Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20689 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 13/10/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 13/10/2016), n.20689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

C.M.R., in proprio ed in qualità di erede di

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Brenta n. 2/a,

presso l’avv. ISABELLA STOPPANI, dalla quale, unitamente agli avv.

LUIGI D’ARIENZO e BARBARA PASQUALI, è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

e

CHALET LIDO DI C.B. & C. S.A.S., in persona del legale

rappresentante C.B., elettivamente domiciliata in Roma,

alla via E. Gianturco n. 6, presso l’avv. FILIPPO SCIUPO, dal quale

è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine

del controricorso;

– ricorrente, controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

SOCIETA’ GESTIONE CREDITI BP SOC. CONS. P.A., rappresentata da

A.M., in virtù di procura per notaio Co.Pa. del

(OMISSIS), rep. N. (OMISSIS), in qualità di procuratrice del BANCO

POPOLARE SOC. COOP., in virtù di procura per notaio Cu.La.

del (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Pasubio n. 4, presso l’avv. CARLO D’ERRICO, dal quale,

unitamente agli avv. PAOLO VERANI MASIN e STEFANO SCARFI’, è

rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine dei

controricorsi;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova n. 961/11,

pubblicata il 6 ottobre 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

maggio 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Sciuto per la Chalet Lido e l’avv. D’Errico per la

Società Gestione Crediti BP;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per la

dichiarazione d’inammissibilità o il rigetto del ricorso proposto

da C.M.R., l’accoglimento per quanto di ragione del

ricorso proposto dalla Chalet Lido e la dichiarazione

d’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La Chalet Lido di B.C. & C. S.a.s., già intestataria di un conto corrente presso la Banca Popolare di Novara, Agenzia di (OMISSIS), nonchè M.R. ed C.A., intestatarie di un altro conto corrente presso la medesima Banca e garanti della predetta società, convennero in giudizio il Banco Popolare di Verona e Novara Soc. coop. a r.l., in qualità di avente causa della Banca Popolare di Novara, per sentir accertare la somma dovuta a titolo di saldo debitore dei conti correnti e la responsabilità del Banco per la falsificazione delle sottoscrizioni apposte su documenti attribuiti ad esse attrici, con la condanna al risarcimento dei danni.

A sostegno della domanda, esposero che con lettere raccomandate del 7 febbraio 2001 il Banco, sull’errato presupposto della decadenza della società dal beneficio del termine, aveva disdetto gli affidamenti loro concessi ed intimato il pagamento del saldo debitore dei conti correnti, comunicando che, in mancanza, avrebbe proceduto alla realizzazione dei valori vincolati in pegno dalle C. ed alla compensazione del ricavato con l’importo dovuto.

Si costituì il Banco, e resistette alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la condanna delle attrici al pagamento della somma di Euro 190.990,64, oltre interessi.

1.1. – Con sentenza del 27 marzo 2007, il Tribunale di Savona rigettò sia la domanda principale che quella riconvenzionale, per mancanza di prove.

2. – Le impugnazioni separatamente proposte dalla Banca Popolare di Verona, San Geminiano e San Prospero S.p.a., in qualità di avente causa dal Banco Popolare di Verona e Novara, e dalla Chalet Lido e da C.M.R., in proprio ed in qualità di erede di C.A., nel frattempo deceduta, sono state riunite dalla Corte d’Appello di Genova, che con sentenza del 6 ottobre 2011 ha accolto la prima e rigettato la seconda, condannando la Chalet Lido e la C. al pagamento della somma di Euro 190.990,64, oltre interessi.

