Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 207 del 05/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 05/01/2011), n.207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5433-2008 proposto da:

M.G., C.M., G.F., L.

F.I., B.A., S.N., F.M.

E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1,

presso lo studio dell’avvocato STUDIO ANTONINO SPINOSO-SIMONA

NAPOLITANI, rappresentati e difesi dall’avvocato POLIMENI DOMENICO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TADRIS PATRIZIA, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 106/2007 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 16/02/2007 r.g.n. 44/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. LA TERZA Maura;

udito l’Avvocato POIMENI DOMENICO;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI per delega FABIANI Giuseppe;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Reggio Calabria, accogliendo parzialmente l’impugnazione proposta dagli odierni ricorrenti ( B.A. ed altri sei) in controversie riunite, proposte nei confronti dell’INPS per ottenerne la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione sulla indennità di disoccupazione tardivamente corrisposta, ha rideterminato le spese di lite liquidate dal giudice di primo grado tenendo conto delle “voci” tariffarie e dei relativi importi, così come indicati nella nota spese prodotta dagli appellanti, ma applicando, sia per i diritti che per gli onorari e a prescindere dal valore di ogni singola causa, la riduzione prevista dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60 in considerazione della loro “facile trattazione” e dell’identità delle questioni di diritto che ne costituivano oggetto.

Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso gli assicurati, deducendo cinque motivi, illustrati con successiva memoria.

L’INPS ha depositato procura ai difensori (che hanno partecipato all’udienza di discussione).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo, con denuncia di violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 324 c.p.c., sostengono i ricorrenti che la Corte territoriale ha fatto un’arbitraria applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, incorrendo nella violazione del giudicato e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che, con i motivi di appello, si era solo chiesto di verificare la conformità ai minimi della tariffa professionale della liquidazione delle spese operata in primo grado.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, degli artt. 4 e 5 della tariffa professionale, oltre a difetto di motivazione, per avere la Corte illegittimamente applicato la riduzione al di sotto dei minimi tariffari non solo agli onorari ma anche ai diritti di procuratore e, tra l’altro, senza adeguata motivazione, tale non potendo considerarsi la ripetizione del criterio legale della “facile trattazione” e il riferimento alla “identità delle questioni”.

3. Nel terzo motivo, con denuncia di violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 4, dell’art. 36 Cost. e di difetto di motivazione, si contesta alla sentenza impugnata di aver disatteso il disposto dell’art. 4 cit., che ha limitato il potere riduttivo del giudice, stabilendo che la riduzione degli onorari può essere operata (solo) “fino alla metà dei minimi”.

4. Nel quarto motivo, con denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 75 disp. att. c.p.c., della L. n. 794 del 1942, art. 24 e di difetto di motivazione, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale ha rideterminato globalmente diritti e onorari in misura inferiore agli importi (pari ai minimi tariffari) specificati, per le singole “voci”, nella nota spese, senza indicare nè il criterio di liquidazione adottato, nè le “voci” in concreto eliminate o ridotte.

5. Infine, nel quinto motivo, la sentenza d’appello è censurata per violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 93 c.p.c., oltre che per vizio di motivazione, nella parte in cui ha disposto la integrale compensazione tra le parti delle spese del secondo grado di giudizio, non ricorrendo i “giusti motivi” indicati come ragione della compensazione.

6. Il primo motivo non è fondato.

Invero, la giurisprudenza della Corte è nel senso che il giudice d’appello, allorchè sia investito della cognizione del capo di sentenza relativo alle spese processuali, ben può applicare di ufficio tutte le norme di legge che regolano la liquidazione e fra esse deve certamente ricomprendersi il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, trattandosi di disposizione che espressamente consente al giudice (di qualunque grado) di ridurre, purchè con decisione motivata, il diritto del difensore all’onorario al di sotto dei minimi tariffari quando la causa risulti di “facile trattazione” (cfr. Cass. n. 10933 del 1997, n. 18829 del 2007, n. 19274 del 2009).

