Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20683 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 08/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11237/2018 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei

Consoli n. 62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica,

rappresentato e difeso dall’avvocato Paolinelli Lucia, con procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1455/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

pubblicata il 29/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/04/2019 dal cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 6.7.16 il Tribunale di Ancona accolse il ricorso di

O.C., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale che gli aveva negato ogni forma di protezione internazionale, riconoscendogli lo status di rifugiato.

Al riguardo, il Tribunale ritenne credibile il racconto del ricorrente, secondo il quale egli era stato vittima della persecuzione perpetrata da un gruppo riferibile al Movimento per la realizzazione dello Stato sovrano del Biafra che gli avrebbe intimato di aderire allo stesso, venendo inseguito e colpito con colpi di arma da fuoco, costringendolo alla fuga per evitare il reclutamento forzoso.

Il Ministero dell’Interno propose appello, che fu accolto dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza del 29.9.17, osservando che: il giudice di primo grado non aveva correttamente valutato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, in difformità dalla decisione della Commissione territoriale che, invece, aveva correttamente evidenziato la scarsa credibilità dell’istante, desumibile dal fatto che l’abbandono del proprio Paese sarebbe stato determinato esclusivamente dalle violente pressioni da lui subite da parte del suddetto gruppo indipendentista che, invece, dalle informazioni telematiche assunte, mirava alla creazione di uno Stato autonomo del Biafra in maniera pacifica. Peraltro, la Corte territoriale rilevò che l’aver rifiutato tale adesione avrebbe dovuto comportare una situazione di tutela da parte del Governo nigeriano, sicchè era da ritenere che l’abbandono del Paese fosse ascrivibile ad una decisione personale del ricorrente. Per le medesime ragioni, la Corte ha escluso i presupposti della protezione sussidiaria e del permesso umanitario, rilevando altresì che dalle informazioni ricavate dal Ministero degli esteri era desumibile che la presenza di gruppi armati che controllavano il territorio in Nigeria non erano stati riscontrati nel sud del Paese, da cui proviene il ricorrente, e che non sussistevano specifiche situazioni di lesioni di diritti umani.

Il Chigozie ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applic. dell’art. 1 Conv. di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,commi 1, 2, 3, 4, 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11, nonchè vizio di motivazione, lamentando che: la C.d.a., a differenza del Tribunale, aveva valutato la situazione socio-politica della Nigeria solo con riferimento alle singole regioni del Paese in violazione dei criteri dettati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, richiamando altre pronunce che avrebbero affermato che la grave situazione di violazione dei diritti umani e diffusione di gruppi terroristici era diffusa in tutto il Paese e non solo nel Nord; la C.d.a. non aveva adeguatamente motivato sui presupposti della protezione internaz., sia perchè non aveva acquisito adeguate informazioni, sia perchè non aveva tenuto conto delle ricerche compiute dal Tribunale; il permesso umanitario era riconoscibile anche sulla base della critica situazione di povertà economica della Nigeria.

Con il secondo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, nonchè vizio di motivazione, non avendo la C.d.a. valutato la corrispondenza tra la situazione rappresentata dal ricorrente e quella effettivamente in atto in Nigeria, nè esaminato le informazioni rese dal Ministero degli Esteri (nel sito (OMISSIS)) e da Amnesty International circa la sicurezza nel Paese.

Non si è costituito il Ministero cui il ricorso fu notificato a mezzo posta il 5.4.2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte (Cass., n. 28433/18; n. 2294/12) secondo cui in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico va escluso nell’ipotesi in cui il pericolo di persecuzione non sussiste nella parte di territorio del paese di origine dalla quale proviene il richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussiste nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese in cui tale pericolo non sussiste.

Nel caso concreto, le doglianze del ricorrente riguardano l’asserita inadeguata o superficiale valutazione della credibilità del racconto reso dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale e della situazione socio-politica della Nigeria, ma ciò appare incidere sul riesame del merito, avendo peraltro la Corte d’appello motivato in maniera esaustiva.

Circa la protezione umanitaria, va osservato che il ricorrente si è limitato ad allegare la grave situazione economica che, di per sè, non può legittimare il riconoscimento del permesso umanitario, non essendo stata allegata alcuna situazione di vulnerabilità, neppure fondata sulla comparazione della situazione in cui verserebbe il ricorrente in caso di rientro in Nigeria con quella attuale esistente in Italia (cfr. Cass., n. 4455/18: “in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”).

Il secondo motivo è parimenti infondato non emergendo alcun omesso esame di fatti decisivi; in particolare, la Corte d’appello ha affermato di aver utilizzato informazioni attinte dal sito informatico del Ministero degli Esteri, costantemente aggiornato.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Ministero; data l’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio, non è applicabile del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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