Premesso che le attrici avevano addebitato alla banca di aver provveduto abusivamente alla vendita di titoli e valori di loro proprietà asseritamente vincolati in pegno a suo favore e di avere compensato il ricavato con il saldo dei conti correnti a loro intestati, la Corte ha escluso l’illiceità di tale comportamento, rilevando che la Banca aveva agito nel rispetto della disciplina contrattuale che regolava i rapporti con le correntiste. Precisato infatti che i contratti stipulati tra le parti attribuivano alla Banca la facoltà di recedere con preavviso di cinque giorni anche senza giusta causa e di valersi dei titoli e dei valori costituiti in pegno dalla correntista, ha rilevato che tale facoltà, accordata anche dalle garanti con atto del 30 gennaio 1993, non disconosciuto tempestivamente, era stata esercitata con due lettere del 7 febbraio 2001, prodotte in giudizio, alle quali avevano fatto seguito due lettere recanti la firma di A. e C.M.R., con cui le garanti, riferendosi alla propria posizione debitoria ed a quella della Chalet Lido, avevano invitato la Banca a realizzare i titoli e a detrarre il ricavato dall’importo dovuto, impegnandosi a soddisfare il debito residuo; con le medesime lettere, esse avevano inoltre proposto dapprima l’accensione d’ipoteca a garanzia di un piano di rientro da formalizzare, ed in seguito un accordo bonario, con la vendita dei titoli costituiti in pegno e la concessione di un mutuo ipotecario. Ravvisato nelle predette lettere un riconoscimento del debito, al quale il Banco aveva dato riscontro comunicando la propria intenzione di procedere alla vendita dei titoli e la propria disponibilità a prendere in considerazione proposte di pagamento dilazionato, la Corte ha ritenuto generiche le doglianze sollevate dalle attrici in ordine ad altre irregolarità commesse dalla Banca, al mancato invio degli estratti conto ed all’errato conteggio d’interessi e commissioni, affermando pertanto, sulla base della documentazione prodotta, la fondatezza della domanda riconvenzionale.

3. – Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C.M.R., per undici motivi, e la Chalet Lido, per sei motivi. Hanno resistito con controricorsi la Società Gestione Crediti BP Soc. Cons. p.a., in qualità di procuratrice del Banco Popolare Soc. coop., succeduta alla Banca Popolare di Verona, San Geminiano e San Prospero, e la Chalet Lido, quest’ultima proponendo ricorso incidentale, articolato in ventitrè motivi, al quale la SGCBP ha resistito con controricorso. La Chalet Lido ha depositato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va confermata la legittimazione della SGCBP a resistere all’impugnazione per conto del Banco Popolare, non meritando accoglimento l’eccezione sollevata dalla difesa della Chalet Lido, secondo cui in corso di causa non è consentita la costituzione del rappresentante in sostituzione del rappresentato, ma solo l’intervento di quest’ultimo in luogo del primo.

Come si evince dalla procura menzionata nell’intestazione ed allegata al controricorso, la SGCBP si è costituita in giudizio non già in proprio, ma in qualità di rappresentante di un altro soggetto, dichiarato titolare del credito controverso, al quale spetta pertanto la qualifica di parte in senso sostanziale, nei cui confronti devono essere verificati la legittimazione e l’interesse a resistere al ricorso per cassazione. La sussistenza di tali condizioni è comprovata dalla produzione in giudizio dell’atto di fusione per notaio P.M. del (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS), con cui il Banco Popolare ha incorporato la Banca Popolare di Verona, San Geminiano e San Prospero, costituita in appello, divenendo in tal modo parte del rapporto controverso e di quello processuale: ai sensi dell’art. 2504-bis c.c., nel testo modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la fusione di società si traduce infatti in una vicenda non estintiva, ma evolutivo-modificativa, che implica un mutamento meramente formale dell’organizzazione societaria preesistente, senza la creazione di un nuovo ente, ma con la prosecuzione da parte dell’incorpo-rante dei rapporti giuridici, anche processuali, già facenti capo all’incorporata (cfr. Cass., Sez. 6, 18 novembre 2014, n. 24498; Cass., Sez. lav., 15 febbraio 2013, n. 3820). Quanto invece alla posizione della SGCBP, il carattere secondario e concorrente della legittimazione spettante al soggetto al quale, come alla controricorrente, sia stato conferito un potere di rappresentanza processuale, congiuntamente a quello di rappresentanza sostanziale o negoziale, secondo la previsione dell’art. 77 c.p.c., comporta l’assunzione della veste di parte in senso meramente formale, la quale, così come non esclude la facoltà del rappresentato di subentrargli in qualsiasi momento, non gli impedisce di assumere in luogo dello stesso l’iniziativa dell’impugnazione o della resistenza in giudizio, ovviamente nei limiti dei poteri conferitigli (cfr. Cass., Sez. 1, 29 ottobre 1980, n. 5786; v. anche Cass., Sez. 3, 11 gennaio 2002, n. 314).

