Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20698 del 20/07/2021

Cassazione civile sez. III, 20/07/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 20/07/2021), n.20698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11725-2019 proposto da:

L.L., e D.C.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA FRANCESCO BELLONI n. 16, presso lo studio dell’avvocato

MARCO CAMARDA, rappresentati e difesi dagli avvocati ADRIANO

SCHIONA, e LUCIO SCHIONA;

– ricorrenti –

contro

P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 122/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

i coniugi L.L. e D.C.A. agirono nei confronti del notaio P.A. per sentirne affermare la responsabilità professionale in relazione ad un contratto di compravendita immobiliare intercorso fra M.M. (venditrice) e gli attori (acquirenti), che era stato rogato dal convenuto in data 26.3.2004;

rilevarono che l’immobile era risultato gravato da un’ipoteca e da un pignoramento che non erano stati indicati nel contratto e dedussero la responsabilità del convenuto per avere omesso di effettuare le dovute visure;

chiesero pertanto la condanna del notaio al risarcimento dei danni, quantificati inizialmente in 150.000,00 Euro e successivamente ridotti a 80.000,00 Euro (di cui 70.000,00 Euro occorsi per liberare l’immobile dal pignoramento, a seguito di transazione con l’istituto bancario procedente, ed il resto per spese);

il Tribunale di Chieti rigettò la domanda rilevando che, dalle dichiarazioni rese dalla teste R. e dalla scrittura privata dalla stessa esibita, era emerso che gli acquirenti erano informati dell’esistenza delle due formalità pregiudizievoli, di talché non risultava configurabile a carico del notaio alcuna responsabilità per non avere indicato i gravami di cui gli acquirenti erano a conoscenza;

la Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando – fra l’altro – che:

“la scrittura privata esibita dalla teste R.P., sottoscritta dai sig.ri L. e D.C. e dalla venditrice M., risulta ritualmente acquisita al giudizio ai sensi dell’art. 118 c.p.c., ed è utilizzabile ai fini del decidere, anche se la sua acquisizione è stata posteriore allo spirare del termine per le deduzioni istruttorie (vedi Cass. n. 18896 del 2015)”, salvo restando il diritto delle parti di essere ammesse alla prova contraria;

le deduzioni – compiute dai coniugi L.- D.C. in sede di appello – secondo cui il notaio sarebbe comunque responsabile nei loro confronti per averli rassicurati in ordine all’inopponibilità dei gravami e per non averli dissuasi dalla stipula del contratto, non segnalando loro il rischio al quale si esponevano, comportavano “una modifica della causa petendi della domanda risarcitoria formulata in primo grado e risulta(va)no pertanto inammissibili, essendo la nuova prospettazione basata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, con conseguente mutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e con l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione”;

hanno proposto ricorso per cassazione L.L. e D.C.A., affidandosi a sei motivi illustrati da memoria; l’intimato non ha svolto attività difensiva;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,118 c.p.c. e art. 186 c.p.c., comma 6, n. 2) e censura la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile ed utilizzabile ai fini del decidere la scrittura privata del 26.3.2004 prodotta dalla teste R. (segretaria del notaio, figlia della venditrice M. e moglie di D.T.V., che aveva stipulato il preliminare di compravendita con la M. e aveva successivamente indicato nei coniugi L.- D.C. gli acquirenti finali);

trascritto il contenuto di tale scrittura, i ricorrenti trascrivono altresì la deposizione della R., che aveva affermato che gli acquirenti erano ben informati dell’esistenza del pignoramento, come risultava dalla scrittura sottoscritta dalla M. e dai coniugi L.- D.C. che contestualmente produceva (scrittura di cui i due coniugi riconoscevano la sottoscrizione e che il giudice istruttore provvedeva ad acquisire in copia);

tanto premesso, rilevano che “la produzione del documento è assolutamente illegittima ed in palese violazione del disposto di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, che vuole che le produzioni documentali abbiano, come termine finale ed invalicabile, proprio il deposito nei termini di legge della memoria” di cui all’art. 183, comma 6, n. 2; evidenziano che il documento – che, per quanto emergeva dalla deposizione della R., era stato redatto presso lo studio del notaio contestualmente alla stipula dell’atto e utilizzando la macchina da scrivere del professionista – non era stato prodotto dal convenuto P. (che pure ne aveva conoscenza), ma solo dalla teste, così realizzandosi un vero e proprio “escamotage” tardivo della difesa del notaio;

aggiungono che tale documento era stato illegittimamente utilizzato come prova della conoscenza della “problematica” da parte degli acquirenti, “in totale dispregio dell’art. 115 c.p.c., che impone al giudice di “porre a fondamento della sua decisione le prove proposte dalle parti” (e non dai testi tardivamente)”, e censurano l’assunto della Corte di Appello secondo cui la scrittura era stata ritualmente acquisita al giudizio ai sensi dell’art. 118 c.p.c. ed era utilizzabile ai fini della decisione, benché la sua acquisizione fosse stata successiva allo spirare del termine per le deduzioni istruttorie; contestano la correttezza del richiamo a Cass. n. 18896/2015 (concernente la possibilità del giudice di ordinare al testimone, a norma dell’art. 118 c.p.c., “di consentire l’ispezione di documenti utilizzati per aiuto alla memoria”), rilevando come il documento fosse stato prodotto direttamente dalla R., spontaneamente e senza alcun ordine del giudice, che si era invece limitato ad acquisirlo illegittimamente e a porlo, altrettanto illegittimamente, a base della sua decisione;

