Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20685 del 09/08/2018


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Civile Sent. Sez. U Num. 20685 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA
sul ricorso 7285-2017 proposto da:
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI GENOVA, in persona
del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE DON G. MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato
ANTONINO GALLETTI, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LUIGI COCCHI;
– ricorrente contro

ROSSI MARCO Q., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL
PORTO DI RIPETTA 1, presso lo studio dell’avvocato LUCA PUCCETTI,
rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO DOTTA;

Data pubblicazione: 09/08/2018

- con troricorrente nonché contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE
PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
intimati

avverso la sentenza n. 396/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE
FORENSE, depositata il 31/12/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/07/2018 dal Consigliere FRANCO DE STEFANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale RENATO
FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi gli avvocati Antonino Galletti e Leonardo Brasca per delega orale
dell’avvocato Marco Dotta.
Fatti di causa
1. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Genova ricorre,
affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 396 del
31/12/2016, con cui il Consiglio Nazionale Forense ha accolto,
ritenutolo tempestivo, il ricorso dell’avv. Marco Q. Rossi avverso la
decisione del 03/04/2014, con cui il ricorrente Consiglio gli aveva
irrogato la sanzione disciplinare della cancellazione in relazione ad
illeciti (plurime violazioni del dovere di correttezza e lealtà – di cui agli
artt. 6-22 cod. deont. – e probità, di cui all’art. 5 del cod. deont.; uso
di espressioni sconvenienti o offensive, oltre che calunniose, in
violazione degli artt. 20-22 cod. deont.; violazione dei doveri
scaturenti dai rapporti con i praticanti, di cui all’art. 26, comma 3,
cod. deont.; violazione dei doveri di correttezza e lealtà nei rapporti
con gli arbitri, ai sensi dell’art. 54 cod. deont.; il tutto come da capo
di incolpazione notificato al Rossi il 10/12/2008 al suo studio di
Genova ed il 29/12/2008 al suo studio di New York) commessi in
Genova dal 2004 al 2006 e ricondotti ad un articolato e complesso

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contenzioso giudiziale, che aveva contrapposto lui e la sua consorte al
Condominio genovese ove abitavano in Genova Nervi ed interessato,
tra gli altri, gli avv. Giuseppe Faravelli e Luca Svampa, a seguito
dell’archiviazione, il 12/01/2006, da parte del Consiglio dell’Ordine
dell’esposto presentato dallo stesso Rossi contro il Faravelli e dalla

confronti del primo.
2. La decisione di primo grado, depositata il 13/01/2015, era
stata preceduta dalla notificazione, a mezzo posta elettronica
certificata, il 04/03/2014 dell’atto di citazione per l’udienza
dibattimentale del 03/04/2014, alla quale il Rossi peraltro non si era
presentato ed all’esito della quale era stata comminata la sanzione
della cancellazione; ma la relativa decisione era stata poi impugnata
al Consiglio Nazionale Forense con quattro motivi e, per quel che qui
ancora rileva, innanzitutto con doglianza di inesistenza o nullità della
notificazione della decisione stessa, siccome eseguita a mezzo p.e.c.
anziché con il procedimento di notificazione previsto dall’art. 50 r.d.l.
1578/1933 (e 31 Reg. CNF 21/02/2014, n. 2), nonché – poi – per
prescrizione dell’azione disciplinare, essendo il termine di cinque anni
(di cui alla precedente legge professionale, siccome più favorevole
all’incolpato), il cui dies a quo si indicava nel giorno 08/11/2008,
elasso al momento della pronuncia della decisione, nonché infine con
censura di eccessività dei tempi del procedimento e del difetto di
motivazione o della carenza di prova sulla ritenuta sussistenza degli
illeciti disciplinari ascrittigli.
3. Il Consiglio Nazionale Forense, ritenendo assorbiti gli altri,
accolse i primi due motivi:
– l’uno, perché qualificò inesistente – e come tale inidonea a far
decorrere il termine di venti giorni per l’impugnazione al Consiglio
Nazionale Forense ex art. 50 co. 2 r.d.l. 1578/1933 – la notificazione
a mezzo p.e.c. della notifica della decisione, in quanto appunto non