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la Chalet Lido denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., sostenendo che, nell’attribuire alle lettere inviate al Banco dalle C. la portata di riconoscimento del debito, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della novità della relativa allegazione e della conseguente inammissibilità del relativo motivo di gravame: afferma infatti che tale efficacia era stata dedotta dal Banco soltanto nella comparsa conclusionale depositata in primo grado, peraltro in via meramente subordinata, non essendo stata mai fatta valere in precedenza, nè nella comparsa di costituzione in primo grado ne entro il termine di cui all’art. 183 c.p.c., in quanto il Banco si era limitato a contestare le censure riguardanti l’ammontare degli affidamenti, l’illegittimità del recesso e il conteggio delle somme dovute.

2.1. – Il motivo è infondato.

La causa petendi della domanda di pagamento proposta in via riconvenziona-le dal Banco nei confronti delle attrici era costituita non già dalla ricognizione di debito posta in essere dalle C., ma dal residuo debito delle stesse e della Chalet Lido derivante dal saldo debitore dei conti correnti ad esse intestati, detratto l’importo ricavato dalla vendita dei titoli costituiti in pegno. Rispetto a tale pretesa, il riconoscimento del debito, recante uno specifico riferimento al rapporto sottostante, si poneva non già come fatto costitutivo del credito azionato (ovvero, se riguardato dal punto di vista delle attrici, come fatto impeditivo della loro domanda di accertamento negativo del debito), ma come mezzo di prova (cfr. Cass., 9 febbraio 1994, n. 1328), la cui acquisizione agli atti, per effetto della tempestiva produzione in giudizio dei relativi documenti, doveva ritenersi sufficiente a consentire al Giudice di avvalersene, indipendentemente da una specifica allegazione di parte. In tema di prova, vige infatti il principio di acquisizione processuale, in virtù del quale tutte le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la pane ad iniziativa della quale si siano formate, concorrono indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, con la conseguenza che, quand’anche quello di primo grado non le abbia prese in considerazione, il giudice di appello può valutarle, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto (cfr. Cass., Sez. 2, 12 luglio 2011, n. 15300; Cass., Sez. 1, 12 settembre 2003, n. 13430). Nella specie, pertanto, la mancata allegazione dell’intervenuto riconoscimento del debito nella comparsa di costituzione o comunque entro il termine di cui all’art. 183 c.p.c. non escludeva la facoltà del Banco di farne valere l’efficacia probatoria anche in comparsa conclusionale ovvero di porla a fondamento di uno specifico motivo di gravame, la cui proposizione, d’altronde, non doveva considerarsi neppure necessaria, potendo la Corte d’Appello sottoporlo autonomamente a valutazione, unitamente agli altri elementi istruttori acquisiti agli atti.

3. – Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1373, 1374 e 1375 c.c., nonchè l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere irrilevante la mancata allegazione di una giusta causa a sostegno del recesso dagli affidamenti, la sentenza impugnata non ha considerato che le clausole contrattuali che attribuivano al Banco la facoltà di recedere pure in assenza di giusta causa non escludevano la necessità di verificare il rispetto dei principi di correttezza e buona fede e delle modalità prescritte per la comunicazione del recesso. Aggiunge che, nell’accertamento dei fatti, la Corte di merito ha contraddittoriamente rilevato dapprima che il Banco aveva concesso alle debitrici il termine di cinque giorni per il pagamento, ed in seguito che aveva richiesto il pagamento immediato, confondendo il termine previsto dall’art. 1845 c.c., comma 3 con quello previsto dal comma 2, ed omettendo di considerare che l’invocazione dell’art. 1186 c.c. avrebbe imposto al Banco di dimostrare la sussistenza di una delle ipotesi previste da tale disposizione.

3.1. – Il motivo è in parte in parte infondato, in parte inammissibile.

