Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20684 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 29/09/2020), n.20684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8541-2015 proposto da:

COMUNE DI ROSIGNANO MARITTIMO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 72, presso lo Studio

Legale CASO CIAGLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato RENZO

GRASSI;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELL’AMBA

ARADAM 24, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO MARIOTTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONE TINAGLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/01/2015 R.G.N. 1164/2013.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 25/2015, resa in data 15 gennaio 2015, la Corte d’appello di Firenze, pronunciando sull’impugnazione proposta nei confronti del Comune di Rosignano da R.M., autista di scuolabus assunta con contratti a tempo determinato, in solo parziale riforma della decisione di primo grado (che aveva accolto il ricorso proposto dalla lavoratrice, dichiarato l’illegittimità delle assunzioni a termine e condannato il Comune resistente al pagamento in favore della R. di Euro 6.739,28, pari ad otto mensilità retributive secondo i criteri di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32), rideterminava l’importo del risarcimento in applicazione dell’art. 18 St. lav. e, per l’effetto, condannava il Comune al pagamento in favore dell’appellante di Euro 12.636,15, corrispondenti a quindici mensilità di retribuzione, oltre interessi legali sulle somme rivalutate dalla data di cessazione dell’ultimo rapporto con l’ente locale al saldo;

la Corte territoriale, evidenziato che la questione devoluta con l’appello riguardasse solo la parte in cui la sentenza impugnata aveva limitato ad otto mensilità il risarcimento del danno (non dunque la statuizione di prime cure circa la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti e l’impossibilità della conversione), riteneva che sussistesse il diritto della dipendente ad essere risarcita per effetto della violazione delle norme imperative in materia;

evidenziava che l’unica alternativa alla trasformazione del contratto fosse rappresentata – in coerenza con le indicazioni Europee dall’applicazione al datore di lavoro di una sanzione economica avente al contempo la funzione di ristorare il lavoratore dal pregiudizio subito per il solo fatto della reiterata violazione della legge e quella di dissuadere lo stesso dal ripetere l’operazione vietata;

a tal fine, secondo la Corte di merito, inappagante essendo il criterio di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 la sanzione poteva coincidere con le quindici mensilità che la legge (art. 18, comma 5 St. lav.) attribuiva al lavoratore per il caso in cui quest’ultimo, avendo diritto alla reintegra nel posto di lavoro a causa della illegittima privazione, vi rinunciasse;

2. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il Comune di Rosignano Marittimo, affidando l’impugnazione a tre motivi;

3. la lavoratrice ha resistito con controricorso;

4. il Comune ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso il Comune denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ed arbitrariamente applicato detta norma a fattispecie concreta del tutto diversa rispetto a quella cui il legislatore dello Statuto si era riferito;

2. con il secondo motivo il Comune denuncia difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente o insufficiente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

assume che nella sentenza impugnata sia stato affermato che le quindici mensilità rappresentano “quanto l’ordinamento stima sufficiente al sostegno del periodo di ricerca di un diverso posto di lavoro”, con ciò determinando l’indennità come prezzo per la ricerca di un nuovo posto ma senza dare di tale identità alcuna spiegazione;

3. con il terzo motivo il Comune denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel disporre l’applicazione agli importi liquidati degli interessi sulle somme rivalutate dalla data di risoluzione dell’ultimo contratto trattandosi nella specie di un indennizzo avente natura sanzionatoria e non di un corrispettivo retributivo;

4. il ricorso è fondato;

5. va innanzitutto disattesa l’eccezione preliminare di inammissibilità del primo motivo di ricorso formulata dalla controricorrente sostenendosi che la censura sia stata rivolta verso una norma di legge (L. n. 300 del 1970, art. 18) che non è stata dalla Corte territoriale direttamente applicata bensì utilizzata come mero parametro di riferimento per la quantificazione del danno;

le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 15 marzo 2016, n. 5072, pronunciando in materia di abusiva reiterazione di contratti a termine, hanno individuato, scrutinando le varie discipline di riferimento, il parametro più idoneo (v. infra) a garantire una tutela effettiva e dissuasiva e tale da rendere il quadro normativo interno (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36) compatibile con il diritto comunitario;

il parametro integra, dunque, il contenuto della norma interna;

sotto questo profilo la censura con cui si addebita alla Corte territoriale l’erronea applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 quale parametro legale integrativo della disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 si sostanza in un vizio di sussunzione ed è stata correttamente formulata come vizio di violazione di legge;

