Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20706 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/07/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 20/07/2021), n.20706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38511-2019 proposto da:

G.A., M.L., M.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, LARGO LUIGI ANTONELLI 27, presso lo studio

dell’avvocato PATRIZIA UBALDI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MA.LU.AN., M.G.,

M.F.A.P., M.P., M.A., BNL SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7136/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I fatti essenziali ai fini della decisione sono i seguenti:

a) i fratelli Ma.Pi., Ma.Lu.An., M.P. e M.A. sono comproprietari di un immobile in Roma;

b) con contratto di comodato intercorso fra i comproprietari l’immobile è concesso in comodato gratuito a Ma.Lu.An. per la durata di mesi quattro;

c) Ma.Lu.An., nonostante la scadenza del contratto, rimane nella detenzione dell’immobile, infine rilasciato a seguito di procedura giudiziale di rilascio.

Viene instaurata causa di divisione dinanzi al tribunale di Roma da Ma.Pi..

In questo giudizio, oltre alla divisione dell’immobile, è fatto valere il credito nei confronti di Ma.Lu.An. per l’occupazione dell’immobile, oltre un ulteriore credito per il pagamento di un mutuo ipotecario comune: quindi a carico pro quota anche di Ma.Lu.An..

Sono citati in giudizio anche M.F.A.P. e M.G., ai quali Ma.Lu.An. aveva ceduto l’immobile oggetto di divisione, nei confronti dei quali è chiesta la revoca della cessione ai sensi dell’art. 2901 c.c..

M. Gianfranco, in corso di causa, si rende cessionario dei diritti sull’immobile già appartenuti a M.P. e M.A..

Il tribunale, con riferimento all’atto di cessione intercorso fra il compartecipe Ma.Lu.An. e i due figli, accoglie la domanda di revocatoria.

Il tribunale riconosce, in favore dei Ma.Pi., il credito nei confronti di Ma.Lu.An., che è condannato al pagamento della somma di Euro 21.009,21.

Definisce il giudizio di divisione mediante assegnazione dell’intero a Ma.Pi., ponendo a suo carico il conguaglio di Euro 105.720,00 a favore dei cessionari di Ma.Lu.An..

Insorge contro la sentenza Ma.Pi., denunciando che il primo giudice avrebbe dovuto operare la compensazione fra il credito da conguaglio in favore dei cessionari e il debito del dante causa nei confronti del compartecipe assegnatario.

La corte d’appello conferma la sentenza di primo grado, assumendo che la compensazione parziale è stata chiesta fra il debito da conguaglio e il credito nei confronti di Ma.Lu.An. e non con riferimento alle somme dovute ai cessionari dei diritti sull’immobile comune.

Dichiara inammissibile la domanda contro costoro, aggiungendo che non potrebbe operare comunque la compensazione, essendo diversi i soggetti e le obbligazioni: da un lato l’obbligazione da conguaglio fra Ma.Pi. e i cessionari, divenuti comproprietari dell’immobile, dall’altro fra P. e il cedente per i debiti dipendenti dalla comunione.

Sottolinea ancora la corte d’appello che non ha costituito oggetto di impugnazione la statuizione del giudice di primo grado nella parte in cui riconosce che la revocatoria non priva i cessionari della comproprietà dell’immobile.

La corte d’appello riconosce ancora che Ma.Pi. non avrebbe potuto far valere il credito per i frutti anche per la parte riferibile ai due comproprietari che gli avevano ceduto le quote, in assenza di suo intervento nella veste di avente causa dei cedenti e di estromissione dei medesimi.

Per la cassazione della sentenza G.A., M.L., M.V., nella loro qualità di eredi di Ma.Pi., propongono ricorso affidato a tre motivi. Il primo motivo (omessa pronuncia – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2902 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) denunciano la sentenza nella parte in cui la corte d’appello ha negato la compensazione fra il debito da conguaglio in favore dei cessionari e il credito nei confronti del cedente. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c.) censura la sentenza nella parte in cui la corte d’appello ha negato che Ma.Pi., resosi cessionario delle quote dei fratelli P. e A., potesse far valere il credito verso L.A. anche per la parte riferibile ai cedenti.

La causa è stata fissata dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema corte con proposta di manifesta fondatezza del ricorso.

I primi due motivi sono fondati.

In linea di principio la liquidazione dei debiti e crediti sorti dalla comunione avviene al momento della divisione. La liquidazione influisce sulla maniera e sulla misura del riparto (artt. 724 e 725 c.c.): chi è creditore degli altri finisce per avere di più rispetto alla sua quota, in modo da realizzare il credito in natura sui beni comuni, a scapito del comunista debitore, che prenderà di meno. Senza che sia qui necessario scendere nel dettaglio del metodo adottato dalla legge per realizzare il risultato, deve certamente riconoscersi che l’applicazione del principio rende del tutto naturale e fisiologico che il debitore, assegnatario della cosa comune per intero, potrà pretendere che il conguaglio sia determinato tenuto conto di quanto dovutogli dagli altri per debiti dipendenti dalla comunione: tipicamente il debito per i frutti goduti dal singolo in eccedenza rispetto alla quota.

