Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20688 del 10/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 20688 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 9050-2006 proposto da:
CASTELLO GESTIONE CREDITI S.R.L. (C.F. 04951360967),
nella qualità di mandataria di INTESA GESTIONE
CREDITI S.P.A. e di BANCA INTESA S.P.A., in persona

Data pubblicazione: 10/09/2013

dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso
2013
1177

l’avvocato GARGANI BENEDETTO, che la rappresenta e
difende, giusta procure a margine del ricorso;
– ricorrente contro

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MARRAS CHIARINA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA P. MATTEUCCI 41, presso l’avvocato PITITTO
ANTONIO GIUSEPPE, rappresentata e difesa
dall’avvocato TROPINI MARIO,

giusta procura a

margine del controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrente

543/2005 della CORTE

D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/07/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente,

l’Avvocato CATALANO

ROBERTO, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato TROPINI
MARIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento per guanto di ragione del terzo

motivo.

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Svolgimento del processo
Con decreto del 9 ottobre 1996 il Presidente del
Tribunale di Sanremo ha ingiunto a Marras Chiarina di
pagare al Banco Ambrosiano Veneto spa la somma di £.

449.169.724, comprensiva degli interessi maturati al 30
giugno 1996, quale saldo debitore di due conti correnti
(n. 854201 e 836078) da essa intrattenuti presso la
filiale di Bordighera.
La Marras ha proposto opposizione deducendo, tra l’altro,
la nullità delle clausole di determinazione degli
interessi con rinvio agli usi e di capitalizzazione
trimestrale.
Nel corso del giudizio è intervenuta la Intesa Gestione
Crediti spa, succeduta a titolo particolare al Banco
Ambrosiano Veneto spa.
Il Tribunale di Sanremo, con sentenza 20 gennaio 2003, ha
ritenuto che dalla ricostruzione contabile operata dal
c.t.u. non fosse possibile ricostruire lo sviluppo dei
due rapporti di conto corrente nel periodo precedente al
31 dicembre 1990 a causa della mancata produzione dei
relativi estratti conto da parte della banca, la quale
non aveva l’obbligo giuridico di conservarli oltre il
termine di dieci anni, anche tenendo conto che il giudice
istruttore, con ordinanza 23 settembre 1998, aveva
respinto l’istanza di esibizione proposta dalla Marras. E
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tuttavia, poiché nel periodo non valutato dal c.t.u.
precedente al dicembre 1990 il debito della Marras si era
incrementato

in

misura

illegittima

per

effetto

dell’applicazione degli interessi anatocistici, il

tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo e determinato
equitativamente la somma complessivamente dovuta dalla
Marras in C 150.000,00 oltre interessi dal 30 giugno 1996
al saldo.
L’appello della Marras veniva accolto dalla Corte di
appello di Genova, con sentenza 30 maggio 2005. La corte
ha ritenuto che l’applicazione nella fase iniziale di
entrambi i rapporti di conto corrente di interessi
calcolati in base a clausole invalide aveva
“inevitabilmente esplicato ripercussione inquinante sulla
progressiva evoluzione dei rapporti stessi” che aveva
reso impossibile la depurazione degli interessi
contabilizzati dalla banca dall’incidenza delle
componenti

contra legem

e, quindi, la determinazione

dell’entità pecuniaria dell’eventuale credito della
banca, a causa del mancato assolvimento dell’onere della
prova che su di essa ricadeva. Infatti, ad avviso della
corte, sebbene non fosse tenuta a conservare gli estratti
conti per oltre dieci anni, tuttavia, all’epoca in cui la
Marras ne aveva chiesto l’esibizione, la banca doveva
essere a conoscenza dell’orientamento della
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giurisprudenza in materia che imponeva di verificare i
tassi concretamente praticati e incidenti sulla
formazione progressiva del credito. Essa non poteva
ritenersi sottratta alle conseguenze del rischio che

volontariamente aveva assunto con la soppressione delle
fonti di prova, senza possibilità di fare ricorso al
metodo equitativo per il calcolo del corrispettivo.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Castello
Gestione Crediti srl., nella qualità di mandataria della
Intesa Gestione Crediti spa e di Banca Intesa spa, con
tre motivi, cui resiste la Marras. Entrambe le parti
hanno presentato memorie a norma dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.- La ricorrente Castello Gestione Crediti, nel primo
motivo (per violazione degli artt. 1832, 1857, 2220,
2710, 2697 c.c. e 119 d. lgs. n. 385/1993 e vizio di
motivazione), imputa alla corte genovese di avere posto a
carico della banca l’onere non previsto dalla legge di
conservazione degli estratti conto integrali per un
periodo eccedente il termine di dieci anni; sostiene che
la banca non aveva conservato le scritture contabili per
l’intero periodo del rapporto contrattuale nella
presunzione