E’ pur vero che, come ripetutamente affermato da questa Corte in tema di contratti bancari, il principio secondo cui il contratto dev’essere eseguito secondo buona fede impedisce di escludere l’illegittimità del recesso della banca dal rapporto di apertura di credito, ove lo stesso, benchè consentito pattiziamente anche in difetto di giusta causa, abbia avuto luogo in concreto con modalità del tutto impreviste ed arbitrarie: tali connotati si pongono infatti in contrasto con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia ritenuto di poter contare sulla disponibilità accordatagli per il tempo previsto, non potendosi pretendere che egli sia pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, senza svuotare di contenuto le ragioni stesse del contratto in questione (cfr. Cass., Sez. 1, 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538). Nella specie, tuttavia, la lesione del predetto affidamento non risulta in alcun modo dedotta dalle attrici, le quali, pur avendo l’onere di allegare i profili di scorrettezza del comportamento del Banco e di fornire la relativa prova (cfr. Cass., Sez. 1, 7 marzo 2008, n. 6186), si sono limitate a far valere la commissione d’irregolarità nella gestione dei conti, che attiene alla condotta tenuta anteriormente alla revoca delle aperture di credito, e l’illegittimità della vendita dei titoli costituiti in garanzia, logicamente e cronologicamente successiva al recesso.

Nel censurare l’accertamento compiuto dalla Corte di merito in ordine alle modalità di esercizio del diritto di recesso, la ricorrente ha fatto poi valere il mancato rispetto dei termini stabiliti per il preavviso e per la restituzione delle somme dovute, sviluppando un complesso (ed in parte oscuro) ragionamento che, in quanto avente come presupposto l’individuazione delle ragioni del recesso, implica l’interpretazione del relativo atto, la quale costituisce un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, applicabili anche agli atti unilaterali, ovvero per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass., Sez. lav., 15 aprile 2013; Cass., Sez. 2, 31 maggio 2010, n. 13242). Il primo vizio tuttavia non è stato in alcun modo dedotto, mentre il secondo avrebbe richiesto la precisa indicazione delle lacune argomentative della sentenza impugnata, ovvero degli elementi di giudizio ai quali è stato attribuito un significato estraneo al senso comune, o ancora degli argomenti connotati da un’assoluta incompatibilità razionale, sempre che gli stessi risultassero dal ragionamento svolto a sostegno della decisione (cfr. Cass., Sez. lav., 2 maggio 2012, n. 6641; Cass., Sez. 2, 3 settembre 2010, n. 19044; Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2007, n. 4178). La ricorrente si è invece limitata a far valere la mancata dimostrazione della sussistenza delle condizioni per la decadenza dal beneficio del termine, contraddittoriamente ammettendo che lo stesso Banco aveva precisato di non aver voluto invocare l’art. 1186 c.c., nonchè a sottolineare le divergenze lessicali di alcuni passi della sentenza impugnata, desumendone un’asserita confusione tra i termini previsti dall’art. 1845 c.c., la quale sembra rappresentare più una conseguenza che la dimostrazione del dedotto vizio di motivazione.

4. – Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1988 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che nel qualificare come ricognizioni di debito le lettere inviate al Banco dalle C., la sentenza impugnata non ha tenuto conto della loro erronea convinzione dell’effettiva esistenza della posizione debitoria, nè del tenore di un telegramma inviato in epoca immediatamente successiva, con cui esse avevano diffidato il Banco dal procedere alla realizzazione dei titoli.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

La contestazione della natura ricognitiva delle lettere prodotte in giudizio, implicando la ricostruzione della volontà manifestata dalle C., pone anch’essa una questione d’interpretazione del negozio, la cui prospettazione in questa sede non risulta tuttavia adeguata: la deduzione della violazione dell’art. 1362 c.c. non è infatti accompagnata dalla specificazione delle considerazioni attraverso le quali la sentenza impugnata si sarebbe discostata dal criterio letterale, mentre quella del vizio di motivazione si fonda sull’invocazione di una convinzione meramente soggettiva delle garanti, rimasta del tutto indimostrata, nonchè sul richiamo ad altri documenti prodotti, che, potendo costituire anche il frutto di un ripensamento successivo alle predette lettere, non possono considerarsi decisivi ai fini della loro interpretazione.

5. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1987, 1988 e 2697 c.c., osservando che, nell’attribuire efficacia ricognitiva alle lettere prodotte in giudizio, la Corte di merito non ha considerato che il riconoscimento del debito, oltre a non costituire un’autonoma fonte di obbligazione, ma ad avere un effetto meramente confermativo di un rapporto preesistente, non poteva spiegare effetti nei confronti di essa ricorrente, rimasta estranea alla corrispondenza intercorsa tra il Banco e le garanti, non essendo stato provato che queste ultime fossero state autorizzate ad esprimersi anche per suo conto o che la predetta dichiarazione fosse stata da essa ratificata.

6. – Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1309 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., sostenendo che, nell’estendere anche ad essa ricorrente l’efficacia del riconoscimento del debito posto in essere dalle garanti, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del vincolo di solidarietà intercorrente tra il debitore principale ed il fideiussore, e della conseguente applicabilità dell’art. 1309 cit., il quale esclude la comunicazione ai condebitori degli effetti degli atti pregiudizievoli compiuti da uno di essi.

7. – Con il sesto ed ultimo motivo, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nell’attribuire efficacia ricognitiva alle lettere prodotte in giudizio, la Corte di merito non ha considerato che, ai fini dell’estensione di tale efficacia all’ammontare del debito, è necessaria una precisa indicazione del relativo importo, nella specie assente, nonchè la verifica, da condursi secondo il criterio letterale e logico, della riferibilità della volontà negoziale anche al predetto ammontare.

8. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti la comune problematica dell’efficacia soggettiva ed oggettiva della ricognizione di debito, sono infondati.

E’ pur vero, infatti, che la ricognizione di debito, malgrado non abbia natura giuridica di confessione, neppure se titolata, deve pur sempre provenire da un soggetto legittimato sotto il profilo sostanziale a disporre del patrimonio sul quale incide l’obbligazione dichiarata, trattandosi di un atto avente carattere negoziale (cfr. Cass., Sez. 2, 24 aprile 2012, n. 6473; Cass., Sez. 111, 28 febbraio 1984, n. 1438; Cass., Sez. 1, 21 giugno 1974, n. 1834), e comunque, se effettuata da uno dei debitori in solido, non ha effetto riguardo agli altri, come espressamente previsto dall’art. 1309 c.c.. Ciò non esclude tuttavia la possibilità di desumerne elementi di prova anche nei confronti di un soggetto diverso da quello dal quale proviene, soprattutto nel caso in cui, come nella specie, essa rechi un espresso riferimento al rapporto fondamentale, del quale il medesimo soggetto sia parte, nonchè la menzione di fatti dai quali, in concorso con altri elementi istruttori, possa evincersi la dimostrazione della pretesa azionata (cfr. Cass., Sez. 3, 16 maggio 1975, n. 1901).

E’ proprio questa, e non quella tipica prevista dall’art. 1988 c.c., l’efficacia attribuita dalla Corte di merito alle lettere prodotte in giudizio, le quali, almeno per quanto riguarda la Chalet Lido, non hanno costituito l’unico elemento di prova posto a fondamento della decisione, avendo la Corte di merito dato atto dell’avvenuta produzione dei contratti stipulati con il Banco, recanti anche l’indicazione del tasso d’interesse pattuito per la disponibilità accordata alla società attrice, e delle fideiussioni rilasciate dalle C., nonchè della corrispondenza intercorsa tra le parti a seguito della revoca degli affidamenti, dalla quale ha desunto anche l’ammontare del debito residuo. Nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente non è in grado di indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sull’impossibilità di riconoscere portata ricognitiva alle dichiarazioni rese dalle C., anche in relazione alla mancata indicazione dell’importo dovuto, senza neppure accennare alle contestazioni sollevate al riguardo. In tal modo, essa dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare i fatti di causa, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui sono affidate in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, l’assunzione e la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle stesse, e la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottcsi (cfr. Cass., Sez. 1, 23 maggio 2014, n. 11511; Cass., Sez. 3, 24 maggio 2013, n. 12988; Cass., Sez. lav., 7 gennaio 2009, n. 42).

