Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2070 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. III, 29/01/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 29/01/2010), n.2070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22971/2005 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PACUVIO

34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BORELLA ALBERTO,

BARCATI GIOVANNI MARIA con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SMIT DI BOTTEGAL PAOLA E ANTONIO & C SNC, P.T.;

– intimati –

sul ricorso 27168/2005 proposto da:

La SMIT di BOTTEGAL PAOLA & ANTONIO & C SNC, in persona dei

legali

rappresentanti Sig.ri B.P., B.A., B.

G., BO.GL. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato MERLINI MARCO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BETTIOL PAOLO con

delega a margine del controricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., P.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1295/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Quarta Sezione Civile, emessa il 14/01/2004, depositata il

02/08/2004; R.G.N. 461/2000 e 48/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito l’Avvocato MARCO MERLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. conveniva dinanzi al Tribunale di Treviso la soc. Smit e P.T. per sentire condannare la prima al risarcimento degli ulteriori danni subiti rispetto a quelli accertati e dichiarati con l’atto transattivo del (OMISSIS).

Esponeva l’attrice che la Smit aveva eseguito nel sottosuolo dell’immobile sito in (OMISSIS) lavori di scavo che avevano provocato danni alle proprietà individuali ed alle strutture condominiali ed in detto atto transattivo erano rimasti impregiudicati gli eventuali ulteriori e successivi danni provocati da lavori della soc. Smit.

Radicatosi il contraddittorio, si costituiva la Soc. Smit contestando la sussistenza del nesso di causalità fra le lesioni dell’immobile della M. ed i lavori a suo tempo eseguiti. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Treviso condannava la Smit al pagamento di L. 139.664.000, oltre accessori.

A seguito di impugnazione della Smit, la Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 2.10.1995 accoglieva il proposto gravame, rigettando tutte le domande della M. che condannava al pagamento delle spese del doppio grado. Rigettava, altresì l’appello incidentale della M. volto al riconoscimento dei danni da deprezzamento dell’immobile.

Avverso detta sentenza propose ricorso per cassazione la M..

La soc. Smit resistette con controricorso.

Il P. non svolse alcuna attività difensiva.

Con sentenza del 1998 la Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, a diversa sezione della Corte d’Appello di Venezia.

La Corte d’Appello di Venezia, pronunciando quale giudice di rinvio accoglieva l’appello e respingeva la domanda proposta da M. G. nei confronti della Smit snc già Smit spa.

Proponeva ricorso per cassazione M.G..

Resisteva la Smit snc che proponeva ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia “Omessa motivazione o insufficienza della stessa su di un punto decisivo della controversia prospettata dalla parte e comunque rilevabile d’ufficio (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Parte ricorrente critica la Corte territoriale veneta nel punto in cui, in sede di rinvio, ha rigettato la domanda dell’attrice affermando che dalla consulenza tecnica non emergono elementi dotati della necessaria certezza in ordine alla necessaria correlabilità, sotto il profilo causale, dei danni riportati dall’immobile. Ciò in quanto la Ctu prospetta in termini meramente ipotetici la riferibilità causale dell’evento.

Ad avviso di parte ricorrente, invece, la relazione del Ctu si pone in termini tutt’altro che ipotetici e quest’ultimo si è mosso sul piano della certezza, con precise indicazioni percentuali delle varie cause. In altri termini, ad avviso di parte ricorrente, il Ctu si è espresso con certezze che la Corte territoriale in sede di rinvio non ha considerato venendo così meno all’obbligo della motivazione che risulta omessa, insufficiente e contraddittoria.

Il motivo è infondato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza di rinvio, ha cassato l’impugnata decisione con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia affinchè decida la controversia con adeguata motivazione sulla richiesta di rinnovo della consulenza al fine della prova del danno.

Osserva la Corte di rinvio che dalla espletata consulenza non sì possono evincere elementi dotati della necessaria certezza in ordine alla correlabilità sotto il profilo causale dei danni riportati dall’immobile.

Secondo la Corte la Ctu prospetta infatti in termini meramente ipotetici la riferibilità causale dell’evento lamentato al fatto che si assume generativo dello stesso, oltre ad altre concause.

Su tali basi, sostiene la Corte veneta, non era possibile fondare un sicuro giudizio di responsabilità della Smit s.p.a..

