Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20676 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/09/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 29/09/2020), n.20676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11450-2014 proposto da:

M.P.A., B.C., S.A.,

BE.AL., C.D., S.P., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio

degli avvocati ANTON GIULIO LANA, MARIO MELILLO, che li

rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9755/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/05/2013 R.G.N. 3338/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIO MELILLO;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gli attuali ricorrenti adivano il Tribunale di Roma e, premesso di essere stati iscritti al Fondo Volo e di avere avuto accesso alla pensione di anzianità prevista dalla L. n. 859 del 1965, Si.Pa. e C.D. con decorrenza anteriore al 1 luglio 1997 e M.P.A., B.C., S. Agostino e. B.A. con decorrenza successiva al 1 luglio 1997, deducevano di avere optato per la liquidazione del trattamento pensionistico in quota capitale, ai sensi della predetta Legge del 1965, art. 34 e sostenevano che l’Istituto non avesse liquidato esattamente la quota di pensione in capitale, per avere applicato coefficienti di capitalizzazione non corretti. Chiedevano quindi la condanna dell’INPS al pagamento delle differenze relative al maggiore importo della quota di pensione capitalizzata. Il Tribunale adito respingeva la domanda e la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 9755/2012, ha rigettato l’appello proposto dai pensionati.

2. La Corte di appello, premesso che la L. 859 del 1965, art. 34 prevedeva, nella sua originaria formulazione, la possibilità, a richiesta dell’iscritto al Fondo, della liquidazione in capitale di una parte della pensione spettante (il D.L. 5 ottobre 2004, n. 249, art. 1-quater, comma 3, conv. in L. 3 dicembre 2004, n. 291 ha poi definitivamente eliminato la facoltà di capitalizzazione); che ai fini della determinazione del valore capitale della quota di pensione era intervenuta la L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 503 (finanziaria per il 2008); che i ricorrenti avevano chiesto che fossero applicati quelli previsti dal D.M. 19 febbraio 1981, elaborati per il calcolo della riserva matematica di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, ha osservato:

a) quanto ai pensionati ante 1 luglio 1997, trovava applicazione il principio enunciato da Sezioni Unite n. 22154 del 2009 secondo cui la L. n. 859 del 1965, art. 34 deve intendersi nel senso che trovano applicazione i coefficienti di cui alla tabella allegata al R.D. n. 1403 del 1922, concernenti il calcolo delle pensioni degli iscritti alle pensioni facoltative, che consentono di risalire dalla quota di pensione alla capitalizzazione secondo i coefficienti della vita media, senza alcuna proiezione per il futuro, dovendosi, per contro, escludere l’applicabilità tanto della L. n. 1338 del 1962, art. 13, comma 6, (relativo alla determinazione della quota matematica in caso di omissione contributiva), che postula una capitalizzazione da effettuarsi tenendo conto anche di fattori ulteriori, quali la reversibilità della pensione e la possibilità di miglioramenti normativi della pensione dovuta, tanto del D.M. 19 febbraio 1981, che ha introdotto nuovi coefficienti di capitalizzazioni riferiti esclusivamente all’AGO (e non anche al Fondo volo), non estendendosi l’indicato rinvio ai coefficienti in uso presso l’istituto previdenziale anche ai successivi aggiornamenti degli stessi, quanto, infine, della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, – che ha ritenuto applicabili i coefficienti di capitalizzazione determinati sui criteri attuariali specifici per il predetto Fondo ove regolarmente deliberati dal consiglio di amministrazione dell’INPS – non avendo tale norma natura interpretativa ed efficacia retroattiva;

b) che parimenti infondata era la pretesa per i pensionati con decorrenza successiva al 1 luglio 1997, dovendo essere richiamata la sentenza delle Sezioni Unite n. 22156 del 2009, la quale aveva affermato che per costoro il rinvio ai “coefficienti in uso presso l’INPS”, disposto dalla L. 13 luglio 1965, n. 859, art. 34 ai fini del calcolo della predetta quota, non è riferibile alle tabelle allegate al D.M. 27 gennaio 1964, riguardanti il calcolo della riserva matematica di cui alla L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 operante solo presso l’AGO dei lavoratori dipendenti, nè quindi alle successive modifiche introdotte dal D.M. 19 febbraio 1981, la cui operatività è esclusa anche dalla natura “statica” del rinvio, riguardante i soli coefficienti all’epoca vigenti, nè infine alle tabelle di cui al D.M. 20 febbraio 2003, previste dal D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 164, art. 3, comma 6, solo ai fini del calcolo degli oneri di ricongiunzione e riscatto, dovendo invece trovare applicazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 503, le tabelle allegate alla Delib. consiglio di amministrazione dell’INPS 4 agosto 2005, n. 302 più favorevoli rispetto ai coefficienti di cui al R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, vigenti all’epoca dell’entrata in vigore della L. n. 865 cit. e concernenti il calcolo delle pensioni degli iscritti alle assicurazioni facoltative, con la conseguenza che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 503, cit., nella parte in cui comporterebbe una capitalizzazione di valore inferiore a quella risultante dall’applicazione delle tabelle che opererebbero in sua assenza.