9. – Con il primo motivo del suo ricorso, M.R. C. denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1988 cod. civ., sostenendo che, nel ravvisare una ricognizione di debito nelle lettere inviate da essa ricorrente e da Antonietta C. al Banco in risposta alle intimazioni di pagamento, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della loro qualità di mere garanti del credito azionato e della natura negoziale del riconoscimento del debito, il quale deve provenire dal debitore o da un soggetto avente la disponibilità del rapporto al quale si riferisce.

9.1. Il motivo è infondato.

L’estraneità del fideiussore al rapporto tra il debitore principale ed il creditore, pur escludendo la sua capacità di disporre del debito garantito, non comporta l’invalidità o l’inefficacia del riconoscimento da lui posto in essere, avuto riguardo al vincolo di solidarietà che lo lega al debitore principale, il quale, pur rendendo inoperativo il riconoscimento nei confronti di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1309 c.c., non gl’impedisce di spiegare pienamente i suoi effetti nel rapporto tra il guarite ed il creditore, distinto dal rapporto principale, anche se ad esso collegato.

10. – Con il terzo motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto al primo, la C. deduce la violazione c/o l’errata interpretazione dell’art. 2719 c.c. e dell’art. 215 c.p.c., rilevando che, nel ritenere non disconosciute le sottoscrizioni apposte sull’atto di costituzione in pegno dei titoli, la Corte di merito non ha considerato che il disconoscimento era stato impedito dalla avvenuta produzione degli stessi in fotocopia, la cui conformità all’originale era stata contestata fin dall’atto di citazione, con riserva del disconoscimento in caso di produzione dell’originale. Premesso che il Banco non aveva mai prodotto l’originale, ma solo un’altra fotocopia, a sua volta immediatamente disconosciuta, sostiene che la tardività del disconoscimento, non rilevabile d’ufficio, non era mai stata eccepita dal Banco, il quale si era limitato ad affermare il carattere interno dei documenti.

10.1. – Il motivo è inammissibile.

L’affermata irritualità del disconoscimento non ha infatti spiegato alcuna concreta incidenza ai fini della decisione in ordine alla legittimità della vendita dei titoli depositati dalle C., il cui riconoscimento trova un’autonoma giustificazione nella circostanza, accertata dalla sentenza impugnata, che la vendita fu espressamente autorizzata dalle garanti nell’ambito della corrispondenza intercorsa con il Banco a seguito della revoca degli affidamenti concessi alla Chalet unitamente all’utilizzazione del ricavato per l’estinzione parziale del debito della società attrice, indipendentemente dalla precedente costituzione in pegno dei medesimi titoli. La constatazione dell’avvenuto raggiungimento di un accordo successivo in ordine alla realizzazione dei titoli, rendendo irrilevante la pregressa sot-toposizione degli stessi a vincolo quale garanzia del credito, consente di escludere l’interesse delle ricorrenti all’impugnazione della statuizione riguardante l’autenticità delle sottoscrizioni apposte al relativo atto. L’interesse all’impugnazione, che costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, dev’essere infatti apprezzato in relazione all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può quindi consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; è pertanto inammissibile, per difetto d’interesse, una censura con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non abbia spiegato alcuna influenza in relazione alle domande o alle eccezioni proposte, e che sia quindi diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass., Sez. lav., 25 maggio 2008, n. 13373; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2006, n. 11844; 28 aprile 2006, n. 9877).

11. – Con il secondo motivo, la ricorrente ribadisce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c., osservando che, anche a volervi ravvisare un riconoscimento del debito, le lettere inviate al Banco spiegavano effetto sul piano esclusivamente processuale, dispensando il creditore dall’onere di fornire la prova del rapporto fondamentale, e non risultavano pertanto idonee a precludere l’esame delle censure da lei sollevate, riflettenti l’irregolarità di una serie di operazioni contabili e bancarie e l’illegittimità della capitalizzazione degl’interessi passivi, che inficiavano il calcolo della somma dovuta al Banco.