della

validità

delle

clausole

di

capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
cliente nei contratti di conto corrente bancario,
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attestata dalla giurisprudenza della Cassazione il cui
diverso indirizzo fu inaugurato nell’anno 1999 (tra le
altre Cass. n. 2374/1999); inoltre il giudice di merito
non aveva considerato che l’ordinanza istruttoria del 23

degli estratti conto proposta dalla Marras.
1.1.- Il motivo è infondato in entrambi i suoi profili.
Il primo fa valere una tesi contraria a quella seguita
dalla giurisprudenza di legittimità, cui la Corte
genovese si è puntualmente attenuta, secondo la quale,
nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può
sottrarsi all’onere di provare il proprio credito
invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le
scritture contabili oltre dieci anni dalla data
dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo non può
sollevarla dall’onere della prova piena del credito
vantato anche per il periodo anteriore (Cass. n.
1842/2011, n. 23974/2010).
Il secondo profilo è infondato (oltre che per quanto

(WL

poc’anzi detto) anche perché l’onere di conservazione
delle scritture contabili nei rapporti di conto corrente
bancario è strumentale alla prova del credito che la
banca è tenuta a dare circa la sorte capitale di cui gli
interessi costituiscono solo un accessorio; inoltre i
giudici di merito hanno rilevato la nullità (anche) delle
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settembre 1998 aveva rigettato l’istanza di esibizione

clausole di rinvio agli usi per la determinazione degli
interessi che era già prevista dall’art. 4 della legge 17
febbraio 1992 n. 154 (v. ora l’art. 117, comma 6, del d.
lgs. l settembre 1993 n. 385); il profilo presenta

aspetti di contraddittorietà nella parte in cui, a
giustificazione del proprio comportamento, si invoca il
rigetto dell’istanza di esibizione avanzata dalla Marras,
avvenuto con ordinanza del settembre 1998, circostanza
che avrebbe dovuto indurre la banca a conservare la
documentazione degli ultimi dieci anni, cioè quantomeno a
partire dal settembre 1988, e non solo dal dicembre 1990.
2.- Nel secondo motivo (per violazione degli artt. 115
c.p.c. e 1226 e 2056 c.c. e vizio di motivazione) si
censura la sentenza impugnata per non avere fatto
applicazione della cosiddetta equità integrativa, stante
l’estrema difficoltà di raggiungere la prova del credito
della banca nel rapporto di conto corrente.
Nel terzo motivo (per violazione degli artt. 2697 c.c.,
115, 191 ss. e 356 c.p.c. nonché vizio di motivazione) si
deduce che la corte di merito avrebbe dovuto riconoscere
quantomeno un importo decurtato rispetto a quello
inizialmente richiesto, mediante l’ausilio di una nuova
necessaria c.t.u.
Alla base dei suddetti motivi si critica la decisione
della

corte

di

appello

secondo

cui

“l’avvenuta
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applicazione nella fase iniziale di entrambi i rapporti
[di conto corrente], in misura non nota, di interessi
calcolati in base ad una clausola da considerarsi
invalida nella parte in cui rimanda alle condizioni

usualmente praticate dalle aziende di credito sulla
piazza e la contemporanea applicazione della
capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi
periodici di conto corrente passivi per la cliente [_.]
hanno inevitabilmente esplicato ripercussione inquinante
sulla progressiva evoluzione dei rapporti stessi e sulla
formazione del dato intermedio costituente il punto di
partenza della evoluzione successiva: perciò
l’impossibilità di depurare l’ammontare degli interessi
contabilizzati dalla banca dall’incidenza delle
componenti contra legem si risolve nella impossibilità di
attendibilmente determinare l’intera entità del credito
della Banca”. In sostanza, ad avviso della Corte
territoriale, non essendovi prova dell’iniziale credito
per sorte capitale nei confronti della Marras, avendo la
banca volontariamente soppresso le fonti di prova
documentale dei rapporti di conto corrente iniziati nei
mesi di maggio e ottobre 1988 e conservato solo quelle
successive al dicembre 1990, concernenti però un capitale
formato da interessi illegittimamente capitalizzati nel
tempo, essa aveva accettato il rischio di non poter
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provare il credito per sorte capitale su cui calcolare