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contestuale delibera di avvio ufficioso di indagine disciplinare nei

avvenuta a mezzo di ufficiale giudiziario, in violazione del tenore
testuale dell’art. 46, co. 2, r.d. n. 37/1934: ritenendo, in particolare,
applicabile l’art. 16bis d.l. n. 179/12 ai soli procedimenti civili, ma
rilevando la carenza di attestazione di conformità prescritta dall’art.
16 undecies del medesimo d.I.;

r.d.l. 1578/1933 e l’art. 47 del r.d. n. 37/1934 e, in base ad essi,
suscettibile di interruzione il termine prescrizionale soltanto con un
atto di impulso del procedimento disciplinare ed elasso il medesimo
(di cinque anni) per essere stato notificato il decreto di citazione a
giudizio il 04/03/2014, nonostante la comunicazione all’interessato
dell’apertura del procedimento avesse avuto luogo il 10/12/2008.
4. Disposta, con ordinanza interlocutoria 31/07/2017, n. 18992,
la rinnovazione della notifica al Rossi entro i quaranta giorni
successivi e a tanto avendo ottemperato il ricorrente Consiglio il
06/09/2017 con deposito della relativa documentazione il
19/09/2017, l’intimato notifica addì 11/10/2017 controricorso, con cui
contesta in rito e nel merito l’avverso ricorso; è, infine, depositata dal
ricorrente memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., sicché,
rinnovata pure la comunicazione al controricorrente dell’avviso di
fissazione dell’udienza di discussione orale, a quella del 17/07/2018
compaiono i difensori del ricorrente e del controricorrente.
Ragioni della decisione

1. Va in via preliminare riscontrato che è stata data rituale
ottemperanza all’ordine di rinnovazione del ricorso (impartito con la
richiamata ordinanza interlocutoria n. 18992/17), essendo in atti la
relata di notifica ai sensi dell’art. 139 cod. proc. civ. a mani del
portiere e, stavolta, con indicazione dell’avvenuta spedizione
dell’avviso previsto da tale norma: ciò che comporta la sanatoria
dell’originaria nullità della prima notifica, con effetto ex tunc in base a
principi generali del diritto processuale civile pure richiamati nella

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– l’altro, ritenendo applicabile alla fattispecie gli artt. 51 e 45 del

ricordata ordinanza interlocutoria, tanto da qualificare rituale la
proposizione del ricorso per cassazione, oltretutto già regolarmente
notificato ad almeno un altro dei litisconsorti necessari e così respinta
la relativa eccezione del controricorrente.
2. D’altro lato, va pure definitivamente ribadita l’inammissibilità

oltre che al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di
cassazione ed all’incolpato – esso è stato notificato, visto che il
Consiglio Nazionale Forense è il giudice che ha emesso la decisione
qui impugnata e, per definizione, non può essere parte del
procedimento di impugnazione (tra moltissime: Cass. Sez. U.
24/01/2013, n. 1716; Cass. Sez. U. 22/07/2016, n. 15207; Cass.
Sez. U. 02/12/2016, n. 24647).
3. Ciò posto, il ricorrente Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ricordato che la comunicazione a mezzo p.e.c. della decisione da
quello resa all’esito della fase amministrativa aveva avuto luogo il
22/01/2015, mentre il ricorso al Consiglio Nazionale Forense era stato
notificato soltanto il 07/04/2015 – si duole, col primo motivo, di falsa
applicazione dell’art. 46 del r.d.l. n. 37/1934 e dell’art. 16 del d.l.
179/2012, nonché di violazione degli artt. 12 della legge 890/1982,
10 della legge 265/1999 e 48 d.lgs. 82/2005, censurando la ritenuta
irrilevanza, ai fini del decorso del termine per impugnare la decisione
del COA stesso, della sua comunicazione a mezzo posta elettronica
certificata, in luogo della notifica a mezzo ufficiale giudiziario.
4. A questo riguardo, il ricorrente Consiglio sostiene che la
risalente norma del 1934, benché effettivamente fatta salva
nell’ambito dell’ordinamento della professione di avvocato ex art. 1 L.
179/2009 e relativa tab. A, debba comunque assoggettarsi alle
modifiche normative intervenute, attesa la pacifica natura
amministrativa della prima fase del procedimento disciplinare e quella
di provvedimento amministrativo della decisione adottata dal COA a