Nel caso di specie il comunista debitore ha ceduto la sua quota e l’atto è stato oggetto di revocatoria ex art. 2901 c.c. in favore del comunista creditore e contemporaneamente debitore del conguaglio.

Ebbene la corte d’appello, così come il giudice di primo grado, nell’imporre il pagamento del conguaglio per intero in favore degli aventi causa del condividente, debitore in forza del rapporto di comunione di colui che era tenuto al conguaglio, non ha considerato che, a seguito della divisione, i cessionari della quota del debitore non ricevevano beni in natura, ma solamente il conguaglio dovuto dal comunista creditore del loro dante causa. Se la pregressa obbligazione del cedente, dipendente dal rapporto di comunione, fosse rimasta inadempiuta, il creditore non avrebbe trovato nel patrimonio dei cessionari la quota immobiliare che in ipotesi avrebbe avuto il diritto di espropriare presso di loro ai sensi dell’art. 602 c.p.c..

Ciò imponeva, per non privare di efficacia la revocatoria, il trasferimento del vincolo sulle somme dovute dal medesimo creditore a conguaglio in favore dei cessionari. Una elementare esigenza di economia dei mezzi giuridici imponeva perciò di intendere la pronuncia di revoca della cessione per frode non in funzione della futura espropriazione presso il terzo, ma nella prospettiva del regolamento dei debiti dipendenti dalla comunione, secondo il sistema sopra descritto, che assicura al creditore la liquidazione del credito in natura già al momento della divisione. La revoca della cessione si traduceva allora, in favore del comunista creditore, nella possibilità di attuare la regolazione dei crediti dipendenti dalla comunione come se al posto dei cessionari ci fosse ancora il cedente. Era quindi opponibile ai cessionari, il cui acquisto era stato oggetto di revocatoria, il credito dell’assegnatario verso il cedente. L’assegnatario era perciò tenuto a versare ai cessionari il conguaglio ridotto e commisurato alla minor quota spettante al cedente in conseguenza dell’imputazione, nella quota di lui, del debito maturato per l’occupazione dell’immobile oggetto della divisione.

Si impone pertanto la cassazione della sentenza in relazione a tali motivi e il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

“In relazione ai crediti sorti in dipendenza del rapporto di comunione (quale tipicamente il credito per il godimento esclusivo della cosa comune esercitato da uno solo dei comproprietari), poiché la legge (artt. 724 e 725 c.c.) consente ai compartecipi creditori il soddisfacimento del credito al momento della divisione, mediante prelevamenti in natura dai beni comuni, il comunista creditore, il quale abbia ottenuto la revoca per frode di un atto di disposizione della quota comune compiuto dal proprio debitore, può far valere il credito nel giudizio di divisione anche nei confronti dei cessionari, i quali debbono subire l’imputazione alla quota acquistata delle somme di cui era debitore il cedente in dipendenza del rapporto di comunione. Pertanto, il comunista che abbia vittoriosamente esperito l’azione revocatoria, al quale la cosa comune sia stata assegnata per intero in esito alla divisione, è tenuto a versare ai cessionari il conguaglio ridotto e commisurato alla minor quota spettante al cedente in conseguenza dell’imputazione del debito maturato per l’occupazione dell’immobile oggetto della stessa divisione”.

Il terzo motivo, diversamente dalla proposta del relatore, è manifestamente infondato, anche se per una ragione diversa da quella indicata dalla Corte d’appello. Il solo condividente ad avere fatto valere i crediti dipendenti dalla comunione era stato Ma.Pi., mentre gli altri due condividenti, contumaci, non avevano proposto alcuna domanda. Ai ricorrenti non serve sottolineare che Ma.Pi. si era reso cessionario degli altri due compartecipi non solo delle quote di comproprietà, ma anche dei crediti dipendenti dalla comunione. Un simile rilievo, infatti, avrebbe in ipotesi giustificato la pretesa se i crediti fossero stati azionati nel giudizio dai cedenti, mentre ciò non è avvenuto. E’ chiaro, d’altra parte, che l’iniziale domanda proposta da Ma.Pi. riguardava solamente la sua quota del credito per i frutti verso il compartecipe, non la quota degli altri rimasti inerti. Insomma, la cessione avrebbe al limite giustificato la prosecuzione di un’azione già proposta dai cedenti, non la proposizione ex novo di una domanda che i cedenti non avevano proposto.

Conclusivamente sono accolti i primi due motivi, è rigettato il terzo.

La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che liquiderà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo e il secondo motivo; rigetta il terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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