Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20708 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. II, 31/07/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 31/07/2019), n.20708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 21621/’15) proposto da:

G.S., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Enzo

Proietti ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma,

alla v. Catone n. 21;

– ricorrente principale-

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., (C.F: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso (contenente ricorso

incidentale), dall’Avv. Stefano Crisci ed elettivamente domiciliata

presso il suo studio, in Roma, piazza Verdi n. 9;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2997/2015,

depositata il 15 maggio 2015(non notificata).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 113/2007 il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda della s.p.a. Rete Ferroviaria italiana (d’ora in poi RFI) proposta con atto di citazione notificato il 26 gennaio 1996, condannava G.S., ritenuto occupante senza titolo, a rilasciare in favore dell’attrice un terreno-piattaforma ubicato sulla tratta ferroviaria (OMISSIS), oltre che al pagamento della somma di Euro 35.262,71, quale indennità per l’illegittima occupazione per il periodo gennaio 1982-ottobre 2004, ovvero per l’intervallo temporale successivo alla scadenza dell’originaria concessione siccome revocata con atto notificato il 30 ottobre 1981, con effetto dal 1 gennaio 1982.

2. Interponeva appello il G. e, nella costituzione di RFI (che formulava appello incidentale per il riconoscimento di un importo maggiore a titolo di indennità di occupazione oltre che della somma per l’occupazione illegittima ulteriormente protrattasi dal novembre 2004 fino all’effettivo rilascio), la Corte di appello di Roma – con sentenza n. 2997/2015 – rigettava entrambi i gravami. In particolare, il giudice di appello respingeva il primo motivo dell’appellante principale con il quale era stata contestata la titolarità del diritto di proprietà sul fondo da parte di RFI in relazione all’assunta illegittima applicazione della L. n. 17 del 1981, art. 22 (poichè – secondo il G. – con tale norma non sarebbero stati affatto trasferiti i beni della precedente Azienda autonoma bensì la sola competenza in materia di costruzione di reti ferroviarie); rigettava anche il secondo motivo del G. sull’asserita illegittimità della liquidazione dell’indennità di occupazione oltre che la terza doglianza sull’eccepita prescrizione – che si sarebbe dovuta ritenere quinquennale – del diritto al conseguimento della pretesa risarcitoria.

Con la stessa sentenza la Corte laziale dichiarava infondato anche il motivo di appello incidentale formulato da RFI, siccome generico.

3. Contro la sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il G.S., al quale ha resistito RFI con controricorso contenente anche ricorso incidentale riferito ad un solo motivo, il cui difensore ha pure depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente principale G.S. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè del combinato disposto della L. n. 210 del 1985, artt. 1 e 15 della L. n. 75 del 1993, art. 15 oltre che degli artt. 936 e 948 c.c., in uno al vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

1.1. La doglianza è infondata e deve, perciò, essere rigettata.

In disparte l’erroneo riferimento alla supposta violazione dell’art. 112 c.p.c. e non emergendo certamente – dalla motivazione dell’impugnata sentenza l’omissione dell’esame del fatto realmente decisivo, la censura non merita accoglimento alla luce della conferente successione delle leggi speciali prese in considerazione dalla Corte territoriale dalle quali risulta dimostrato che il subentro di RFI nei rapporti che prima facevano capo all’Amministrazione statale aveva investito anche la titolarità dei beni con la relativa gestione delle correlate pertinenze della rete ferroviaria, donde la ritenuta congruità della prova della legittimazione di RFI ad agire in rivendicazione con riferimento al bene dedotto in giudizio.

In particolare, la Corte laziale ha, innanzitutto, correttamente valorizzato il riferimento contenuto nella L. n. 17 del 1981, art. 22 (intitolata “Finanziamento per l’esecuzione di un programma integrativo di interventi di riclassamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee, dei mezzi e degli impianti e per il proseguimento del programma di ammodernamento e potenziamento del parco del materiale rotabile della rete ferroviaria dello Stato”), alla stregua del quale era stato stabilito che, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, la residua competenza in materia di costruzioni ferroviarie riservata al Ministero dei lavori pubblici a norma della L. 27 luglio 1967, n. 668, art. 1 era trasferita all’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, anche per quanto attinente alle opere per le quali i lavori, alla stessa data, fossero ancora in corso, con la specificazione che, a decorrere dalla data di trasferimento, l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato sarebbe subentrata al Ministero dei lavori pubblici nei rapporti contrattuali ancora in corso.

