Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20681 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 08/04/2019, dep. 31/07/2019), n.20681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22630/2018 proposto da:

S.I.J., elettivamente domiciliato in Roma, Via Valadier 44,

presso lo studio dell’avvocato Francesco Mangazzo e rappresentata e

difesa dall’avvocato Gabriele Amodio, in forza di procura su foglio

a parte allegato al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Prefettura Utg di Caserta, Questura di

Caserta;

– intimati –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di CASERTA, depositata il

28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/04/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza 26/6-28/6/2018 il Giudice di pace di Caserta ha respinto il ricorso presentato da S.I.J., cittadino indiano, avverso il decreto di espulsione del Prefetto di Caserta del 26/4/2018, notificato in pari data.

Il Giudice ha osservato che il S. era titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, scaduto in data 7/8/2017 e non rinnovato; che lo straniero era stato sorpreso a svolgere attività lavorativa “in nero” in occasione di un controllo eseguito dalla Guardia di Finanza; che il S. aveva inoltrato in data 6/4/2017 richiesta di nulla osta per lavoro subordinato stagionale al Ministero dell’Interno, che tuttavia non avrebbe mai potuto essere accolta, poichè l’unica istanza che lo straniero avrebbe potuto presentare era quella di conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso per lavoro subordinato nell’ambito delle quote disponibili stabilite dal decreto flussi; che la posizione dello straniero era pertanto irregolare.

2. Avverso la predetta ordinanza del 28/6/2018 ha proposto ricorso S.I.J. con atto notificato il 26/7/2018, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, nonchè difetto e omessa motivazione e nullità del decreto prefettizio per omessa traduzione nella lingua madre del destinatario o in quella veicolare.

1.1. Il ricorrente non aveva mai dichiarato di comprendere la lingua italiana e non aveva mai indicato di preferire la lingua inglese in cui il provvedimento di espulsione era stato tradotto; dagli atti di causa non emergeva che il ricorrente comprendesse una delle due lingue menzionate (italiano e inglese).

1.2. L’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato, o in quella c.d. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1, n. 2953 del 31/01/2019, Rv. 652623-01).

Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente non ha dedotto il presunto vizio con il ricorso di merito e neppure dice di averlo fatto, come sarebbe stato necessario per investire il Giudice di pace della cognizione circa la questione di fatto della conoscenza da parte sua della lingua italiana e di quella inglese nella quale il provvedimento espulsivo era stato tradotto.

Non è quindi ravvisabile il vizio di omesso esame di un fatto storico non sottoposto al Giudice e quindi non oggetto di contraddittorio nel merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla Direttiva Europea 2008/115/CE e alla L. n. 241 del 1990, art. 3, difetto di motivazione e nullità della decisione per ultrapetizione e violazione dell’art. 112 c.p.c.,

2.1. In primo luogo il ricorrente osserva che la Direttiva citata prevede la partenza volontaria quale modalità generale di attuazione delle decisioni di rimpatrio e consente di derogarvi solo a fronte di un rischio di fuga, o in caso di presentazione di domande di soggiorno manifestamente infondate o fraudolente, ovvero in caso di pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

Contrariamente a quanto affermato nel provvedimento, il ricorrente non era privo di fissa dimora, ma era stabilmente domiciliato presso C.C.M. in (OMISSIS), come da comunicazione del 5/4/2017 alla Polizia Municipale.

2.2. La censura è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di espulsione del cittadino straniero, l’omessa informazione in ordine alla possibilità di avvalersi di un termine per la partenza volontaria ai fini dell’esecuzione del provvedimento espulsivo, può essere fatta valere esclusivamente nel giudizio di convalida avverso il provvedimento di accompagnamento coattivo o di trattenimento (nelle ipotesi predeterminate dalla legge) emesso dal questore, attesa la separazione in due fasi distinte del complessivo procedimento di allontanamento coattivo dello straniero, legittimamente previste dal nostro ordinamento. Ne consegue l’insussistenza della violazione della direttiva 2008/115/CE in quanto il diritto dell’interessato a contraddire o a difendersi in merito all’alternativa tra partenza volontaria e esecuzione coattiva dell’espulsione può dispiegarsi nel predetto giudizio di convalida, in una sede, peraltro, anticipata, date le rigide scansioni temporali previste dalla legge, rispetto al giudizio d’impugnazione del decreto espulsivo (Sez. 6-1, n. 13240 del 28/05/2018, Rv. 648962-01; Sez. 6-1, n. 15185 del 11/09/2012, Rv. 624028-01; Sez. 6-1, n. 10243 del 20/06/2012, Rv. 623264-01).