2.1. Precisava che, quanto ai pensionati post 1 luglio 1997 e fino al dicembre 2004, il Consiglio di Amministrazione dell’INPS aveva adottato la Delib. n. 302 del 2005 con cui aveva approvato i nuovi coefficienti di capitalizzazione con effetto appunto sulle pensioni aventi decorrenza dal 1 luglio 1997.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i pensionati sulla base di tre motivi seguiti da memoria ex art. 378 c.p.c. L’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione della L. n. 859 del 1965, art. 34, della L. n. 1338 del 1962, art. 13 delle tabelle di cui al D.M. 19 febbraio 1981. Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1403 del 1922, artt. 1 e 2 e delle allegate tariffe per le rendite vitalizie. Violazione e falsa applicazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, anche in relazione all’art. 11 disp. gen. e agli artt. 2,3 e 117 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Si censura la sentenza per avere condiviso, quanto ai pensionati con decorrenza successiva al 1 luglio 1997, la soluzione interpretativa indicata da S.U. 22156 del 2009, che con diverse articolate argomentazioni viene contestata.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503. Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1403 del 1922, artt. 1 e 2 e delle allegate tariffe per le rendite vitalizie, nonchè della L. n. 859 del 1965, art. 34. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). In via subordinata rispetto al motivo che precede, si deduce che, ove si dovesse ritenere che la predetta L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503 abbia sanato i coefficienti autodeterminati dall’INPS, la Corte di appello avrebbe dovuto applicare i nuovi coefficienti aggiornati, emanati dall’Inps nel 2005, anche a coloro i quali, come i ricorrenti M., B., S. e Be., sono andati in pensione dopo il 1 luglio 1997.

3. Con il terzo motivo, riguardante la posizione dei ricorrenti Si. e C., pensionati da epoca anteriore al 1 luglio 1997, si denuncia violazione della L. n. 859 del 1965, art. 34 della L. n. 1338 del 1962, art. 13 delle tabelle allegate al D.M. 19 febbraio 1981. Violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1403 del 1922, artt. 1 e 2 e delle allegate tariffe per le rendite vitalizie (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Per tutti i ricorrenti, si denuncia altresì violazione e falsa applicazione degli artt. 6, par. 1 e 14 CEDU, letti congiuntamente all’art. 1, Prot. n. 1 della CEDU, in relazione all’art. 117 Cost.. Le censure sono articolate in plurimi profili con i quali, nella sostanza, è contestata, quanto ai pensionati ante 1 luglio 1997, la soluzione adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte del 20 ottobre 2009 n. 22154, i cui principi la sentenza impugnata ha applicato.

4. Le questioni di diritto oggetto dell’impugnazione sono infondate, alla luce della sentenza n. 11907 del 28 maggio 2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, i cui principi sono da intendere qui riportati e ulteriormente ribaditi.

4.1. Con tale decisione le Sezioni Unite hanno ravvisato un’evidente efficacia retroattiva della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, atteso che la norma riguarda i “vecchi” trattamenti pensionistici, già maturati in precedenza, disciplinando, ora per allora, il beneficio in esame in tutte le ipotesi in cui esso era stato richiesto dagli aventi diritto fino al 31 dicembre 2004 (data di abrogazione del beneficio stesso). La Corte ha così messo in luce la finalità di sanatoria della norma in esame, in un’ottica di salvaguardia dell’equilibrio finanziario del Fondo, destinato innanzitutto a corrispondere il trattamento pensionistico per tutta la vita del pensionato (con la reversibilità ai superstiti aventi diritto) e, solo in via di ulteriore trattamento di miglior favore e per un periodo di tempo ormai superato, anche ad erogare una tantum una quota capitalizzata dello stesso.

