Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20678 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 13/10/2016, (ud. 22/06/2016, dep. 13/10/2016), n.20678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18526-2013 proposto da:

CO.GEI.S., – CONSORZIO COSENTINO GESTIONE IMPIANTI SPORTIVI P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE 11, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO CORRADO MORRONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ORESTE VIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE

MATANO e LELIO MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1790/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 28/12/2012, R.G. N. 2472/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato CORRADO MORRONE per delega orale Avv. ORESTE VIA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Cosenza notificato in data 28.9.2007 il Consorzio CO.GEI.S. Consorzio Cosentino di gestione degli impianti sportivi – impugnava per vizio di forma e carenza di fondamento il verbale di illecito amministrativo notificato dall’INPS, che contestava la mancata registrazione sui libri paga e matricola di alcuni istruttori di nuoto – formalmente con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – ed intimava il pagamento dei contributi relativi al periodo gennaio (OMISSIS).

Il Giudice del lavoro, con sentenza del 22-28.10. 2008, accoglieva la domanda per la ritenuta carenza di prova della subordinazione.

Con sentenza del 15.11.2012- 9.5.2013 (nr. 1790/2012), la Corte d’appello di Catanzaro, all’esito della escussione testimoniale dell’ ispettore verbalizzante C.S., accoglieva l’appello proposto dall’ente previdenziale ed, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda del consorzio.

La Corte territoriale rilevava che, per quanto accertato dagli ispettori, l’impianto della piscina comunale, gestito dal Consorzio in sub concessione, accoglieva una utenza di 1500-2000 frequentatori e che nonostante le dimensioni della attività il consorzio aveva dichiarato soltanto tre lavoratori subordinati, con mansioni di impiegati amministrativi.

Gli istruttori di nuoto, figura essenziale per lo svolgimento della attività, in numero di 19, erano invece tutti legati alla COGEIS da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Con il verbale erano posti in recupero i contributi omessi nonchè gli sgravi fruiti per due lavoratori subordinati (signori R. e CE.) e la contribuzione IVS ed ADS non versata per la terza lavoratrice dipendente.

Le conclusioni sulla qualificazione come subordinati dei rapporti di lavoro erano fondate sulla dimensione ed organizzazione della attività e sulle dichiarazioni rese a verbale dagli istruttori, univoche e concordanti.

Non poteva condividersi il giudizio del Tribunale circa la irrilevanza di tali dichiarazioni soltanto perchè non confermate in giudizio cosi come l’affermazione, in punto di diritto, che gli indici sussidiari della subordinazione non potevano da soli essere utili alla qualificazione del rapporto.

Da ultimo si richiamava la sentenza di accertamento della subordinazione resa in altro giudizio in accoglimento della domanda di due istruttori di nuoto della COGEIS, pure sentiti dagli ispettori dell’INPS, sentenza divenuta definitiva.

Le dichiarazioni in senso contrario rese nel primo grado dai testi R. e Z. non erano credibili in quanto il primo, dipendente della COGEIS, era la persona che impartiva le direttive, il secondo, istruttore di nuoto, aveva res dichiarazioni in senso del tutto diverso in sede ispettiva.

Per la Cassazione della sentenza ricorre il Consorzio CO.GEI.S., articolando cinque motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione degli artt. 115 e 112 c.p.c..

Ha esposto che nel giudizio di primo grado l’INPS, nel costituirsi in giudizio, aveva svolto difese del tutto inconferenti, depositando una memoria difensiva relativa ad una opposizione a cartella esattoriale; soltanto dopo la celebrazione della prima udienza di discussione l’INPS aveva depositato, in assenza di qualsivoglia autorizzazione del giudice, i verbali delle dichiarazioni rese dagli istruttori di nuoto agli ispettori, verbali che non avrebbero potuto trovare ingresso nel giudizio perchè prodotti tardivamente.