12. – La predetta censura dev’essere esaminata congiuntamente a quelle proposte con i motivi dal sesto all’undicesimo, con cui la ricorrente denuncia l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, facendo valere l’omesso esame delle contestazioni sollevate in ordine a) all’avvenuta concessione di un’ulteriore apertura di credito di Lire 112.000.000 in favore della società attrice, idonea a modificare anche la posizione di esse garanti, b) all’addebito dell’importo di Lire 118.000.000 sul conto intestato alla Chalet Lido, riguardante un credito di terzi per IVA, in ordine al quale il Banco non avrebbe dovuto procedere alla ritenuta, e) all’accredito di Lire 49.000.000 sul conto corrente intestato alla Chalet Lido a seguito della vendita dei titoli dati in pegno da esse garanti, in considerazione del periodo trascorso tra le due operazioni e del differenziale esistente tra i tassi d’interesse applicati ai due conti, d) al rifiuto del Banco di pagare ad esse garanti la rendita delle azioni bancarie in deposito, non vincolate a garanzia di alcun conto corrente, e) all’addebito di un bonifico a terzi di Lire 78.468.000, per il quale il Banco non aveva mai documentato l’ordine di pagamento impartito da esse correntiste, f) alla capitalizzazione composta degl’interessi applicati ai conti correnti.

13. -I motivi sono fondati.

Anche a voler ritenere che la Corte di merito abbia inteso fondare la propria decisione esclusivamente sull’efficacia ricognitiva delle lettere inviate dalle C. al Banco a seguito della revoca degli affidamenti, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto sufficiente la produzione dei predetti documenti, ai fini del rigetto della domanda principale e dell’accoglimento della domanda riconvenzionale, respingendo quindi le contestazioni sollevate dalle garanti in ordine all’ammontare del debito, senza procedere alla verifica della loro fondatezza, attraverso la valutazione dei mezzi di prova offerti a sostegno delle stesse, se ed in quanto ammissibili, nonchè di quelli ulteriori eventualmente dedotti e prodotti dal Banco a giustificazione della propria pretesa. Le predette censure non potevano ritenersi infatti precluse dall’avvenuto riconoscimento del debito, il quale non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, comportando, ai sensi dell’aut. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della causa debendi; tale astrazione si traduce in una mera relevatio ab onere probandi, in virtù della quale il destinatario della dichiarazione è dispensato dall’onere di fornire la prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale: pertanto, ogni effetto vincolante della ricognizione è destinato a venir meno ove sia giudizialmente allegato e provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto o è invalido o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento (cfr. Cass., Sez. 31 marzo 2010, n. 7787; Cass., Sez. 2, 22 agosto 2006, n. 18259; Cass., Sez. 3, 11 dicembre 2000, n. 15575).

14. – Il ricorso principale proposto dalla Chalet Lido va pertanto rigettato, mentre quello proposto dalla C. va accolto negl’indicati limiti, restando assorbiti il quarto ed il quinto motivo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 198 cod. proc. civ. e l’omessa, insufficiente e/o carente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato l’istanza di ammissione di una c.t.u. contabile e per non aver tenuto conto degli estratti conto prodotti in giudizio, ai fini dell’accertamento richiesto in ordine all’avvenuta effettuazione di operazioni non autorizzate.

15. – E invece inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla Chalet Lido nel controricorso notificato a seguito del ricorso proposto dalla C..

La proposizione del ricorso principale per cassazione determina infatti la consumazione del diritto d’impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un’altra parte, non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura, nè ripetere le medesime censure già avanzate con il proprio originario ricorso, mediante un ricorso incidentale che, se proposto, dev’essere dichiarato inammissibile, restando esaminabile esclusivamente come controricorso, nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l’impugnazione avversaria (cfr. Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2568; Cass., Sez. 3, 21 dicembre 2011, n. 27898; 14 novembre 2006, n. 24219).

16. – La sentenza impugnata va dunque cassata, nei limiti segnati dal parziale accoglimento del ricorso proposto da C.R.M., con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Genova, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposti dalla Chalet Lido di C.B. e C. S.a.s., rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso proposto da C.M.R., dichiara assorbiti il quarto ed il quinto motivo, accoglie gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di Appello di Genova, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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