Nè a tale carenza probatoria, sottolinea l’impugnata sentenza, può ovviarsi con la sollecitata rinnovazione della Ctu la cui impraticabilità risulta evidente ove si rifletta che già all’epoca dell’espletamento della Ctu tale carenza risultava di impossibile decifrazione: è infatti sicuro secondo la Corte veneta che un affidabile giudizio tecnico sul punto possa essere formulato a grande distanza di tempo.

Il ricorso non è sul punto autosufficiente perchè non riporta la relazione del Ctu, nè, almeno i brani più salienti della stessa limitandosi ad affermare che molte sono le cause cui è possibile imputare il dissesto.

E’ per contro convincente la tesi che a grande distanza di tempo la Ctu risulti del tutto impraticabile e che non possa ovviarsi alla carenza probatoria (discrezionalmente valutata dall’impugnata sentenza) con la rinnovazione, a grande distanza di tempo, della stessa Ctu.

Con il secondo motivo del ricorso si denuncia “Violazione dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il giudice del rinvio ha rigettato la richiesta di rinnovo della Ctu affermando che un affidabile giudizio tecnico non può essere formulato dopo una grande distanza di tempo.

Secondo parte ricorrente, è invece un’illazione del tutto gratuita, che contraddice al dictum della sentenza di cassazione, l’affermazione del Giudice di rinvio secondo la quale la richiesta di rinnovo della C.t.u. non può essere accolta in ragione della grande distanza di tempo rispetto al fatto.

Tale ipotesi di impraticabilità di un rinnovo della consulenza tecnica si traduce, secondo parte ricorrente, in una violazione della norma di cui all’art. 384 c.p.c..

La tesi è infondata.

Con valutazione discrezionale non sindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente, seppur sinteticamente motivata, l’impugnata sentenza ha infatti indicato la ragione per la quale non ha ritenuto opportuna la rinnovazione della Ctu individuandola nella evidente impraticabilità della stessa ove si rifletta che già all’epoca dell’espletamento della ctu (agosto 1987) tale ricerca risultava di impossibile decifrazione per cui è impensabile che un sicuro giudizio tecnico sul punto possano essere formulati a grande distanza di tempo, quando i fattori indicati dal primo Ctu quali possibili autonome cause del dissesto hanno lungamente operato.

Tali ragioni sono fondate e non si riscontra alcuna violazione dell’art. 384 c.p.c..

Si legge infatti nella sentenza inter partes di questa Corte, n. 2957/1999 che il giudice di rinvio non avrebbe dovuto necessariamente disporre la consulenza tecnica, ma soltanto decidere la controversia “con adeguata motivazione sulla richiesta di rinnovo della consulenza al fine della prova del danno”.

L’impugnata sentenza si è dunque attenuta al dictum di questa Corte ed ha congruamente motivato sul diniego di rinnovazione della ctu, mentre parte ricorrente svolge delle considerazioni di merito inammissibili in questa sede di legittimità.

Con il terzo ed ultimo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia infine “violazione dell’art. 2055 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello di Venezia ha applicato in modo erroneo il principio di cui all’art. 2055 c.c. sostenendo che il dubbio sulla imputabilità dei danni avrebbe dovuto essere “assunto a motivo di responsabilità e non invece all’opposto”.

Il motivo è infondato. L’art. 2055 c.c. si applica quando sia già stato accertato il nesso di causalità tra il comportamento e il danno; nella specie tra l’attività della Smit e le fessurazioni. In difetto di prova circa tale nesso l’art. 2055 c.c. non può applicarsi.

Con il ricorso incidentale la S.M.I.T. s.n.c. denuncia “Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Omessa, insufficiente motivazione in ordine al capo della sentenza che ha disposto la integrale compensazione delle spese di lite, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Parte resistente si duole della integrale compensazione delle spese disposta dalla Corte d’Appello nonostante la S.M.I.T. sia risultata integralmente vittoriosa.

Il motivo è infondato.

L’unico limite alla discrezionalità del Giudice in sede di decisione sulle spese è dato infatti dalla impossibilità di imputare le stesse alla parte completamente vittoriosa, mentre nessun limite sussiste alla compensazione delle spese stesse.

Nè, allo stato della legislazione vigente al momento dell’emanazione della impugnata sentenza sussisteva uno specifico obbligo di motivare la compensazione delle spese.

In conclusione, i ricorsi riuniti devono essere entrambi rigettati e le spese processuali del giudizio di cassazione devono essere posti a carico di parte ricorrente, liquidandoli come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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