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del ricorso nei confronti del Consiglio Nazionale Forense, al quale –

conclusione di quella: sicché ad essa va applicata la disciplina per la
notifica degli atti amministrativi, ricavabile da numerose norme
specificamente a tanto destinate (art. 12 legge 890/82, come
novellato dall’art. 10 legge 265/99; artt. 2 – co. 2 – e 48 d.lgs. 82/05
e succ. mod. e integr.), con la conseguenza che il COA ben può

posta elettronica certificata, tale ultima modalità essendo in ogni
modo equiparata per legge alla notifica per ufficiale giudiziario o a
quella eseguita a mezzo posta, fatti salvi i casi in cui tale facoltà sia
esplicitamente esclusa.
5.

Da tale premessa, dedotta ulteriormente l’irrilevanza di

violazioni di norme, come l’art. 16 – indicandone l’ultimo comma della legge (ma, recte, d.I.) 179 del 2012, perché dettate per i
procedimenti civili e non per quelli amministrativi quale deve definirsi
la prima fase del procedimento disciplinare, il ricorrente Consiglio
ricava la tardività del ricorso al Consiglio Nazionale Forense dell’avv.
Rossi, poiché avrebbe dovuto computarsi il termine – di cui all’art. 50
r.d.l. 1578/1933 – dalla notifica o comunicazione a mezzo p.e.c. della
decisione conclusiva della ripetuta prima fase.
6. Nel controricorso, l’avv. Rossi controbatte al primo motivo con
ampie argomentazioni mediante le quali insiste, alla stregua della
disciplina previgente ed ai fini del decorso del termine per impugnare
la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, sull’insostituibilità
della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario e sull’insufficienza di
una mera comunicazione, sia pure a mezzo p.e.c., della decisione
disciplinare; e deducendo altresì che la notificazione a mezzo p.e.c.
avrebbe avuto bisogno di requisiti formali (come la firma digitale e la
relata con asseverazione di conformità all’originale), invece del tutto
mancanti nella specie.
7. Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento del
secondo (di violazione degli artt. 45, 50 e 51 r.d.l. n. 1578/1933, con

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provvedere direttamente alla notifica dei propri atti anche mediante

censura alla ritenuta insussistenza di idonei atti interruttivi del
termine prescrizionale).
8. Va premesso che la comunicazione della decisione dell’organo
che definisce la fase amministrativa del procedimento disciplinare nei
confronti degli avvocati – e quindi, attualmente, del Consiglio

21 febbraio 2014, n. 2, adottato dal Consiglio Nazionale Forense ai
sensi dell’art. 50, co. 5, legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia
di «procedimento disciplinare», ai sensi del quale (rubricato
«notificazione della decisione») «copia integrale del provvedimento è
notificata, anche via pec, a cura della segreteria del Consiglio
distrettuale di disciplina: a) all’incolpato nel domicilio professionale o
in quello eventualmente eletto; …»; pertanto, de futuro non vi è più
questione sulla

piena

legittimità

di

una

trasmissione del

provvedimento a mezzo p.e.c., attesa l’espressa previsione di tale
forma di comunicazione nel testo stesso della norma.
9. Alla fattispecie deve invece trovare applicazione la previgente
normativa dell’art. 46, co. 2, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 («norme
integrative e di attuazione del r. decreto-legge 27 novembre 1933, n.
1578, sull’ordinamento delle professioni di avvocato e di
procuratore»), ai sensi del quale le notificazioni previste dal
medesimo regio decreto e del r.d.l. 1578 del 1933 sono eseguite a
mezzo ufficiale giudiziario; mentre l’art. 50 di tale ultimo r.d.l.
prevede appunto che le decisione dell’organo di prima istanza siano
notificate, tra gli altri, appunto all’interessato.
10. Non essendo insorta questione anche sull’applicabilità o meno
al procedimento disciplinare in corso della normativa sopravvenuta (di
contenuto e funzione procedimentale e per la quale non
infondatamente potrebbe sostenersi l’applicazione del generale
principio tempus regit actum, tenuto conto che il Regolamento del
CNF è stato adottato il 21/02/2014 ed è entrato in vigore – ai sensi

