Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20701 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 13/10/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 13/10/2016), n.20701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14957-2015 proposto da:

D.R.P.C., L.G.E.F., L.G.A.,

L.G.M., L.G.P.E., M.M., elettivamente

domiciliate in Roma, viale delle Milizie n. 9 SC C 2P. INT. 2-3,

presso lo studio dell’Avvocato CARLO RIENZI, che le rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 401/2015 della Corte d’appello di Perugia,

depositato il 2 marzo 2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

luglio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per le ricorrenti, l’Avvocato Gino Giuliano con delega.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorsi depositati il 7 e il 18 luglio 2011, i ricorrenti in epigrafe indicati chiedevano alla Corte d’appello di Perugia la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di un indennizzo per la irragionevole durata di un processo amministrativo, iniziato dinnanzi al TAR Lazio nel 1997 e definito dal Consiglio di Stato, in appello, con sentenza depositata il 21 luglio 2010; che la Corte d’appello dichiarava i ricorsi improponibili per tardività, in quanto ai fini del rispetto del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 doveva aversi riguardo al momento in cui la sentenza del Consiglio di Stato doveva considerarsi definitiva; evenienza, questa, non esclusa dalla pendenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione, in considerazione del fatto che dalla sentenza in questione emergeva che alcuna questione di giurisdizione era stata fatta nel corso del giudizio presupposto;

che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l’unico motivo di ricorso (violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1; violazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU) i ricorrenti sostengono che ai fini della definitività della decisione del Consiglio di Stato che aveva concluso il giudizio presupposto dovesse tenersi conto anche del termine per la proposizione del ricorso per cassazione; temine che era ancora pendente al momento della proposizione del ricorso per equa riparazione;

che, d’altra parte, ogni valutazione circa la fondatezza o l’ammissibilità del ricorso per cassazione tempestivamente proposto avverso la sentenza del Consiglio di Stato è rimessa al giudice della impugnazione; che il ricorso è fondato;

che circa la definitività delle decisioni del Consiglio di Stato, questa Corte, nell’esaminare la questione della decorrenza del termine di proposizione della domanda di equa riparazione, ha affermato (Cass. n. 25714 del 2015) che “in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, per “definitività” della decisione concludente il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, la quale segna il dies a quo del termine di decadenza di sei mesi per la proponibilità della domanda, s’intende la insuscettibilità di quella decisione di essere revocata, modificata o riformata dal medesimo giudice che l’ha emessa o da altro giudice chiamato a provvedere in grado successivo. Pertanto, in relazione ai giudizi di cognizione, la domanda di equa riparazione può essere proposta entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento della cui ragionevole durata si dubiti”, ribadendo così il principio affermato con specifico riferimento alle pronunce rese dalla Corte dei conti in grado di appello, in relazione alle quali si è ritenuto che dovesse tenersi conto del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, dinanzi alle Sezioni unite, per motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, e dell’art. 111 Cost. (Cass. n. 13287 del 2006; Cass. n. 13259 del 2014);

che nella sentenza n. 8530 del 2015 questa Corte, con riguardo alla proposizione della domanda di equa riparazione nella vigenza della L. n. 89 del 2001, nuovo art. 4 ha anche affermato che, trattandosi della individuazione di un termine rilevante ai fini della decorrenza di altro termine per la proposizione di una domanda giudiziale, deve aversi riguardo ad elementi formali certi e insuscettibili di apprezzamenti differenti, e che quindi, anche nella nuova disciplina dell’equa riparazione, nella quale la irrevocabilità del provvedimento che definisce il giudizio presupposto costituisce un requisito di proponibilità della domanda, deve escludersi possa rilevare la circostanza dell’avvenuta formazione di un giudicato implicito nell’ambito del giudizio presupposto, tale da precludere la proposizione di uno specifico mezzo di impugnazione, atteso che la relativa valutazione ad altri non può competere che al giudice della proposta impugnazione (in senso conforme, vedi anche Cass. n. 25714 del 2015, cit.);

che si è, quindi, ribadita la interpretazione per cui la sentenza adottata dal Consiglio di Stato può essere ritenuta definitiva solo con la scadenza dei termini previsti per la impugnazione della stessa con il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione;

che la Corte d’appello di Perugia si è all’evidenza discostata dal richiamato principio;

che il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio, per nuovo esame della domanda alla luce dell’indicato principio di diritto, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione;

che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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