2.3. Il ricorrente assume inoltre di essere stato già titolare di un nulla osta per lavoro subordinato stagionale fin dal 29/2/2012 e del relativo permesso di soggiorno dal 5/4/2017 e di aver proposto in data 6/4/2017 al Ministero dell’Interno la richiesta di “nulla osta per lavoro subordinato stagionale”, non ancora evasa dai competenti organi; ciò al fine di essere assunto dalla ditta C.M.C. per l’allevamento di bovini e bufale da latte, presso cui attualmente godeva di sostegno economico.

Il ricorrente quindi sostiene che il provvedimento impugnato era del tutto carente di motivazione in punto insussistenza delle condizioni per il rilascio di permesso di soggiorno, poichè egli era in attesa del richiesto nulla osta, i cui ritardi non potevano essergli addebitati ed al cui proposito il Giudice di pace non poteva sostituirsi alla P.A. competente ad esaminare la richiesta.

2.4. Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), prevede l’espulsione dello straniero da parte del Prefetto nel caso in cui egli si sia trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione della L. 28 maggio 2007, n. 68, art. 1, comma 3.

Nella fattispecie, a quanto risulta dal ricorso e dallo stesso provvedimento impugnato, il ricorrente assume di aver presentato domanda di “nulla osta al lavoro subordinato stagionale”, senza ulteriori chiarimenti, e al contempo dichiara di essere già titolare di permesso di soggiorno per lavoro stagionale.

Il lavoro stagionale è disciplinato dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 1, comma 3, che, al comma 8, prevede l’obbligo del rientro in patria del lavoratore alla scadenza del termine (massimo nove mesi su dodici mesi); la richiesta di nulla osta, propedeutica al permesso di soggiorno, deve venir formulata dal datore di lavoro e non già dal lavoratore (cfr. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 24 e art. 30 bis relativo regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. n. 394 del 1999).

Il Giudice di Pace osserva che il ricorrente avrebbe potuto chiedere la conversione in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, sempre che vi fosse una disponibilità in tal senso del datore di lavoro, anche alla luce della circolare interministeriale n. 6732 del 2013 che non gli imponeva in tal caso il rientro in patria.

2.5. Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 24, in tema di lavoro stagionale, tratta dell’istituto in questione nel comma 10, dopo aver stabilito al comma 7 che il nulla osta al lavoro stagionale autorizza lo svolgimento di attività lavorativa sul territorio nazionale fino ad un massimo di nove mesi in un periodo di dodici mesi ed aver riconosciuto al comma 9 al lavoratore stagionale, già ammesso a lavorare in Italia almeno una volta nei cinque anni precedenti, purchè abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e sia rientrato nello Stato di provenienza alla scadenza del medesimo, il diritto di precedenza per il rientro per ragioni di lavoro stagionale presso lo stesso o altro datore di lavoro, rispetto a coloro che non hanno mai fatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro.

La disposizione del comma 10 prevede che il lavoratore stagionale, che ha svolto regolare attività lavorativa sul territorio nazionale per almeno tre mesi, al quale è offerto un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, possa chiedere allo sportello unico per l’immigrazione la conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato, nei limiti delle quote di cui all’art. 3, comma 4, del Testo Unico.

Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato la conversione del permesso stagionale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato è possibile solo a partire dal secondo soggiorno in Italia e si fonda non solo sul D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 24, comma 4, che fa obbligo allo straniero, che intende avvalersi della possibilità di convertire il proprio titolo temporaneo, di rispettare le condizioni previste nel permesso stagionale, tra cui l’obbligo di rientro in patria al termine di questo, ma anche sulla lettura complessiva della legge sull’immigrazione, comprese le norme del regolamento di attuazione, da cui emerge che si è inteso agevolare l’immigrazione stagionale, mediante procedure di autorizzazione più semplici, al fine di incentivare i lavoratori stranieri a preferire questa formula rispetto a quella della immigrazione ordinaria; tuttavia, l’interesse dello straniero di trasformare il proprio status in quello di lavoratore con permesso di soggiorno ordinario trova considerazione da parte del legislatore, che ha individuato un punto di equilibrio con l’opposta esigenza di non eludere le procedure più rigorose e i criteri più restrittivi dettati per l’immigrazione non stagionale, consentendo la conversione del permesso stagionale a partire dal secondo ingresso del lavoratore stagionale, anzichè dal primo (Consiglio di Stato, sez. III, 15/10/2013, n. 5002; sez. III, 21/02/2012, n. 939).

Inoltre, come ricorda il provvedimento impugnato, con la Circolare interministeriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Interno prot. n. 35/0006100 – 6732 del 5/11/2013 “Conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 24, comma 4. Chiarimenti”, anche la prassi amministrativa si è adeguata all’orientamento della giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato – Sez. III, 20-03-2013, n. 1610; T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 20 aprile 2010, n. 170; TAR Umbria n. 130/2007 e n. 304/2006; TAR Piemonte, II, 30 marzo 2004, n. 706; T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 06-06-2012, n. 5151), secondo il quale il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 24, citato comma 4, deve essere interpretato nel senso che i lavoratori stagionali stranieri devono rientrare nello Stato di provenienza solo ai fini del rilascio di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per l’anno successivo; mentre per la conversione in permesso di soggiorno per lavoro subordinato non stagionale, specificatamente prevista dal secondo periodo dell’art. 24, comma 4, devono sussistere, nei limiti delle quote di ingresso, solo le condizioni per il rilascio di tale permesso, ossia l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato o a tempo indeterminato e la mancanza di elementi ostativi.

2.6. Questa peraltro non è la situazione dedotta nel ricorso, laddove S.I.J. assume di aver chiesto (lui e non il suo datore di lavoro) un nuovo nulla osta, sempre tuttavia per lavoro stagionale, e non un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, senza rientrare al Paese di origine, come previsto dalla legge.

Non sussisteva quindi, secondo la stessa narrativa del ricorso, alcuna rituale istanza del ricorrente in tema di permesso di soggiorno sulla quale la Pubblica Amministrazione dovesse pronunciarsi: in primo luogo, perchè la richiesta di nulla osta per lavoro stagionale è istituto strutturalmente diverso dalla richiesta di un permesso di soggiorno e deve promanare dal potenziale datore di lavoro (come del resto risulta, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, dal documento prodotto in atti e richiamato); in secondo luogo, perchè il ricorrente non assume di aver presentato richiesta di permesso di soggiorno per lavoro subordinato in conversione e neppure di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, che peraltro comporta, a differenza del primo, la necessità del rientro del lavoratore straniero nel paese di origine.

La censura è pertanto da ritenersi infondata.

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente propone eccezione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3, in relazione agli artt. 111 e 24 Cost..

L’immediata efficacia esecutiva del decreto di espulsione, nonostante la sottoposizione a impugnazione, contrastava con il diritto di partecipare all’udienza e comprenderne lo svolgimento, assicurato dell’art. 13, comma 8, dovendosi riconoscere anche allo straniero il pieno esercizio del diritto di difesa.

La questione, secondo il ricorrente, sarebbe rilevante perchè lo straniero non aveva partecipato all’udienza di comparizione presumibilmente per la già avvenuta esecuzione dell’espulsione o per il timore di incorrere nella sanzione penale di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter.

La censura è inammissibile, perchè riguarda l’esecuzione e non la legittimità del decreto espulsivo; dunque si tratta questione da far valere in sede di esecuzione coattiva dell’espulsione.

4. Il ricorso va quindi respinto.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione intimata.

Poichè dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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