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distrettuale di disciplina – è oggi regolata dall’art. 31 del Regolamento

del suo art. 39 – in data 01/01/2015, in relazione alla comunicazione
della decisione del CNF depositata il 31/12/2016 ed eseguita in data
22/01/2015), va allora verificato se, per la disciplina previgente e
benché applicabile ormai soltanto de praeteritu, la comunicazione a
mezzo p.e.c. della decisione del COA sia un valido equipollente della

perentorio per l’impugnazione al Consiglio Nazionale Forense.
11. Ritengono queste Sezioni Unite che al quesito debba darsi
risposta affermativa.
12. Effettivamente, può condividersi – se del caso integrata come
appresso – l’impostazione del ricorrente Consiglio dell’Ordine lungo
questo lineare percorso argomentativo:
– nella prima fase, il procedimento disciplinare nei confronti degli
avvocati ha natura amministrativa e si conclude allora ed appunto con
un atto che ha forma, natura e sostanza di provvedimento
amministrativo, nonostante esso sia il presupposto di un successivo
procedimento che solo dall’impugnazione assume natura e funzione
propriamente giurisdizionali;
– alla notificazione degli atti giudiziari – cui può equipararsi per
l’evidente finalità

lato sensu

giustiziale, nonostante la natura

amministrativa del procedimento, ogni atto preparatorio e quello
conclusivo della fase dinanzi al Consiglio dell’Ordine – da parte degli
enti pubblici rientranti nel concetto di Pubblica Amministrazione si
procede normalmente a mezzo posta;
– all’utilizzo della posta tradizionale è ormai equiparata la posta
elettronica certificata, sicché la notificazione dei provvedimenti resi da
detti enti pubblici può legittimamente eseguirsi, in luogo e con gli
stessi effetti della posta tradizionale, mediante comunicazione a
mezzo posta elettronica certificata;
– la prescrizione, richiamata dal Consiglio Nazionale Forense per
escludere la validità della comunicazione, sulla necessaria menzione

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notifica a mezzo ufficiale giudiziario ai fini dell’attivazione del termine

della conformità è dettata per il procedimento civile e non è
applicabile al procedimento amministrativo al cui esito è pronunciata
la decisione del Consiglio dell’Ordine.
13. Ed invero, occorre premettere che la fase dinanzi al Consiglio
dell’Ordine è da sempre pacificamente qualificata amministrativa (tra

n. 30992; sia pure ai fini dell’esclusione dell’effetto sospensivo della
prescrizione: v. Cass. Sez. U. 16/11/2015, n. 23364 – con richiamo a
Cass. Sez. U. 13/02/1999, n. 58, 10/05/2001, n. 187, 02/04/2003,
n. 5072, 10/11/2006, n. 24094 – oppure Cass. Sez. U. 20/09/2013,
n. 21591).
14. Al contempo, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati non poteva
e non può che definirsi ente pubblico (Cass. Sez. U. 24/06/2009, n.
14812) non economico (Cass. Sez. U. ord. 12/03/2008, n. 6534) e, in
quanto tale, da sussumersi entro la generale previsione dell’art. 1, co.
2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 («norme generali sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche») e,
specificamente, nella nozione di «enti pubblici non economici … locali»
ivi definita.
15. Deve quindi trovare applicazione l’art. 12, co. 1, legge 20
novembre 1982, n. 890, come modificato dall’art. 10, co. 5, legge 3
agosto 1999, n. 265, a norma del quale «le norme sulla notificazione
degli atti giudiziari a mezzo della posta sono applicabili alla
notificazione degli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29,
e successive modificazioni, da parte dell’ufficio che adotta l’atto
stesso».
16. Ancora, effettivamente l’art. 10, co. 1, della medesima legge
265/99 abilita le pubbliche amministrazioni appena richiamate (e
quindi pure il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati) ad avvalersi, per le
notificazioni dei propri atti, anche del servizio postale o delle altre

