Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20704 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. II, 31/07/2019, (ud. 22/02/2019, dep. 31/07/2019), n.20704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25077/2015 proposto da:

D.F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 5, presso lo studio dell’avvocato NICOLINO

SCIARRA, rappresentata e difesa dall’avvocato FILIPPO LUIGI DI

RISIO;

– ricorrente –

contro

D.F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

23, presso lo studio dell’avvocato MAURO PETRASSI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI GIOVANNI BRASILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 902/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 18/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2019 dal Consigliere VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.F.R. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria, contro D.F.A., che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila del 18.9.2014, che, in riforma parziale di quella di primo grado, l’ha condannata a rimuovere o a collocare a distanza di almeno un metro e mezzo dal confine le due piante di ulivo nn. (OMISSIS) della planimetria allegato C” della perizia della Procura della Repubblica di Vasto e a demolire o arretrare per almeno cm 30 la parte del fabbricato fronteggiante quella dell’appellante, dichiarando la nullità del capo 1) lett. b del dispositivo e rigettando la riconvenzionale.

Il primo giudice aveva rigettato le domande di D.F.A. ed in parziale accoglimento della riconvenzionale della convenuta lo aveva condannato al pagamento di Euro 1200 per danni cagionati dalla realizzazione del plinto di un pilastro, alla esecuzione di una pavimentazione, all’arretramento di un balcone ed alle spese mentre la Corte di appello aveva rilevato l’assenza della richiesta di una condanna ad un facere nella riconvenzionale e la fondatezza del gravame sulla scorta della critica alla ctu e della adesione alla perizia redatta su incarico della Procura della Repubblica di Vasto. La ricorrente, premesso che la sostanza della decisione, ruota su due questioni, denunzia 1) errores in iudicando, nullità della sentenza per omessa ed insufficiente motivazione, erronea valutazione delle prove, inutilizzabilità della perizia resa in procedimento penale acceso nei confronti del ctu di primo grado, difetto di motivazione, violazione dell’art. 24 Cost., art. 101 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 4, art. 111 Cost. e del principio del contraddittorio; a) violazione del principio di collaborazione tra le parti e del contraddittorio, rilevabilità di ufficio; b) inammissibilità della produzione della perizia della procura ed insussistenza della indispensabilità; 2) errores in iudicando, nullità della sentenza per omessa ed insufficiente motivazione su prove decisive, segnatamente la ctu di primo grado in riferimento alle distanze e violazione dell’art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c., artt. 1350,1965 c.c.; 3) errores in iudicando ed in procedendo, violazione degli artt. 874,875 c.c. e segg., assenza di sconfinamento; a) insussistenza di invasione tra immobili; b) insussistenza dello sconfinamento.

Ciò premesso, si osserva:

La Corte di appello, premesso che in tema di distanze dal confine vanno osservati i criteri di cui all’art. 950 c.c., ha statuito che in primo grado il ctu aveva tenuto conto del confine da lui ipotizzato, non indicato concordemente dalle parti per cui doveva farsi riferimento al criterio residuale del confine catastale per il quale era utilizzabile la perizia della Procura.

Le censure, per la evidente connessione, possono trattarsi congiuntamente.

A seguito della riformulazione della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257, Rv. 632914).

Il vizio motivazionale previsto dell’art. 360 c.p.c., n. 5), pertanto, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico.

Sotto altro profilo, come precisato dalle Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Può essere pertanto denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie non si ravvisano nè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nè un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

La Corte d’appello, infatti, ha deciso la controversia sulla base delle risultanze, congruamente delibate.

Quanto alla indispensabilità della perizia valutata, è’ sufficiente richiamare il principio di diritto affermato dalla recente S.U. 4.5.2017 n. 10790 secondo cui, nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

Nella specie, pertanto, la Corte territoriale non poteva ritenere inammissibile la produzione in appello di nuovi documenti in base al mero rilievo che la parte in primo grado era incorsa in preclusioni istruttorie, ma avrebbe dovuto valutare l’indispensabilità della documentazione, nel senso innanzi precisato, come di fatto accaduto.

La censura sulla violazione dell’art. 116 c.p.c., si risolve nella denunzia di un inammissibile vizio di motivazione improponibile ratione temporis, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 8.10.2014 n. 21257, etc.).

La Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali, rispetto alla prima ctu, anzicchè disporne una nuova, utilizzava quella resa nel procedimento penale e parte ricorrente non ne contesta nella sostanza il contenuto ma propone solo rilievi formali, dimenticando che è utilizzabile anche una consulenza di parte od una di ufficio che esuli dal mandato. L’indispensabilità della perizia è stata quasi valutata (v. p. 5).

In particolare, poi, in relazione al primo motivo, si introduce per la prima volta in cassazione la questione di diritto implicante accertamenti in fatto mai posta in appello sull’utilizzabilità della perizia svolta in sede penale.

La sentenza non affronta detto tema ed il ricorso non dice se e dove la questione è stata dedotta, donde la sua inammissibilità (Cass. nn. 2038/2019, 15430/2018, 20518/2018 etc.).

Il secondo motivo è inammissibile laddove denunzia vizi di motivazione, come dedotto, ed infondato nel generico riferimento all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., proponendo solo una alternativa rivalutazione delle risultanze istruttorie.

La transazione su cui insiste il ricorso è stata presa in esame dalla Corte di appello e ritenuta irrilevante con apprezzamento in fatto (v. pagina 4 della sentenza).

Il terzo motivo è infondato sostanziandosi in una censura in fatto volta ad una alternativa valutazione delle risultanze istruttorie. Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 3200 di cui 200 per esborsi, oltre accessori e spese forfettarie nel 15%, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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