Erroneamente la Corte territoriale:

– da un lato aveva fondato la propria sentenza su fatti non allegati dall’INPS nelle proprie difese ma tratti direttamente dal verbale di accertamento – dall’altro aveva utilizzato le dichiarazioni del lavoratori irregolarmente acquisite.

– Sotto il primo profilo l’INPS con l’atto di appello aveva lamentato unicamente la omessa valutazione delle dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori verbalizzanti mentre la Corte di merito aveva rilevato vizi della sentenza non dedotti dall’appellante quali gli errori di diritto circa la valenza degli indici sussidiari della subordinazione e la omessa valutazione delle dimensioni e delle modalità di esercizio della attività del Consorzio.

– Sotto il secondo profilo l’INPS soltanto in sede di appello aveva articolato le difese sui fatti oggetto del giudizio e chiesto la ammissione della documentazione prodotta tardivamente e la escussione degli ispettori verbalizzanti.

2) Con il secondo motivo il Consorzio ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione dell’art. 342 c.p.c..

Ha sostenuto che l’appello proposto dall’INPS era privo di motivi specifici ed avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, come puntualmente eccepito con la memoria di costituzione in appello.

3) Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3 – art. 437 c.p.c., comma 2 nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c.; ha dedotto altresì -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.

Ha esposto che la sentenza impugnata recepiva per intero le risultanze del verbale di accertamento sebbene nel giudizio di primo grado l’INPS non avesse articolato alcuna difesa sul punto ed avesse prodotto tardivamente il verbale.

Solo con l’atto di appello l’INPS lamentava l’erronea valutazione delle prove ed, in particolare, dei verbali di accertamento e delle dichiarazioni acquisite dai verbalizzanti; l’atto di appello introduceva, dunque, circostanze nuove e nuovi documenti, che non avrebbero potuto essere acquisiti, secondo quanto disposto dagli artt. 416 e 437 c.p.c.. Nè la Corte di merito avrebbe potuto dare ingresso alla prova testimoniale, richiesta soltanto con l’atto di appello.

Con il motivo viene lamentato, da ultimo, l’omesso esame della eccezione di inutilizzabilità della prova testimoniale, svolta nelle note difensive del 31.10.2012.

I motivi – in quanto strettamente connessi e parzialmente sovrapponibili – devono essere esaminati congiuntamente.

Il ricorrente imputa alla Corte territoriale la violazione del divieto di introduzione in appello di fatti nuovi e di nuovi mezzi di prova quale effetto dipendente dalla violazione delle regole processuali del primo grado sia in punto di allegazione (per non essere state svolte le difese dell’INPS con la memoria difensiva ma solo successivamente) che di produzione dei documenti (per essere stati utilizzati documenti prodotti in primo grado tardivamente).

Secondo quanto esposto in ricorso, l’INPS alla prima udienza di discussione nel giudizio di primo grado dichiarava di essere incorso in errore nella articolazione delle difese e chiedeva ammettersi la prova testimoniale attraverso gli ispettori verbalizzanti; fuori dall’ udienza, in data anteriore alla celebrazione della udienza successiva, l’INPS depositava il verbale di accertamento, corredato delle dichiarazioni rese agli ispettori dai lavoratori interessati.

Alla udienza fissata il procuratore del consorzio chiedeva ammettersi la prova testimoniale, con revoca dell’ordinanza con cui la causa era stata rinviata per la decisione; la richiesta era accolta dal Tribunale sicchè venivano sentiti i testi del Consorzio e la causa veniva poi assunta in decisione.

La sentenza di primo grado prendeva in esame le difese dell’INPS e, sotto il profilo istruttorio, il verbale di accertamento e le dichiarazioni rilasciate agli ispettori ma li giudicava non idonei a provare la subordinazione.

Pertanto implicitamente – ma quale necessario presupposto logico della decisione – il giudice del primo grado riteneva ammissibili le difese dell’INPS e rituale la acquisizione dei documenti al processo.