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le tante e per limitarsi alle più recenti, v. Cass. Sez. U. 27/12/2017,

forme di notificazione previste dalla legge e perfino, in mancanza, dei
messi comunali.
17. Pertanto, per i primi due commi dell’art. 48 del d.lgs. 7 marzo
2005, n. 82 (il primo dei quali come modificato dal co. 1 dell’art. 33
del d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235):

necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna
avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto
del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante
altre soluzioni tecnologiche individuate con le regole tecniche adottate
ai sensi dell’articolo 71»;
– dall’altro lato, «la trasmissione del documento informatico per
via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la
legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della
posta».
18. Inoltre, la norma in esame specifica che l’intero

corpus

normativo del d.lgs. 82 del 2005 (c.d. codice dell’amministrazione
digitale) si applica proprio pure agli enti pubblici non economici, in
virtù del rinvio espresso operato dall’art. 2, co. 2, all’art. 1, co. 2, del
d.lgs. n. 165 del 2001.
19. Infatti, è il progressivo – ed appena tratteggiato – sviluppo
dell’intero contesto normativo ad interagire con la previsione
originaria del r.d. 37/34, imponendone un’interpretazione evolutiva
che consenta la piena equiparazione tra le forme di notificazione
tradizionali e quelle possibili in virtù non solo delle nuove tecnologie,
ma soprattutto delle innovazioni normative che queste valorizzano,
adeguando l’ordinamento al progresso tecnico e scientifico; ed in tale
contesto era legittimo che chiunque, benché fosse rimasta ancora
formalmente intatta la previsione originaria che privilegiava la
notificazione a mezzo ufficiale giudiziario per le esigenze di certezza e
genuinità degli atti da rendere noti (ed in relazione alle sole garanzie

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– da un lato «la trasmissione telematica di comunicazioni che

conosciute erogabili al tempo dell’entrata in vigore della norma),
potesse attendersi l’utilizzo delle alternative validamente formate alla
stregua delle novelle legislative.
20.

Né giova al controricorrente il rilievo sulla carenza di

«attestazione di conformità prescritta dall’art. 16

undecies

del

dalla gravata sentenza a mo’ di ulteriore argomento a sostegno
dell’inesistenza della notifica.
21. Quell’argomento è riferito ad una norma che in effetti regola
esclusivamente il processo civile e le notifiche eseguite direttamente
dagli avvocati, sicché, risolvendosi la fase dinanzi al Consiglio
dell’Ordine – e, ora, dinanzi al Consiglio distrettuale di disciplina – in
un procedimento amministrativo in senso stretto, l’argomento della
qui gravata sentenza malamente postula l’applicabilità di una norma,
la quale imporrebbe un gravoso requisito formale, al di fuori del suo
campo di applicazione: ed è quindi manifestamente errato o, ad ogni
buon conto, non applicabile alla fattispecie in esame.
22. Ad ulteriore sostegno di tali conclusioni favorevoli all’odierno
ricorrente va poi ulteriormente sottolineato che il procedimento – e
non già, si badi, il processo (retto da regole sue proprie) amministrativo telematico costituisce un approdo irrinunciabile
dell’ordinamento proprio in base al più volte citato d.lgs. 82 del 2005,
di recente ulteriormente emendato col d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179,
di pieno adeguamento dell’ordinamento interno al Regolamento UE n.
910/2014 del 23 luglio 2014 (del Parlamento Europeo e del Consiglio,
in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le
transazioni elettroniche nel mercato interno, che abroga la Direttiva
1999/99/CE; entrato in vigore il 10 luglio 2016), in base al quale può
affermarsi quale principio generale (art. 41) che «le pubbliche
amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando

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succitato d.I.» (e quindi del d.l. n. 179/12), adietto incidentalmente

le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei casi e nei
modi previsti dalla normativa vigente».
23. E corollario ulteriore è che, ove non sia anzi espressamente
imposta, ogniqualvolta sia tecnicamente possibile e non vietata in
modo espresso da specifiche disposizioni di legge o almeno imposta

