Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20691 del 10/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 20691 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 31503-2006 proposto da:
BATTI FABIO (C.F. BTTFBA51L26E098C), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso
l’avvocato CONTE GIOVANNI BATTISTA, rappresentato e

Data pubblicazione: 10/09/2013

difeso dall’avvocato LACAPRA ANTONIO, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2013
contro

1261

REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, in persona
del

Presidente

pro

tempore,

elettivamente

1

domiciliata in ROMA, PIAllA COLONNA 355, presso
l’UFFICIO DISTACCATO DELLA REGIONE FRIULI-VENEZIA
GIULIA, rappresentata e difesa dagli avvocati
CROPPO BEATRICE, MASUTTO BARBARA, giusta procura a
margine del controricorso;
– C.r, 8.0.0,0kelosri-avverso la sentenza n.

394/2006 della CORTE

D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 08/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/07/2013 dal Consigliere
Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato BEATRICE
CROPPO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia dichiarò Fabio Batti decaduto, ai sensi
dell’art. 39 della I. reg. n. 75/82, dal finanziamento concessogli a titolo di contributo
all’acquisto della prima casa, per non aver rispettato l’obbligo, cui il beneficio era
condizionato, di residenza per almeno un quinquennio nell’immobile ed ottenne dal

intimò al Batti la restituzione della somma di £ 24.300.000 erogatagli, maggiorata
degli interessi legali.
L’opposizione proposta dall’intimato al provvedimento monitorio fu respinta dal
tribunale.
La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza dell’8.7.06, ha a sua volta respinto
l’appello avanzato dal Batti contro la decisione di primo grado.
La corte territoriale ha ritenuto irrilevante che l’appellante non avesse potuto
rispettare l’obbligo di risedere almeno cinque anni nell’alloggio acquistato a causa
della sottoposizione del bene a pignoramento e del suo conseguente trasferimento
a terzi in sede di vendita coattiva; ha osservato in proposito che tale circostanza non
era idonea a configurare causa di non imputabilità dell’inadempimento del Batti
all’obbligo cui era subordinata la concessione del contributo, posto che la vendita
forzata era stata determinata da un comportamento colpevole del beneficiario, che
aveva omesso il pagamento dei crediti vantati nei suoi confronti dalla banca
procedente.
La sentenza è stata impugnata da Fabio Batti con ricorso per cassazione, affidato a
quattro motivi, cui la Regione Friuli ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con i primi due motivi, che sono fra loro connessi e possono essere
congiuntamente esaminati, Fabio Batti lamenta che la corte territoriale abbia
ricompreso la vendita forzata dell’immobile fra i casi sanzionati con la decadenza del
beneficiario dal finanziamento ottenuto per il suo acquisto; rileva che, ai sensi

Presidente del Tribunale di Trieste l’emissione di un decreto ingiuntivo con il quale

dell’art. 39 della I. r. Friuli Venezia Giulia n. 75/82, al proprietario era fatto divieto, a
pena di decadenza, unicamente di non trasferire la propria residenza, di non locare e
di non vendere l’immobile per un periodo di cinque anni e sostiene che tale ultima
ipotesi, che si riferisce ad un’alienazione volontaria, non può essere equiparata alla
vendita all’incanto del bene a seguito della sua sottoposizione ad esecuzione

vietato in materia di sanzioni amministrative.
I motivi vanno dichiarati inammissibili.
La corte territoriale, infatti, rilevando espressamente che non v’era alcuna necessità
di far ricorso all’analogia, ha osservato che le ipotesi di decadenza previste dalla
legge (mancato rispetto dell’obbligo di residenza continuativa per dieci anni,
trasferimento a terzi dell’immobile) si erano comunque verificate e che l’appellante,
per poter essere esonerato dall’obbligo di restituzione del finanziamento, avrebbe
dovuto dimostrare che erano dipese da fatti a lui non imputabili, atteso che anche
nelle obbligazioni negative vige il principio della presunzione di colpa, che non è
esclusa dal fatto del terzo nel caso in cui il debitore abbia posto in essere la condotta
che ha consentito al terzo di interferire sull’osservanza dell’obbligo di non facere.
Le censure, che non rivolgono alcuna critica alla motivazione sulla quale la corte di
merito ha fondato la decisione, sono pertanto prive del requisito di specificità
richiesto dall’art. 366 I comma n. 4 c.p.c.
2) Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 12 co. 2 preleggi,
contesta che possa essergli imputato il fatto involontario (vendita forzata) a seguito
del quale gli è stata comminata la sanzione e deduce che il precedente
giurisprudenziale richiamato dalla corte di merito a sostegno della decisione ((Cass.
n. 1991/3724, che ha affermato la legittimità del prowedimento di decadenza dalla
concessione di un contributo erogato per la ristrutturazione di un immobile e
subordinato al mantenimento della sua destinazione alberghiera, mutata dal terzo
che si era aggiudicato il bene all’incanto, a seguito di esecuzione forzata promossa

