Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20690 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. I, 07/10/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 07/10/2011), n.20690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. e P.P., con domicilio eletto in Roma,

piazza del Popolo n. 18, presso l’Avv. Frisani Pietro L. che li

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

Ric. 323/2008 depositato il 12 maggio 2009;

nonchè sul ricorso n. 16573/10 proposto da:

C.R., B.G., L.G., B.

V., M.A., con domicilio eletto in Roma, piazza

del Popolo n. 18, presso l’Avv. Pietro L Frisani che li rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

Ric. 322/2008 depositato il 12 maggio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 28 settembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto dei

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.A. e P.P. ricorrono per cassazione nei confronti de decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 1.930,00 per ciascuno per anni sette e mesi nove di ritardo, ha accolto parzialmente il loro ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti per il Veneto dal 16.9.1996 al 7.6.2007 e definito con sentenza n. 567/07.

Con separato ricorso C.R., B.G., B.V., L.G. e M.A. impugnano il decreto in epigrafe con il quale la Corte d’appello ha deciso negli stessi termini in relazione allo stesso giudizio presupposto.

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.

Il P.G. ha depositato memoria.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi debbono essere preliminarmente riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile (Cassazione civile, sez. 3^, 20/12/2005, n. 28227) e La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno congiuntamente partecipato e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni.

Con i due motivi, identici in entrambi i ricorsi, che per la loro complementarietà possono essere trattati congiuntamente, si censura l’impugnato decreto sotto il profilo della violazione di legge e della carenza di motivazione in relazione alla liquidazione dell’indennizzo, quantificato dal giudice del merito in Euro 250,00 per anno di ritardo. La censura è fondata in quanto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 1^, 26 gennaio 2006, n. 1630).

Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento alla modestia della posta in gioco e alla natura collettiva del ricorso.

I ricorsi devono dunque essere accolti nei limiti di cui in motivazione. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (sentenza n. 14753/2010) l’Amministrazione deve essere condanna al pagamento in favore di ciascuno di essi della somma di Euro 6.250,00, oltre interessi in misura legale dalla data della domanda.

Le spese seguono la soccombenza tenendo conto del principio già affermato in relazione a ricorsi ex L. n. 89 del 2001 proposti separatamente per lo stesso giudizio presupposto (sent. n. 10634/10).

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi e li accoglie; cassa i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 6.250,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 1.664,00, di cui Euro 604,00 per diritti e Euro 1.010,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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