7. Le censure di cui al secondo, al terzo e al quarto motivo, tra loro connesse e che, perciò, si esaminano congiuntamente, sono fondate alla stregua dell’orientamento consolidato espresso da questa Corte in analoghe controversie (cfr., ex pluribus, Cass. n. 27804 del 2008, n. 17920 del 2009, n. 949 del 2010).

Va premesso, come giustamente rilevano i ricorrenti nel terzo motivo, che la previsione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 60, è stata integrata da quella della L. n. 794 del 1942, art. 4, che, nel prevedere la riduzione dei minimi tariffari per le controversie di particolare semplicità, dispone che la riduzione degli onorari non possa superare il limite della metà, così indicando la misura massima della riduzione operabile dal giudice (cfr., con riguardo al collegamento fra le due disposizioni, Cass. n. 27804 del 2008, cit.).

8. Orbene, l’art. 60 in esame, nel disciplinare la liquidazione degli onorari, stabilisce che quando la causa risulta di facile trattazione il giudice può attribuirli in misura inferiore al minimo e, in tal caso, la decisione deve essere motivata.

9. L’esame della norma ha consentito alla giurisprudenza di questa Corte l’affermazione di due principi, ognuno distintamente violato dalla sentenza qui impugnata.

Anzitutto, poichè la regola posta dalla disposizione in esame è limitativa del diritto della parte al rimborso delle spese processuali sostenute per l’affermazione del proprio diritto (cfr.

art. 24 Cost. e art. 91 c.p.c.), deve ritenersi che la facoltà di scendere al di sotto dei minimi sia limitata alla sola voce, espressamente menzionata, dell’onorario (cfr., a superamento di un risalente indirizzo, Cass. n. 14070, n. 14311 e n. 18829 del 2007).

In secondo luogo, il giudice ha l’obbligo di motivare espressamente la sua decisione, con riferimento alle circostanze di fatto del processo, e non può, per converso, limitarsi ad una pedissequa enunciazione del criterio legale (cfr. Cass. n. 13478 del 2006, nonchè le successive sopra citate), ovvero alla mera aggiunta di un elemento estrinseco, meramente indicativo, quale la identità delle questioni (cfr., in particolare, Cass. n. 14311 del 2007). Nè potrebbe sostenersi che il menzionato obbligo di motivazione sia venuto meno per effetto della disposizione, sopra richiamata, di cui alla L. n. 724 del 1942, art. 4, poichè questa, come s’è visto, integra la previsione di riduzione degli onorari contenuta nell’art. 60 in esame, e dunque presuppone che tale riduzione sia stata motivata (cfr. Cass. n. 27804 del 2008).

10. Va aggiunto, poi, che la sentenza impugnata è erronea anche per avere proceduto alla liquidazione delle spese senza procedere alla necessaria determinazione del valore di ciascuna delle controversie riunite (vedi, quanto a tale necessità, le sentenze di questa Corte più sopra citate).

10. In conclusione, in relazione al secondo, terzo e quarto motivo, il ricorso merita di essere accolto.

11. Ne consegue – limitatamente ad essi – la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa al giudice designato in dispositivo, che procederà a rideterminare le spese del giudizio di primo grado adeguandosi ai principi sopra esposti.

12. Per effetto della cassazione parziale della sentenza d’appello resta assorbito il quinto motivo di ricorso, concernente la liquidazione delle spese dei giudizio di secondo grado, essendo venuta meno, ex art. 336 c.p.c., comma 1, la relativa statuizione, che dovrà essere rinnovata, unitamente a quella del giudizio di primo grado, dal giudice di rinvio (cfr., fra tante, Cass. n. 13428 del 2007, n. 19305 del 2005,n. 15998 del 2003, Sez. un. n. 10615 del 2003).

In considerazione dell’esito del giudizio di cassazione, ritiene equo la Corte compensarne integralmente tra le parti le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, il terzo e il quarto con assorbimento del quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Messina anche per le spese dei giudizi di merito. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011

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