6. tanto precisato, i primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, meritano accoglimento;

6.1. le Sezioni Unite questa Corte, nel citato arresto n. 5072 del 2016, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno enunciato il principio secondo cui nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno;

6.2. il suddetto principio ha trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro, e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018;

6.3. dando, poi, atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari), le Sezioni Unite hanno ritenuto incongruo il parametro di cui all’art. 18 St. lav. perchè per il dipendente pubblico a termine non c’è la perdita di un posto di lavoro ed affermato che va, invece, fatto riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, che appunto riguarda il risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine individuando in quest’ultima una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori;

7. erroneamente, dunque, la Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado (che aveva quantificato l’indennità facendo applicazione del criterio di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32) ed ha rideterminato l’indennità spettante alla controricorrente sulla base dell’art. 18 St. lav.;

8. è anche fondato il terzo motivo di ricorso;

8.1. è vero che, in termini generali, vi è il principio affermato (con riferimento all’impiego privato) da Cass. 12 marzo 2018, n. 5953 e Cass. 18 ottobre 2018, n. 26234 secondo cui l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, pur avendo funzione risarcitoria, rientra tra i crediti di lavoro, e su di essa, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., comma 3, spettano la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato, tuttavia per i dipendenti di enti pubblici non economici sussiste il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi introdotto dalla L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale (sent. n. 459 del 2000), – che, con pronuncia di accoglimento, ha affermato che tale divieto di cumulo non trova applicazione per i crediti retributivi dei dipendenti privati -;

per tali dipendenti pubblici, infatti, ancorchè ora si discuta in termini di rapporti di lavoro privatizzati, ricorrono le “ragioni di contenimento della spesa pubblica”, in coerenza con la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi (da ultimo, Cass. 17 agosto 2015, n. 16889; Cass. 3 agosto 2005, n. 16284; v. anche Cass. 25 febbraio 2011, n. 4652, in motivazione nonchè la più recente Cass. 26 giugno 2020 n. 12877);

8.2. da tanto consegue che sull’indennità da quantificarsi ai sensi dell’art. 32 spetta la maggior somma tra interessi e rivalutazione con decorrenza dalla pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del termine;

9. conclusivamente il ricorso va accolto e va cassata la sentenza impugnata;

non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (vertendo la questione devoluta al giudice di legittimità sull’individuazione del corretto parametro per la quantificazione dell’indennità e non anche sulla concreta determinazione dell’importo come effettuata rispettivamente dal giudice di primo grado e da quello del gravame in base al parametro prescelto), la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. con la condanna del Comune di Rosignano Marittimo al pagamento in favore di R.M. di un’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, pari ad Euro 6.739,28, corrispondente ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre al pagamento della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria dalla data della decisione di primo grado;

10. tale conclusione è, del resto, anche conforme a quanto sostenuto dal Comune ricorrente, da ultimo, in sede di memoria, laddove il medesimo ha sottolineato di non aver mai contestato la quantificazione dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 nella misura di cui alla pronuncia del Tribunale;

11. l’esito alterno dei gradi di merito (in cui si controverteva anche della legittimità del termine apposto ai contratti, capo questo in relazione al quale la lavoratrice è risultata totalmente vittoriosa) consente di compensare le spese di quei gradi nella misura del 50% e di condannare il Comune di Rosignano Marittimo al pagamento in favore di R.M. della residua quota;

quanto al giudizio di legittimità, la controvertibilità della questione trattata (risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte in epoca successiva al deposito del ricorso) consente di compensare interamente tra le parti le relative spese;

12. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Rosignano Marittimo al pagamento in favore di R.M. di un’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, pari ad Euro 6.739,28, corrispondente ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre al pagamento della maggior somma tra interessi e rivalutazione monetaria dalla data delle decisioni di primo grado; compensa le spese dei gradi di merito nella misura del 50% e condanna il Comune di Rosignano Marittimo al pagamento in favore di R.M. della residua quota che liquida, per il giudizio di primo grado, in Euro 1.000,00 per compensi professionali e, per il giudizio di secondo grado, in Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge, da corrispondersi all’avv. Simone Tinagli antistatario; compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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