informatica o telematica di ogni fase del procedimento amministrativo
– e quindi anche quella della sua comunicazione agli interessati costituisce oggetto di un autentico dovere comportamentale per la
pubblica amministrazione (secondo la definizione di cui sopra, da cui
vanno esclusi, tra gli altri, gli Enti pubblici economici), anche ai sensi
dell’art. 97 Cost.: ben potendo ricondursi al buon andamento
dell’azione amministrativa gli intuitivi recuperi di economicità ed
efficacia – oltre a quello, che in questa sede peraltro rileva in modo
minore, di trasparenza quanto ad imparzialità – conseguibili con
l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
24. Da tanto deve inferirsi che, correlativamente, ottemperato
dalle pubbliche amministrazioni all’obbligo di gestione informatica dei
procedimenti mediante l’impiego delle tecnologie informatiche in tutte
le fasi della procedura, all’attività posta in essere con l’uso
dell’informatica va riconosciuta la stessa efficacia di quella compiuta
coi mezzi tradizionali, ovvero analogici o comunque diversi da quelli
informatici: ciò in cui può tradursi, sia pure a grandi linee, il c.d.
«principio di non discriminazione» dell’atto informatico, inteso
peraltro in senso lato, affermato in modo espresso dal già citato
Regolamento UE del 2014, ma che può dirsi oramai immanente
nell’ordinamento in base già, se non ai suoi principi generali
interpretati evolutivamente, almeno anche alle norme del più volte
richiamato d.lgs. 82 del 2005.
25. Al riguardo, la più recente novella ha solo puntualizzato alcuni
tra gli aspetti ancora controversi sul punto, come quelli in ordine

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da esigenze derogative affatto peculiari, la modalità di gestione

all’efficacia ed alla valenza probatoria degli atti e delle firme; e del
resto non avrebbe altro senso l’adeguamento del sistema normativo
alle innovazioni tecnologiche, che ormai sono divenute di uso e
pratica comuni, se a queste non si riconoscesse un’efficacia almeno
pari alle tecniche tradizionali, prime fra tutte a quelle sulla stessa

26. Ma, quale argomento dirimente ed a confutazione definitiva
delle obiezioni del controricorrente, deve ricordarsi che la denuncia di
vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela
l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce
solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della
parte in conseguenza della denunciata violazione: sicché è
inammissibile l’impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del
processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea
applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte,
una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di
merito (Cass. 18/12/2015, n. 26831; Cass. Sez. U., 08/05/2017, n.
11141, p. 6 delle ragioni della decisione).
27. In altri termini, va anche alla fattispecie applicato il generale
principio di diritto processuale, elaborato da questa Corte (Cass.
22/02/2016, n. 3432; Cass. 24/09/2015, n. 18394; Cass.
16/12/2014, n. 26450; Cass. 13/05/2014, n. 10327; Cass.
22/04/2013, n. 9722; Cass. 19/02/2013, n. 4020; Cass. 14/11/2012,
n. 19992; Cass. 23/07/2012, n. 12804; Cass. 09/03/2012, n. 3712;
Cass. 12/09/2011, n. 18635; Cass. Sez. U. 19/07/2011, n. 15763;
Cass. 21/02/2008, n. 4435; Cass. 13 /07/2007, n. 15678), per il
quale nessuno ha diritto al rispetto delle regole del processo in
quanto tali, ma solo se, appunto in dipendenza della loro violazione,
ha subito un concreto pregiudizio.
28. Ora, il riferimento alla notifica a mezzo ufficiale giudiziario
non può ritenersi attributivo di una competenza esclusiva in virtù di

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espressione della volontà e sulla trasmissione di atti o documenti.

una norma speciale, idonea a sopravvivere in quanto tale
all’evoluzione normativa e tecnologica degli ottanta anni successivi,
non essendovi alcun motivo in astratto per configurare una minore
garanzia della completezza e genuinità, quanto ad integrità ed
immodificabilità dell’atto reso noto, della forma di trasmissione di un