La eventuale violazione del principio di allegazione – quanto alle difese dell’INPS – e di acquisizione – quanto al verbale di accertamento e dei verbali ad esso allegati – dunque, non sarebbero imputabili al giudice d’appello ma al giudice del primo grado.

Non risulta nè dall’attuale ricorso nè dalla sentenza impugnata che la questione della tardività delle difese e dei documenti prodotti dall’INPS sia stata sottoposta al giudice dell’appello sicchè essa non può essere proposta per la prima volta davanti a questa Corte.

La nullità del processo di primo grado è infatti soggetta al principio generale della conversione delle ragioni di nullità in motivo di impugnazione ex art. 161 c.p.c. che nella specie – in ragione della soccombenza soltanto virtuale del Consorzio esigeva la proposizione della questione in appello ex art. 346 c.p.c.. Il Consorzio, nel resistere all’appello, avrebbe dovuto sollevare la relativa eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. per non incorrere nella presunzione assoluta di rinunzia prevista dalla norma citata.

Per quanto si è esposto non vi era – invece – alcuna novità delle difese articolate nell’atto di appello e dei documenti, difese e documenti già entrati a far parte del processo di primo grado.

Venendo specificamente all’esame del primo motivo del ricorso, la Corte rileva poi che l’onere di impugnazione riguarda soltanto i fatti principali oggetto del giudizio, ritualmente allegati dall’INPS con il ricorso in appello laddove sulla base del principio di acquisizione, il giudice del merito può formare il suo convincimento su tutti gli elementi di fatto risultanti dagli atti del giudizio.

In particolare ben poteva il giudice dell’appello formare il proprio giudizio di esistenza della subordinazione sui dati di fatto emergenti dal verbale ispettivo – quali il tipo di organizzazione della attività ed il numero degli utenti del servizio offerto da consorzio – ancorchè non richiamati nell’ appello dell’INPS.

E’ superfluo poi rilevare che la applicazione delle norme di diritto è rimessa esclusivamente al giudice sicchè – nell’ambito dei fatti principali oggetto dell’appello – la Corte di merito ben può correggere gli errori del giudice del primo grado nella applicazione delle norme di diritto (nella fattispecie concreta, quanto alla valenza probatoria degli indici sussidiari della subordinazione).

Resta da considerare la questione della novità della prova testimoniale ammessa ed espletata dal giudice dell’appello, con l’escussione dell’ispettore C.S..

La Corte preliminarmente rileva che la prova veniva articolata non già per la prima volta in appello ma alla prima udienza del giudizio di primo grado (si veda a pagina 4 dell’odierno ricorso: “Compariva, altresi, l’INPS che, ammettendo di essere Incorso in errore nella costituzione depositata, chiedeva ammettersi prova testimoniale nelle persone degli ispettori verbalizzanti”).

In ogni caso il vizio dedotto con l’odierno ricorso resta del tutto privo di decisività.

La motivazione del decisum è infatti direttamente fondata sulle dichiarazioni raccolte in sede ispettiva e sul verbale di accertamento impugnato restando del tutto ininfluente nello sviluppo del ragionamento logico la avvenuta conferma del verbale da parte del teste.

Il secondo motivo, con il quale si denunzia la mancanza di specificità dei motivi di appello dell’INPS è da ultimo infondato, avendo l’INPS specificamente contestato le ragioni della sentenza di primo grado, invocando la efficacia probatoria degli accertamenti eseguiti dagli ispettori e delle dichiarazioni da essi acquisite, come riportato anche nella sentenza d’appello.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c.nonchè – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; ha altresì dedotto vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente ha denunziato la violazione del principio di riparto dell’onere probatorio, per avere la Corte di merito accertato la natura subordinata dei rapporti di lavoro nonostante la mancanza di prova sul punto.