Sulla base di tale presupposto il giudice di appello ha, poi, evidenziato la decisività – ai fini dell’attribuzione dei beni come quelli oggetto della controversia, costituenti strutture accessorie della rete ferroviaria nazionale del combinato disposto della L. 17 maggio 1985, n. 210, artt. 1 e 15 (istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato), con cui, per un verso, era stato sancito che l’Ente succedeva in tutti i rapporti attivi e passivi – beni, partecipazioni e gestioni speciali – già di pertinenza del’Azienda (art. 1, comma 3), e, per altro verso, in modo specifico, si era previsto che i beni mobili ed immobili, trasferiti all’Ente o comunque acquisiti nell’esercizio di attività di cui all’art. 2 presente legge, costituivano patrimonio giuridicamente ed amministrativamente distinto dai restanti beni delle amministrazioni pubbliche e che di essi l’Ente aveva piena disponibilità secondo il regime civilistico della proprietà privata, salvi i limiti su di essi gravanti per le esigenze della difesa nazionale, precisandosi, altresì, che i beni destinati a pubblico servizio non avrebbero potuto essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell’Ente (art. 15).

Emerge, quindi, in modo evidente che – sul piano dell’individuazione del patrimonio dell’Ente (a cui è poi pacificamente succeduta la s.p.a. RFI in cui esso era stato trasformato) – non può mettersi in discussione l’appartenenza a detto patrimonio (ancorchè non più riconducibile a quello indisponibile: cfr. Cass. SU n. 1391/1993) anche del contestato terreno-piattaforma ferroviaria ed oggetto dell’azione giudiziale intentata da RFI, restando irrilevante – proprio perchè dipendente da un trasferimento operante ex lege – la mancata trascrizione o meno di detto trasferimento immobiliare (come esattamente rilevato dalla Corte territoriale).

Il giudice di appello ha, inoltre, dato adeguatamente conto che, in base alle condizioni del rapporto intercorso tra l’Ente e il G. per effetto del rilascio della relativa concessione originariamente da parte del Ministero dei Lavori Pubblici, poi revocata con effetto dal 1 gennaio 1982, non era stato riconosciuto all’odierno ricorrente il diritto ad eseguire costruzioni propriamente permanenti (ma solo provvisorie con relativo obbligo di eliminarle alla scadenza), ragion per cui doveva considerarsi legittimo l’ordine di demolizione riguardanti dette opere, non rilevando al riguardo, nei confronti dell’Ente concedente, il rilascio di licenza edilizia da parte del Comune di Roma.

2. Con il secondo motivo il G. ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226 e 1591 c.c. in ordine al riconosciuto risarcimento del danno nella forma di indennità a titolo di occupazione abusiva dell’area in contestazione, unitamente all’asserito difetto assoluto di motivazione sul punto decisivo riguardante la mancata valutazione dei necessari criteri per pervenire alla determinazione del relativo quantum.

2.1. Rileva il collegio che anche questo motivo è destituito di fondamento e deve essere respinto.

Esaminando, invero, specificamente il richiamato contestato profilo, la Corte di appello ha legittimamente ritenuto – alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 649/2000 e Cass. n. 9137/2013) – che, in caso di occupazione senza titolo di immobili, il danno è da ritenersi sussistente “in re ipsa” e va commisurato al presumibile valore locativo dell’immobile illegittimamente occupato, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene stesso, trovando applicazione, in via analogica, il criterio di valutazione previsto dall’art. 1591 c.c..

E’ stato, infatti, condivisibilmente precisato (v., in modo puntuale, Cass. n. 15301/2000 e Cass. n. 9977/2011) che, in tema di mancata riconsegna di un’area demaniale, oggetto di concessione non rinnovata alla scadenza ovvero revocata, trova applicazione la disposizione di cui al citato 1591 c.c., essendo espressione di un principio riferibile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concessa l’utilizzazione del bene dietro corrispettivo, allorchè il concessionario continui ad utilizzare il bene oltre il termine finale del rapporto senza averne più il titolo.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale RFI ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.congiuntamente – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento al mancato riconoscimento in suo favore del diritto ad ottenere l’indennizzo per l’abusiva occupazione fino all’effettivo rilascio del bene.

3.1. Anche questo motivo è infondato e va rigettato in base all’assorbente considerazione che la Corte di appello ha adeguatamente motivato sulla circostanza che RFI non aveva offerto la prova che il bene dedotto in controversia non fosse stato rilasciato (pur potendo dare esecuzione alla condanna in quanto provvisoriamente esecutiva) e che, quindi, la condotta illegittima del G. si fosse protratta.

4. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni illustrate, devono essere respinti sia il ricorso principale che quello incidentale, con la conseguente compensazione totale delle spese del giudizio di legittimità in virtù della reciproca soccombenza delle parti.

5. Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte del ricorrente principale che della ricorrente incidentale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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