Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20698 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 13/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 13/10/2016), n.20698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8306-2015 proposto da:

AUTIERO MADDALENA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO XI

N. 13, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LIGUORI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto n. R.C. 51275/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA

del 27/10/2014, depositata il 15/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’08/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 19.11.2013 A.M. adiva la Corte d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 per la durata irragionevole di una causa civile svoltasi innanzi al Tribunale di Napoli dal 28.5.2007 al 2.4.2012. Con decreto del 9.5.2014 la Corte d’appello di Roma rigettava la domanda. L’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5- ter proposta dalla A. era respinta dalla medesima Corte, in composizione collegiale, con decreto del 15.12.2014. La Corte territoriale riteneva assorbente, nel merito della domanda, che dalla data di spostamento della prima udienza, rinviata d’ufficio al 17.1.2008 per consentire la chiamata in causa dell’assicuratore delle parti convenute, fino all’emissione della sentenza di primo grado il processo aveva avuto una durata complessiva di quattro anni e tre mesi circa; per cui la durata irragionevole, “così come indicato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis” (rectius, art. 2, comma 2-bis) era di un solo anno, non dovendosi tener conto di frazioni inferiori a sei mesi. Da tale durata sottraeva, poi, la metà dei rinvii provocati dall’astensione del difensore dell’attrice dall’udienza e dalla prosecuzione della prova testimoniale, sicchè in definitiva residuava un’eccedenza di soli sei mesi, inidonea a provocare un’apprezzabile paterna d’animo da ritardo nelle decisione.

Per la cassazione di tale decreto A.M. propone ricorso, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia, che propone, altresì, ricorso incidentale sulla base di un solo motivo.

Al quale la ricorrente resiste, a sua volta, con controricorso.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – E’ prioritario l’esame del ricorso incidentale, che denuncia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lì dove la Corte territoriale ha ritenuto applicabile al termine di decadenza di cui all’art. 4 Legge cit. la sospensione dei termini del periodo feriale. Richiamata Cass. S.U. n. 16783/12, che ha escluso il decorso del termine di prescrizione del diritto all’equa riparazione, in quanto impedito dal termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 la difesa erariale deduce che da tale premessa non può che discendere, sul piano logico-sistematico, l’inapplicabilità di istituti che, come la sospensione dei termini del periodo feriale, sono propri dei termini processuali.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Infatti, come questa Corte ha più volte affermato, poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cass. nn. 5423/16, 2153/10 e 5895/09).

Da tale giurisprudenza ormai consolidatasi non v’è ragione alcuna per discostarsi, atteso che il motivo di censura non svolge alcuna valida contro-argomentazione al riguardo.

Nè tanto meno appare pertinente il richiamo a Cass. S.U. n. 16783/12, che ha escluso la decorrenza del termine ordinario di prescrizione per effetto dell’espressa previsione del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda d’equa riparazione, ma che non per questo consente di dedurre alcunchè sulla diversa e del tutto autonoma questione in oggetto.

2. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, CEDU, artt. 111 e 117 Cost., art. 6 Trattato di Lisbona, L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, e 2-ter in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la Corte territoriale ritenuto in ogni caso ragionevole, per il giudizio presupposto, un termine di durata di sei anni.

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè attinge non la ratio decidendi del provvedimento impugnato ma un mero obiter dictum.

La Corte d’appello di Roma, infatti, si è limitata a premettere che la tesi, fatta propria nel decreto monocratico oggetto dell’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter per cui la durata del processo presupposto sarebbe in ogni caso ragionevole ove non superiore a sei anni, non appariva collidere con la giurisprudenza nazionale e della Corte Enti; ma poi ha subito dopo motivato altrimenti, facendo chiara applicazione della regula iuris per cui la durata ragionevole delle cause definite in un unico grado di giudizio non può eccedere i tre anni. Tant’è che la Corte distrettuale ha rilevato e motivato su un’eccedenza di un anno e tre mesi circa, eccedenza che ovviamente sarebbe stata non configurabile in radice se la stessa Corte avesse opinato nel senso dell’applicabilità dell’art. 2, comma 2-ter Legge Pinto, visto che (come si è premesso in narrativa) il giudizio presupposto ha avuto una durata complessiva di poco inferiore a sei anni.