il motivo va disatteso, previa correzione della motivazione che, sul punto, è certamente errata;

l’art. 118 c.p.c., quando ammette che il giudice possa ordinare d’ufficio alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso l’ispezione che appaia indispensabile per conoscere i fatti di causa, è certamente riferibile anche all’ipotesi in cui il terzo sia un testimone, ma, per un verso, suppone che il fatto in relazione alla cui conoscenza l’ispezione della persona o della cosa sia indispensabile risulti già dedotto nel giudizio e, per altro verso, affida al giudice solo il potere di ordinare al terzo l’ispezione, non invece quello di ordinare d’ufficio l’acquisizione al giudizio delle cose ispezionate.

il potere di acquisizione d’ufficio non è previsto dalla norma dell’art. 118 c.p.c. e, peraltro, neppure dall’art. 210 c.p.c. che, per l’esibizione, richiede l’istanza di parte; invero, il potere esercitabile d’ufficio è solo quello previsto dall’art. 213 c.p.c.. E’ certo, dunque, che il Tribunale non avrebbe potuto ordinare l’acquisizione del documento, essendo il potere di richiedere l’esibizione riservato alle parti; errò, pertanto, nell’acquisire la copia del documento “prodotta” dalla teste;

tuttavia, la Corte deve rilevare d’ufficio che:

a) l’utilizzazione del documento da parte del primo giudice era divenuta comunque rituale, in quanto gli stessi ricorrenti deducono genericamente (a pag. 8, righi 8-10) che il loro difensore si era opposto alla produzione al momento dell’assunzione della R. e dall’esame del verbale dell’udienza del 16.11.2011 – consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio dedotto – emerge che, effettivamente, l’anzidetto difensore si limitò a rilevare genericamente la “irritualità della produzione del documento” da parte della teste, senza invece eccepire il (diverso) vizio afferente all’acquisizione del documento ad opera del giudice, con ciò determinandosi la sanatoria di tale attività ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2 con conseguente impossibilità di lamentarsene con l’appello (cfr. Cass. n. 23896/2016);

b) in alternativa – qualora si reputasse che si sia trattato di nullità rilevabile anche d’ufficio dallo stesso giudice (in quanto la propria ordinanza acquisitiva era revocabile e l’acquisizione eversiva dell’osservanza del sistema delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, nn. 2 e 3) – tale utilizzazione in sede decisoria del documento irritualmente acquisito, in quanto causata anche dai ricorrenti (per effetto della mancata proposizione della relativa eccezione, per tutta la durata del processo di primo grado e fino alla conclusionale o all’udienza di discussione), non era deducibile come motivo di appello, stante l’esegesi dell’art. 157 c.p.c., comma 3, di cui a Cass. n. 21381 del 2018 (e successive conformi): il potere dei ricorrenti di lamentare l’irritualità durava, infatti, quanto quello del giudice di avvedersene e rimediare ad essa, cosa che poteva avvenire fino alla decisione;

corretta in tal senso la motivazione, il motivo va dunque rigettato;

il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1176, 2018 e 2043 c.p.c., nonché dell’art. 112 c.p.c.: premesso che la domanda giudiziale va interpretata tenendo conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva oltreché delle finalità che la parte intende perseguire, l’ricorrenti rilevano che tra gli obblighi del notaio rogante è compresa l’attività di consulenza rispetto allo scopo tipico dell’atto da stipulare e che “il notaio P. non solo non sconsigliò e dissuase i coniugi L.- D.C. dalla stipula in presenza del pignoramento (…), ma, se del caso, ne ha rafforzato un eventuale intento”, come confessato dallo stesso notaio in sede di interrogatorio formale;

col terzo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. con riferimento al citato art. 1176 c.c.; responsabilità del notaio”), si sostiene che l’opera di cui è richiesto il notaio “si estende al quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti”, gravando sul professionista l’obbligo, impostogli dall’art. 1176 c.c., comma 2, di osservare il principio di precauzione e di salvaguardare gli interessi del cliente; di talché il notaio, che aveva confessoriamente omesso di riportare nell’atto la trascrizione del pignoramento, si era reso inadempiente – ai sensi dell’art. 1218 c.c. – a prescindere dalla personale opinione sulla inopponibilità del pignoramento agli acquirenti;