In particolare ha esposto che il teste C.S. in sede di escussione testimoniale si era limitata a riportare sinteticamente alcune delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori senza confermare i contenuti del verbale di accertamento ispettivo – come riferito invece in sentenza; in ogni caso i contenuti del verbale non erano idonei a fornire la prova, in quanto contrastati dal consorzio, i cui testi erano stati considerati inattendibili in assenza di idonea motivazione.

Non costituiva, poi, elemento di prova il giudicato formatosi nella controversia relativa ad altri lavoratori, al quale comunque poteva essere opposto il contrario tenore di altri giudicati (indicati nel motivo e prodotti in questa sede) escludenti la sussistenza del lavoro subordinato in ulteriori controversie.

La sentenza impugnata, ha dedotto il ricorrente, di fatto attribuiva efficacia probatoria privilegiata al verbale di accertamento ispettivo, in violazione dell’art. 2700 c.c. e art. 115 c.p.c..

La motivazione della sentenza impugnata era generica (quanto ai contenuti delle direttive impartite ai lavoratori) ed illogica.

Il motivo è infondato.

Non appare pertinente la censura formulata in relazione all’art. 2697 c.c..

La violazione della regola processuale viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova.

Nell’ipotesi di causa la Corte territoriale ha ritenuto documentalmente provato, sulla base del verbale ispettivo e delle dichiarazioni acquisite in sede ispettiva, il rapporto di subordinazione sicchè non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento.

Analogamente la Corte territoriale non attribuisce efficacia probatoria privilegiata al verbale ispettivo ma procede, nell’esercizio della sua funzione di libero apprezzamento delle prove, ad una valutazione del contenuto delle dichiarazioni rese agli ispettori dai lavoratori e dei dati relativi all’esercizio della impresa accertati.

Per costante giurisprudenza di legittimità l’accertamento dei fatti è riservato al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) solo nei limiti del controllo, sotto il profilo logico-formale della valutazione operata (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. 3, 04/03/2010, n. 5205Cass. 6 marzo 2006, n. 4766. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).

Le motivazioni della sentenza impugnata in punto di sottoposizione dei lavoratori al potere direttivo dei responsabili del consorzio appaiono logiche e concludenti, diversamente da quanto assunto dal consorzio ricorrente, avendo la Corte di merito congruamente evidenziato, quale mero elemento di riscontro delle dichiarazioni rese agli ispettori verbalizzanti da tutti gli istruttori di nuoto (sottoposizione a turni ed orari di lavoro, pagamento mensile della retribuzione in misura fissa, obbligo di presenza, firma trimestrale di contratti sottoposti dai responsabili del consorzio), che in assenza di lavoratori subordinati l’attività principale del consorzio non avrebbe potuto essere svolta secondo gli obblighi previsti nella concessione comunale.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c..

Ha dedotto che gli elementi dell’osservanza dell’orario di lavoro e di turni predisposti dal Consorzio non erano probanti della subordinazione a fronte delle diverse risultanze istruttorie circa la possibilità degli istruttori di gestire autonomamente i turni, la percezione di compensi variabili, la possibilità di assentarsi liberamente.

Il motivo è infondato.

La corretta applicazione delle norme di diritto deve essere verificata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – in relazione al fatto materiale accertato in sentenza dal giudice del merito.

Il vizio del giudizio logico che presiede al preliminare accertamento del fatto è invece deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza impugnata ha accertato non solo la osservanza da parte degli istruttori di turni ed orari di lavoro ma anche la mensilizzazione della retribuzione, la sua liquidazione in misura fissa, l’obbligo di presenza e la necessità di giustificare le assenze, la mancanza di autonomia organizzativa e la sottoposizione ad ordini e controlli (impartiti dai signori R.G. ed A.G.).

Alla luce di tali elementi di fatto non sussiste il vizio di falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. denunziato con il motivo.

Con il motivo il ricorrente introduce invece inammissibilmente contestazioni dei fatti accertati dal giudice del merito (in punto di obbligo di presenza e soggezione a controllo) che possono costituire oggetto di ricorso nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per esborsi ed Euro 5.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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