Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20705 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/09/2020, (ud. 09/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3264/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

A.A., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al controricorso, dall’avv. Andrea DI DIO, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via dei Due Macelli, n. 66, presso DLA

Piper Studio Legale Tributario Associato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4255/11/2018 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata il 22/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/06/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento catastale con cui l’amministrazione finanziaria aveva proceduto alla revisione parziale della categoria e della classe dell’unità immobiliare di proprietà di A.A., l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, sulla base di un unico motivo, cui resiste l’intimata con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR della Lombardia ha accolto l’appello del contribuente sul rilievo che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto possibile in sede giudiziale la manifestazione di autotutela dell’amministrazione finanziaria ed inammissibilmente consentito all’Ufficio la modifica dell’originaria motivazione dell’atto di rettifica con l’atto di costituzione in giudizio.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR fatto malgoverno dei principi che delimitano i poteri del giudice tributario, in quanto aveva sostenuto che al giudice di merito era consentito soltanto accogliere il ricorso e, quindi, annullare l’atto impugnato, oppure respingerlo, confermando l’atto, mentre invece la CTP aveva “riconosciuto possibile in sede di giudizio la manifestazione di autotutela dell’amministrazione che ha rettificato in tale sede l’originaria proposta di classamento”, accogliendone le conclusioni ivi formulate. Sostiene la ricorrente che invece la CTP aveva “ben operato, adottando una pronuncia di merito che riconduceva ad una corretta misura il classamento effettuato dall’Ufficio”, che nelle memorie depositate in quel grado di giudizio aveva riconosciuto parzialmente fondato il ricorso della contribuente e ritenuto congrua la categoria A/2 da quella dichiarata nella DOCFA e, confermata la consistenza (di 8,5 vani) e la classe (da 1 a 4), rideterminando la rendita in diminuzione (da Euro 5.092,00 ad Euro 2.941,22).

2. Il Collegio ritiene, in difformità della proposta del relatore (Cass., Sez. U., n. 8999 del 2009), che il motivo sia fondato e vada, pertanto, accolto.

3. Invero, è principio consolidato di questa Corte quello secondo cui “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, u.p., la pronuncia di una sentenza parziale solo sul'”an” o di una condanna generica” (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass. n. 24611 del 2014, n. 26157 del 2013, n. 13034 del 2012 nonchè Cass., Sez. U., n. 13916 del 2006). Principio, questo, che muove sulla scia di quello, analogamente condivisibile, secondo cui “Il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11935 del 13/07/2012, Rv. 623322).

4. Pertanto, quando “il giudice (…) ravvis(a) l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti” (Cass. n. 17072 del 2010), dando “alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria” (Cass. n. 1852 del 2008), o violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo. E ciò anche nel caso, come quello in esame, in cui l’amministrazione in sede giudiziale, riconoscendo fondate le ragioni espresse dal contribuente nelle proprie difese, ridetermini le pretese erariali in senso favorevole a quest’ultimo.

5. A ciò aggiungasi, per completezza, che l’affermazione dei giudici di appello secondo cui all’amministrazione finanziaria sarebbe precluso l’esercizio del potere di autotutela in sede giudiziale, è manifestamente errata in quanto si pone in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale “In tema di accertamento tributario, il potere di autotutela dell’Amministrazione, espressamente riconosciuto dal D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater, comma 1, conv., con modif., in L. n. 656 del 1994, ha carattere generale e, pertanto, può essere legittimamente esercitato ove non si sia formato il giudicato sull’atto oggetto dello stesso e non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi di imposta, per l’emissione dell’avviso di accertamento” (Cass. n. 7033 del 2018) e quindi “anche durante il giudizio di impugnazione proposto contro detto atto, trovando il suo fondamento nel cd. “principio di perennità” della potestà amministrativa” (Cass. n. 7751 del 2019).

6. Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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