esercizio diritto di difesa in ordine all’impugnazione del medesimo,
ove la propalazione di quello sia avvenuta con il mezzo della p.e.c.:
neppure bastando, essendo la prescrizione dettata solo per la
trasmissione via posta elettronica certificata degli atti del processo
civile, la mera carenza delle specifiche attestazioni (del resto, anche
solo a stampa, ove provenienti dall’ufficio) di provenienza e simili da
apporre all’atto comunicato o notificato o, comunque, trasmesso.
29. Inoltre e ad ogni buon conto, neppure in concreto si è dedotta
dal destinatario di tale forma di comunicazione – adottata in luogo
della notificazione, sola ad essere esplicitamente menzionata dalla
normativa del 1934 – la violazione di una specifica norma tecnica
sulla posta elettronica certificata (si badi, non di quelle per il processo
civile, visto che la fase davanti al Consiglio dell’Ordine rimane
amministrativa), ma soprattutto dai connotati tali da inficiare o anche
solo rendere verosimilmente sospetta od incerta l’idoneità della
specifica comunicazione eseguita ad espletare tale funzione o a
rendere malagevole – o anche solo più malagevole – l’esercizio del
diritto di difesa rispetto alla modalità specificamente descritta nella
norma di circa ottanta anni prima.
30. Pertanto, il primo motivo di ricorso va accolto in applicazione
del seguente principio di diritto: «in tema di procedimento disciplinare
a carico di avvocato e secondo la disciplina anteriore a quella di cui
all’art. 31 del Regolamento 21 febbraio 2014, n. 2 (adottato dal
Consiglio Nazionale Forense ai sensi dell’art. 50, co. 5, legge 31
dicembre 2012, n. 247, in materia di «procedimento disciplinare»), la

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atto e del suo contenuto al fine di garantire il pieno e consapevole

disciplina di cui agli artt. 50 e 46, co. 2, del r.d. 22 gennaio 1934, n.
37 («norme integrative e di attuazione del r. decreto-legge 27
novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento delle professioni di
avvocato e di procuratore») va integrata con le evoluzioni delle
normative in tema di notificazioni e comunicazioni da parte di enti

comunicazione a mezzo p.e.c. della decisione disciplinare da parte del
Consiglio dell’Ordine, che si limiti a lamentarne l’irritualità perché
sostitutiva della notificazione a mezzo ufficiale giudiziario (in base a
normativa superata dall’evoluzione di quella in tema di facoltà delle
pubbliche amministrazioni non economiche di notificazione dei propri
atti col mezzo della posta e poi di quella elettronica, normativa che
avrebbe reso prevedibile per il destinatario la possibilità di un utilizzo
di un tale equipollente) o per carenza di un’attestazione di conformità
od altri requisiti formali previsti invece per gli atti del processo civile
(e quindi inapplicabile ad un atto amministrativo, quale deve
qualificarsi quello conclusivo della fase del procedimento disciplinare
davanti al Consiglio dell’Ordine Forense secondo la disciplina
previgente) e che comunque non ha dedotto in concreto alcuna
conseguente violazione del diritto di difesa, è validamente iniziato a
decorrere il termine per l’impugnazione».
31. Poiché ritualmente il termine per l’impugnazione ha iniziato il
suo decorso con la comunicazione a mezzo p.e.c., esso è nella specie
invano elasso e l’impugnazione andava, già dal Consiglio Nazionale
Forense, dichiarata inammissibile per tardività.
32. Ne consegue la fondatezza del primo motivo di ricorso, con
assorbimento del secondo (inerente il merito dell’impugnazione,
invece preclusa dalla rilevata sua tardività) e conseguente cassazione
senza rinvio della gravata sentenza (ai sensi dell’art. 382, comma
terzo, secondo periodo, cod. proc. civ.), perché il processo non
poteva essere proseguito, attesa la tardività – calcolata appunto in

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pubblici non economici; pertanto, per il destinatario di integrale

base alla data della comunicazione, qui riconosciuta valida, della
decisione da parte del Consiglio dell’Ordine – dell’impugnazione
dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.
33.- Peraltro, l’assoluta novità della questione costituisce valido
presupposto per statuire nel senso che le spese del presente giudizio

non risulta essere andato incontro – sostenute dal ricorrente, benché
vittorioso, siano compensate.
34. Infine, per essere stato accolto il ricorso, deve darsi atto che
difettano i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della I. 24
dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i
giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice
dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che
definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti
(rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità
dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante
soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del co.
1-bis del detto art. 13.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Consiglio
Nazionale Forense.
Accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo.
Cassa l’impugnata sentenza e compensa le spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma il 17/07/2018.

di legittimità – diversamente da quelle del grado di appello, cui questi

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