3. – Il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, par. 1 CEDU, 47, art. 2 comma, Carta di Nizza, artt. 2 e 24 Cost., art. 97 Cost., 111 e 117 Cost., art. 6 Trattato di Lisbona, L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis e 2-ter, artt. 103 e 106 c.p.c. e art. 137 c.p.c. e ss., art. 167 c.p.c., comma 3, artt. 250, 255 e 269 c.p.c. e art. 81 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte territoriale ha erroneamente ed apoditticamente determinato la data d’inizio del processo presupposto al 17.1.2008, data della prima udienza fissata per consentire la chiamata in causa degli assicuratori dei convenuti. Parte ricorrente contesta, inoltre, In sottrazione dalla durata ragionevole del termine di tre mesi per l’astensione degli avvocati dalle udienze, essendo quest’ultimo un diritto costituzionalmente tutelato, e gli ulteriori tre mesi per il rinvio in prosieguo della prova.

3.1. – Nei limiti e nei termini che seguono il motivo è fondato.

Stando a quanto accertato dalla Corte territoriale, la causa è durata 4 anni e 11 mesi (dal 28.5.2007 al 2.4.2012). Sommando (piuttosto che sottraendo, come invece ha ritenuto la Corte d’appello) ai tre anni di durata ragionevole standard il differimento della prima udienza per la chiamata in causa, nel senso di ritenere più corretto che la durata ragionevole, tenuto conto dell’ulteriore incombente necessitato dall’istanza di parte, era di tre anni e tre mesi, si ottiene una differenza eccedente di 1 anno e 8 mesi.

Da tale eccedenza vanno sottratti, secondo il più recente e condivisibile indirizzo di questa Corte i quasi sei mesi per l’astensione degli avvocati dall’udienza. Infatti, l’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89 integra un credito a contenuto indennitario, non risarcitorio, che prescinde da atti o contegni illeciti od illegittimi in quanto deriva dalla lesione del diritto della persona alla definizione della causa in un termine ragionevole, in dipendenza dell’inefficienza dell’organizzazione giudiziaria, e, dunque, abbraccia tutte le “violazioni di sistema”, ivi incluse quelle riconducibili a scelte legislative che determinino o concorrano a determinare l’eccessivo protrarsi della lite. Fra le indicate “violazioni di sistema” non può essere compresa l’omessa emanazione di norme di legge per disciplinare l’esercizio dei diritto di astensione dalle udienze degli avvocati, giacchè la mancanza di dette norme non è causa o concausa, secondo i comuni parametri in tema di nesso eziologico, del rinvio dell’udienza per l’adesione dei difensori a manifestazioni di protesta, il quale resta deferibile a libere scelte dei competenti ordini professionali e dei loro iscritti, nell’esercizio di diritti a rilevanza costituzionale che quella disciplina non potrebbe comunque compromettere, sicchè rimane imputabile a fattori esterni ed estranei all’organizzazione giudiziaria (Cass. n. 7323/15; conformi, nn. 29000/05 e 2148/03; contra, n. 15420/13).

Di talchè, nella specie, si ottiene una differenza di 1 anno e 2 mesi, da cui non vanno detratti, invece i tre mesi (cioè 1/2 dei 6 mesi effettivamente intercorsi, come ha ritenuto la Corte d’appello) di rinvio in prosieguo della prova testimoniale, poichè il decreto impugnato ha supposto, piuttosto che accertato (v. pagg. 3 e 4), che tale rinvio sia stato imputabile ad una mancata citazione di tutti i testi; circostanza di per sè non significativa, poichè lo stesso giudice può calendare l’assunzione del mezzo istruttorio in più udienze.

4. – In conclusione, il decreto impugnato va cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà ad un rinnovato esame di merito e a regolare le spese di cassazione.

PQM

La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il secondo motivo del ricorso principale, respinti il primo motivo e il ricorso incidentale, e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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