell’ammontare di quanto dovuto a titolo di indennità per l’utilizzo dell’unità immobiliare adibita a portineria del complesso immobiliare; e si era detto “disposto a pagare” il canone che il Tribunale avrebbe ritenuto equo. E la stessa società attorea, in sede di giudizio di rinvio, ha chiesto il risarcimento del danno “sulla base del canone di Euro 258,23 offerto in sede di comparsa di risposta”.

In definitiva, il Giudice del rinvio, collocandosi nel perimetro tracciato dalla sentenza di annullamento, ha correttamente quantificato l’indennità di occupazione, dovuta dal Condominio, sulla base di un canone (offerto dall’occupante), che ha considerato equo qualora ci fosse stato un regolare contratto di locazione tra le parti.

3. Non fondato è anche il secondo motivo, nel quale la società ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione dell’art. 384 c.p.c., laddove il Giudice di rinvio non avrebbe applicato il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento (in base al quale, secondo la società ricorrente, “ferma la validità del vincolo di destinazione nei confronti dell’acquirente, per utilizzare un locale quale abitazione del portiere, il condominio deve stipulare un contratto di locazione. In assenza di questo, l’occupazione dell’immobile costituisce occupazione senza titolo”).

Secondo la società ricorrente, il Giudice di rinvio non avrebbe applicato detto principio, in quanto avrebbe ritenuto sufficiente la proposta di un canone per rendere legittima la detenzione, mentre nella sentenza di annullamento sarebbe stata indicata la necessità della stipulazione di un contratto di locazione.

In senso contrario, tuttavia, va osservato che la Seconda Sezione Civile di questa Corte, nella sentenza di annullamento, non ha affatto affermato la necessità della stipula di un contratto di locazione tra la società N. ed il Condominio; ma ha sostanzialmente affermato che:

a) la clausola del regolamento di condominio (avente natura contrattuale e trascritto nei registri immobiliari), per la quale l’unità immobiliare oggetto di causa doveva essere destinata all’uso condominiale di portierato del complesso residenziale, era opponibile alla società attorea (che, al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare, era consapevole del vincolo di destinazione, che sulla stessa gravava, proprio in forza della trascrizione di detto vincolo nei pubblici registri);

b) la suddetta unità era di fatto occupata senza titolo da parte del Condominio (in assenza di un contratto di locazione);

c) all’uso dell’unità immobiliare doveva comunque corrispondere sinallagmaticamente una controprestazione in denaro.

Il Giudice di rinvio, ben interpretando quanto statuito nella sentenza di annullamento:

– ha dichiarato che, in presenza di valido vincolo di destinazione, l’occupazione del bene da parte del Condominio, non essendone prevista la gratuità, faceva sorgere a carico di quest’ultimo l’obbligo di corrispondere alla Soc. N. un’indennità di occupazione calcolata (come richiesto dalle stesse parti) in misura pari ad un canone locatizio;

– ha correttamente respinto la domanda attorea di rilascio dell’alloggio, sul presupposto che “manca(va)no le condizioni” per determinare il travolgimento del “vincolo di destinazione regolamentare”: disporre un tale rilascio – ha rilevato il Giudice di rinvio – equivarrebbe a porre nel nulla il sussistente ed efficace vincolo di destinazione.

Il Giudice di rinvio si è quindi adeguato alle richieste delle parti disponendo “a titolo di indennità per l’utilizzazione della unità immobiliare…secondo il vincolo di destinazione regolamentare” la corresponsione della somma mensile di Euro 258,23 a partire dalla mensilità di febbraio 1994.

Per quanto occorrer possa, si rileva che detto vincolo è destinato a conservare efficacia fino a quando l’assemblea dei condomini, riunita e deliberante nelle forme di legge, non eliminerà il servizio di portierato: solo se e quando ciò si verificherà, il diritto di proprietà sull’immobile per cui è processo tornerà ad essere pieno (venendo per l’appunto meno il vincolo che sullo stesso attualmente grava).

In definitiva, non risultando affatto l’esistenza del vizio denunciato, la sentenza resiste alle censure del ricorrente anche sul punto.

4. Parzialmente fondato è il terzo motivo, nel quale la società ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione laddove la Corte ha quantificato il danno, conseguente all’uso sine titulo dell’immobile. E più precisamente laddove non ha riconosciuto la rivalutazione dell’indennità dovuta per l’illegittima occupazione dell’immobile, come pure laddove non ha riconosciuto gli interessi, nonostante espressa richiesta formulata nelle conclusioni, sull’erroneo presupposto che il Condominio non era in mora (avendo fatto una offerta non formale di pagamento).

Secondo la società ricorrente, il Giudice di rinvio – dopo aver ritenuto di non discostarsi dalle richieste delle parti, fissando nella somma di Euro 258,23 la somma mensile dovuta dal Condominio a titolo di corrispettivo per l’utilizzo illegittimo dell’immobile avrebbe illogicamente ritenuto che detta base risarcitoria debba restare fissa nel tempo e che sulla stessa non maturino interessi e rivalutazione. Inoltre, la decorrenza del risarcimento del danno avrebbe dovuto essere determinata dal 1987 (e non dal febbraio 1994). Infine, la Corte territoriale avrebbe determinato la somma di Euro 258,23 per l’occupazione futura, ritenendo erroneamente non necessaria alcuna convenzione negoziale (così creando una forbice, ingiustificata ed illogica, tra l’importo dovuto nel 1994 di Euro 258,23, accettato da essa società, come base risarcitoria di partenza).