il quarto motivo (che denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la deduzione, in grado di appello, della responsabilità del notaio per avere rassicurato gli acquirenti in ordine alla inopponibilità dei gravami e per non averli dissuasi dalla stipula del contratto comportasse una inammissibile modifica della causa petendi; i ricorrenti sostengono che il giudice “ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa (…) con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata” e rilevano che con l’atto introduttivo avevano dedotto la violazione, da parte del notaio, dell’art. 1176 c.c. con riferimento all’art. 1218 c.c., chiedendo il ristoro dei danni patiti, di talché l’oggetto del giudizio era costituito dell’inadempimento della complessiva prestazione di opera intellettuale, che “sì estende all’attività di consulenza (…) nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio del professionista notaio che svolge la sua attività principale nell’ambito del trasferimento immobiliare”;

col quinto motivo, i ricorrenti lamentano – sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – che la Corte di Appello “non ha in alcun modo esaminato la espressa doglianza (…) concernente l’omessa trascrizione del pignoramento ed, ancora, il consiglio, o meglio, il totalmente errato, quanto imprudente, consiglio giuridico espresso dal notaio P. ai coniugi L.- D.C. circa la non opponibilità della trascrizione del noto atto di pignoramento”;

col sesto motivo (che denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 183 e 345 c.p.c.), i ricorrenti – richiamati i principi affermati da Cass., S.U. n. 12310/2015 – assumono che sono consentite le semplici precisazioni delle domande introduttive, “per tali intendendosi tutti quegli interventi che non incidono sulla sostanza della domanda iniziale, ma servono a meglio definirla, puntualizzarla, circostanziarla e chiarirla”; tanto premesso, rilevano che, “attesa la esplicita confessione del notaio P. (…), vale a dire di avere egli stesso deciso di omettere la trascrizione del pignoramento ritenendolo inopponibile agli acquirenti (…), non appare, né può apparire domanda nuova, esplicitata sia in primo grado, che in appello, quella diretta a censurare tale operato come di inadempimento ex contractu del notaio e conseguente sua responsabilità per i danni subiti dagli odierni ricorrenti”;

i motivi dal secondo al sesto si prestano ad essere esaminati congiuntamente e risultano fondati, nei termini di seguito illustrati;

dato che la domanda degli attori era volta a far valere l’inadempimento del notaio e a ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla opponibilità, nei loro confronti, del pignoramento trascritto sull’immobile anteriormente all’atto di acquisto, deve escludersi che la deduzione, in grado di appello, che il notaio fosse comunque responsabile per aver rassicurato gli acquirenti in ordine alla inopponibilità dei gravami e per non averli dissuasi dalla stipula del contratto abbia determinato una modifica della causa petendi della domanda originaria (rispetto all’iniziale deduzione dell’omessa informazione sull’esistenza dell’ipoteca e del pignoramento) e l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione;

la domanda e’, infatti, rimasta immutata nella contestazione dell’inadempimento del notaio correlato alla mancata “protezione” degli acquirenti dall’opponibilità del pignoramento anteriormente trascritto sull’immobile e le precisazioni svolte in sede di appello, lungi dall’introdurre questioni nuove, hanno costituito il mero sviluppo di un tema di indagine che aveva già avuto ingresso nel giudizio di primo grado a seguito delle stesse difese svolte dal notaio nella comparsa di risposta; questi, infatti, per quanto emerge dalla narrativa della sentenza (pagg. 2 e 3) e per quanto verificato in atti, aveva sostenuto di avere informato gli acquirenti dell’esistenza dell’ipoteca e del pignoramento, ma di aver ritenuto che gli stessi non fossero opponibili al L. e alla D.C., di talché la decisione di non farne menzione nell’atto fu condivisa anche dal P. (cfr. a pagg. 4 e 5 della comparsa: “si convenne”, “si ritenne”, “si decise di non farne menzione nel contratto definitivo”); è palese, dunque, che se lo stesso notaio aveva introdotto tale prospettazione difensiva nella sua comparsa di risposta, la Corte di Appello, dopo averne dato atto, non avrebbe potuto affermare che la domanda attorea, in quanto volta a lamentare l’inadempimento del notaio, non comprendesse anche l’accertamento di questo aspetto; dal che consegue che l’assunto della modifica della domanda risulta errato anche sotto questo profilo;

deve pertanto ritenersi che la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare la condotta del notaio anche in relazione alla violazione del “dovere di consiglio” al quale lo stesso era tenuto nei confronti dei clienti (cfr., ex multis, Cass. n. 7283/2021, Cass. n. 8497/2020, Cass. n. 12482/2017), dovere che comportava che il professionista non solo informasse gli acquirenti dell’esistenza dei gravami ma anche ne illustrasse in modo obiettivo e corretto le possibili conseguenze pregiudizievoli (e ciò indipendentemente dalla questione se egli li abbia anche consigliati in positivo di stipulare l’atto), tenuto conto che la mera opinione soggettiva del notaio circa la inopponibilità del pignoramento non poteva valere, da sola, ad esimerlo dall’anzidetto obbligo di informazione né ad esonerarlo da responsabilità nel caso in cui il convincimento del P. fosse erroneo o, comunque, presentasse margini di dubbiezza.

A una siffatta valutazione dovrà procedere la Corte di Appello in sede di rinvio, che provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte, rigettato il primo motivo, accoglie per il resto il ricorso, nei termini di cui alla motivazione; cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2021

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