forzata. Lamenta, inoltre, che la corte territoriale abbia fatto ricorso all’analogia,

contro il beneficiano del finanziamento) non sarebbe applicabile al caso di specie,
nel quale l’ipotesi prevista come causa di decadenza (vendita volontaria
dell’immobile a terzi) non si è mai verificata, mentre se ne è verificata una diversa,
consistente, per l’appunto, nella vendita forzata.
Il motivo è infondato e deve essere respinto.

pronunciata in ragione del mancato rispetto dell’obbligo, posto a suo carico, di
risiedere nell’immobile per almeno cinque anni, ovvero per un fatto oggettivo,
verificatosi (come nel caso richiamato dal giudice a quo) a causa della vendita
forzata del bene.
Più in generale, deve comunque rilevarsi come la normativa regionale, nel prevedere
la decadenza dal contributo (finalizzato all’abbattimento degli interessi dovuti dal
privato sulle rate del mutuo concessogli dalla banca per l’acquisto della prima casa)
in caso di mancato rispetto dell’ obbligo di residenza e dei divieti di locazione ed
alienazione, abbia inteso legare il beneficio non solo all’acquisto, ma anche
all’effettiva occupazione dell’immobile: l’interesse pubblico sotteso all’emanazione
della legge é infatti quello di agevolare il privato nell’accesso alla proprietà della casa
in cui abitare, e non di favorire l’acquisto della prima casa indipendentemente dalle
finalità per le quali si compie l’acquisto.
Se l’immobile non è abitato dal beneficiario, viene meno la ragione del
finanziamento: e, una volta verificatasi tale situazione, si determina in via automatica
la decadenza dal beneficio, impropriamente definita dal ricorrente una sanzione,
visto che non si è in presenza di un illecito amministrativo e che l’obbligo restitutorio
è riconducibile, piuttosto, al paradigma dell’indebito oggettivo (cfr. Cass. n. 9205/99).
Erra, poi, il Batti nel ritenere che il fatto che ha dato luogo alla decadenza non possa
essergli imputato solo perché la vendita dell’immobile è avvenuta in sede di
esecuzione forzata: la banca procedente ha infatti pignorato il bene a seguito del
mancato pagamento da parte del ricorrente delle rate del mutuo che gli era stato

Il Batti dimentica, in primo luogo, che la decadenza dal beneficio è stata

erogato per l’acquisto della casa (ed al cui rimborso egli era tenuto per la quota parte
concernente il capitale), sicché, come correttamente rilevato dalla corte territoriale,
era sicuramente a lui imputabile la situazione che ha consentito alla creditrice di
interferire sull’osservanza degli obblighi di non facere (ivi compreso il divieto di
alienazione) cui era condizionato il finanziamento regionale.

equiparabilità, ai fini della perdita del beneficio, della vendita forzata alla vendita
volontaria.
3)Resta assorbito il quarto motivo del ricorso, con il quale il Batti deduce
nuovamente, questa volta sotto il profilo del vizio di motivazione, che la corte di
merito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la sanzione della decadenza ad
una fattispecie non prevista dalla I. reg. n. 75/82.
4) Infondato, infine, è il quinto mezzo di censura, con il quale il ricorrente,
denunciando ulteriore vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta che la
corte territoriale, per respingere il motivo d’appello in cui egli aveva insistito per la
compensazione delle spese del giudizio di primo grado, si sia limitata a rilevare che
non ricorrevano ragioni per derogare al principio della soccombenza.
Il giudice a quo ha infatti ritenuto insussistenti le ragioni della compensazione
(individuate dal Batti nella pretesa novità dell’interpretazione dell’art. 39 della I. reg.
n. 75/82 compiuta dal giudice di primo grado) “alla stregua dei principi esposti”, con
ciò chiaramente rinviando alla propria motivazione, che escludeva che la pronuncia
di decadenza dell’appellante dal contributo si fondasse su di un’interpretazione
estensiva od analogica della norma regionale.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che liquida in € 1.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Roma, 16 luglio 2013

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, va in definitiva affermata la piena

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