.•

quantomeno gli interessi legali, senza possibilità di far
ricorso al criterio equitativo che non costituisce uno
“strumento alternativo del mancato assolvimento

dell’onere della prova gravante sulla parte”.
2.1.- Entrambi i motivi di ricorso, da esaminare
congiuntamente, sono infondati.
E’ noto il principio secondo cui l’accertata nullità
delle clausole concernenti la capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal correntista non
travolge l’intero credito azionato dalla banca in via
• monitoria, bensì la sola parte di esso riguardante gli
interessi così calcolati, imponendo al giudice di
provvedere ad un nuovo calcolo degli interessi dovuti
(Cass. n. 3649/2012), sempre che sussista la prova
dell’esistenza del credito nella sorte capitale che può
essere data in tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento.
Non risulta che il giudice del merito, nel suo
discrezionale apprezzamento, abbia ritenuto né che tale
prova sia stata fornita dalla banca né che il credito sia
incontestato nell’an. Pertanto l’implicita decisione di
non rinnovare la c.t.u. espletata in primo grado – che il
tribunale aveva giudicato “inficiata dalla mancata
cognizione dello sviluppo di entrambi i rapporti di conto
corrente nel periodo intercorrente tra l’inizio di
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ciascuno di essi e la data del 31 dicembre 1999” (v. p. 9
della sentenza di appello) – costituisce un apprezzamento
discrezionale che, non essendo incongruo né illogico, è
incensurabile in sede di legittimità, tenuto conto che,

com’è noto, la c.t.u. non è ammissibile per
l’accertamento dei fatti non provati dalla parte o a fini
esplorativi.
La ricorrente ha lamentato il mancato ricorso al criterio
equitativo (applicato invece dal tribunale) per la
determinazione del corrispettivo dovuto in un caso in cui
è particolarmente ardua la prova dell’esatto ammontare
del credito. La doglianza è infondata. La decisione
impugnata è conforme all’indirizzo interpretativo secondo
cui l’art. 1226 c.c., che prevede lo strumento
equitativo, è norma eccezionale che, non solo, presuppone
la prova dell’esistenza del danno che non sia possibile
(s’intende, per causa non imputabile alla parte)
determinare nel suo preciso ammontare, ma che si
riferisce appunto ai giudizi di liquidazione del danno
(anche contrattuale) e non è applicabile in via analogica
(Cass. n. 2411/1980) ai giudizi per la quantificazione
del corrispettivo costituente oggetto di obbligazioni
contrattuali, fatta eccezione per i casi specificamente
previsti dalla legge (come l’art. 432 c.p.c. in materia

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lavoristica, che ugualmente presuppone che sia certo il
diritto e non sia possibile determinare la somma dovuta).
La ricorrente, al fine di neutralizzare l’assenza degli
estratti conto dal maggio 1988 e quindi l’incertezza

circa la consistenza del saldo debitore al 31 dicembre
1990, afferma che il c.t.u. avrebbe potuto considerare,
nell’ipotesi più sfavorevole per la banca, non già il
saldo debitore risultante dall’estratto (più risalente
depositato in giudizio) del 31 dicembre 1990 (perché
inficiato per le ragioni già dette), ma un saldo pari a
zero. Tale indicazione, benché seguita in un precedente
di questa Corte (n. 1842/2011

cit.),

non può

condividersi, non solo perché si verrebbe in tal modo a
introdurre per la determinazione del corrispettivo
contrattuale un criterio di tipo equitativo non
consentito, ma anche perché, se si assumesse come dato di
partenza “l’inesistenza di un saldo debitore”, si
verrebbe ad escludere

a priori

la possibilità che, per

effetto di eventuali rimesse effettuate nel periodo
precedente, vi possa essere stato un saldo creditore per
la correntista.
3.- In conclusione il ricorso è rigettato. Le spese del
giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese del giudizio di cassazione, liquidate in C
10200,00, di cui e 10000,00 per compensi, oltre accessori
dovuti per legge.

I

cons. rel.

04A/

Il Presidente

Roma, 2 luglio 2013.

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