4.1. Orbene, il motivo in esame non è fondato laddove la società ricorrente si duole del fatto che il Giudice di rinvio non ha riconosciuto gli interessi e la rivalutazione monetaria sulla indennità dovuta, nonchè laddove ha qualificato l’offerta (effettuata dal Condominio in sede di comparsa di costituzione) di corrispondere un canone di 500 mila delle vecchie lire, quale offerta non formale (e non mera proposta transattiva).

Invero, il Giudice di rinvio ha fornito una precisa ed adeguata motivazione in punto di quantificazione dell’indennizzo dovuto, osservando che, anche a non voler ritenere provata la mora accipiendi della società attorea creditrice, era comunque provata l’insussistenza della mora debendi del Condominio convenuto (con la conseguenza che non erano dovuti gli interessi e neppure la rivalutazione monetaria): quest’ultimo, fin dalla comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado (e quindi, fin dal febbraio 1994), aveva offerto una somma adeguata (pari al canone di locazione per quel tipo di bene immobile), ammontante a 500 mila delle vecchie Lire; e tale somma, secondo un apprezzamento di merito, insindacabile nella presente sede, è stata ritenuta congrua, a titolo di indennità locativa, sulla base delle domande delle stesse parti.

D’altra parte, il Giudice di rinvio – con apprezzamento di fatto, parimenti insindacabile nella presente sede processuale – ha qualificato (p. 7) l’offerta (effettuata dal Condominio in sede di comparsa di costituzione) di corrispondere un canone di 500 mila delle vecchie Lire, quale offerta non formale (e non mera proposta transattiva), richiamando l’art. 1220 c.c. e rilevando che non poteva definirsi legittimo “il rifiuto in allora opposto dalla Società, risultando dovuta in effetti a titolo di indennità locatizia mensile proprio la somma offerta dall’originario convenuto”. Quanto precede in conformità delle conclusioni rassegnate dal Condominio in primo grado, laddove lo stesso aveva chiesto darsi atto che “aveva offerto” di corrispondere un canone di 500 mila delle vecchie Lire e che era “disposto a pagare il canone” comunque ritenuto equo. Si è dunque trattato di una dichiarazione di offerta non formale, convalidata dalla dichiarata disponibilità a pagare.

4.2. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso in punto di determinazione della data di decorrenza della indennità dovuta.

Il Giudice di rinvio correttamente non ha fatto decorrere l’indennità maturata dal 1987 (cioè dal quinquennio antecedente l’acquisto, come pur richiesto dall’odierna ricorrente).

Correttamente, in quanto, diversamente opinando – fermo restando che l’originario proprietario costruttore Ing. S. aveva inteso costituire di fatto un comodato a titolo gratuito – avrebbe implicitamente riconosciuto al nuovo proprietario, in maniera del tutto illogica ed al di fuori di qualsiasi schema giuridico, la facoltà di modificare la volontà del proprio dante causa, pretendendo il risarcimento del danno anche per conto di quest’ultimo e contro la di lui volontà.

Tuttavia, il Giudice di rinvio ha erroneamente determinato, quale data di decorrenza, la mensilità del febbraio 1994, cioè la data della richiesta. Ciò in quanto, trattandosi di danno da occupazione illegittima (e, quindi, di natura extracontrattuale), il danno decorre dalla data dell’illecito, che lo ha cagionato. Pertanto, la decorrenza del danno va legata al mese del marzo 1992, allorquando l’odierna società ricorrente ha acquistato l’immobile in esame (con atto pubblico 12/3/1992 dalla spa N. Fratelli in sede di liquidazione dei beni provenienti dall’eredità beneficiata dal de cuius S.R.) e, dunque, è emersa la situazione antigiuridica, causativa del lamentato danno.

Trattasi di errore che può essere corretto direttamente da questa Corte, che vi procede nei termini di cui in dispositivo.

5. Avuto riguardo al parziale accoglimento del ricorso ed alle ragioni ed alla regolamentazione delle spese processuali effettuata dalla Corte territoriale, anche le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità vanno dichiarate integralmente compensate.

PQM

La Corte:

cassa la sentenza impugnata limitatamente al punto in cui la stessa ha determinato l’indennità per cui è causa dovuta “dalla mensilità di febbraio 1994”; e, per l’effetto, dichiara tenuto e condanna il convenuto in riassunzione, Condominio (OMISSIS) del caseggiato sito in (OMISSIS), alla corresponsione, in favore dell’attrice in riassunzione S.p.a. N. F.lli Costruzioni Generali, a titolo di indennità per l’utilizzazione della unità immobiliare specificata in parte motiva secondo il vincolo di destinazione regolamentare, della somma di Euro 258,23 mensili a decorrere “dalla mensilità di marzo 1992”.

Respinge nel resto il ricorso.

Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2018

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