La conseguenza tratta da tale sentenza, che ha parzialmente rettificato la soluzione precedentemente adottata dalle Sezioni Unite con le pronunce del 20 ottobre 2009 (nn. 22154, 22155, 22156 e 22157), è che per le domande di liquidazione di una quota in capitale della pensione presentate da un iscritto al Fondo Volo in data anteriore al 1 luglio 1997, devono trovare applicazione i coefficienti di capitalizzazione determinati in sede di elaborazione del bilancio tecnico del Fondo volo ed approvati dal Comitato di vigilanza del Fondo con deliberazione in data 8 marzo 1988, mentre per quelle presentate in data successiva al 1 luglio 1997 valgono i coefficienti adottati con Delib. Consiglio di amministrazione dell’INPS 4 agosto 2005, n. 302.

4.2. L’orientamento affermato da S.U. n. 11907 del 28 maggio 2014 è poi stato ribadito da numerose successive sentenze conformi: v. tra le tante, Cass. nn. 23066, 25385, 25681, 26317, 26408, 26409 e 26603 del 2014; Cass. nn. 22, 7736, 8582, 8871, 9385 e 16531 del 6 gennaio 2015, n. 7128 del 2016 e innumerevoli successive; da ultimo v. Cass. n. 4623 del 2018 e 11113 del 2019.

4.3. Alla luce di tale consolidato orientamento, la domanda degli odierni ricorrenti è infondata e vanno così respinti il primo e il terzo motivo.

5. Quanto al secondo motivo, con esso si lamenta che, per i pensionati post 1 luglio 1997, la Corte territoriale, pur a fronte dell’enunciazione di un principio di diritto per cui doveva trovare applicazione la Delib. Consiglio di amministrazione dell’INPS del 2005 che aveva approvato i nuovi coefficienti di capitalizzazione con effetto sulle pensioni aventi decorrenza dal 1 luglio 1997 e fino al dicembre 2004, abbia omesso di esaminare il fatto decisivo che ai ricorrenti anzidetti non era stato applicato tale criterio, a dire dei giudici d’appello più favorevole.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto involge una questione (il mancato adeguamento da parte dell’INPS alle sue stesse determinazioni) che non risulta trattata dalla sentenza impugnata e che, per come proposta, deve ritenersi nuova in questa sede.

6. Gli odierni ricorrenti hanno chiesto, in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., che sia sollevata questione di legittimità costituzionale della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui tutelano l’affidamento e garantiscono la proporzionalità degli interventi incisivi sulle legittime aspettative, nonchè per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6, par. 1 CEDU e art. 1, Prot. n. 1 CEDU, nella parte in cui garantiscono, rispettivamente, i principi di certezza giuridica, di tutela dell’affidamento e della parità delle armi, nonchè il diritto di proprietà, alla luce dell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo.

7. Anche tali questioni sono state puntualmente più volte esaminate da questa Corte (cfr. Cass. n. 23066 del 2014, nn. 1908, 8871 e 9385 del 2015, n. 23095 del 2016).

7.1. Al fine di escludere la violazione del principio di razionalità ed equità di cui all’art. 3 Cost. nonchè degli artt. 36 e 38 Cost., non può non tenersi conto di vari elementi, risultanti dalla giurisprudenza costituzionale.

Invero, ai fini del principio di uguaglianza, di regola, il fluire del tempo è, di per sè, un elemento idoneo a giustificare diversità di discipline anche pensionistiche (vedi, per tutte: Corte Cost. sentenza n. 208 del 2014; n. 197 del 2010).

E ancora: una norma retroattiva, anche in materia previdenziale, non può considerarsi irragionevole se “risulta rispondente ad una esigenza di ordine sistematico imposta proprio dalle vicende che hanno segnato la sua applicazione” (v., per tutte, le sentenze n. 227/2014, n. 1/2011 e n. 74/2008 della Corte Cost.).

Inoltre, “l’art. 38 Cost. non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante” (sentenze n. 361/1996; n. 240/1994 e n. 822/1988).

Conseguentemente, il legislatore può, a maggior ragione, anche con norma avente effetti retroattivi, “modificare in modo sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalità perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare l’affidamento nella sicurezza giuridica” (v., ex aliis, Corte Cost. n. 227/2014 cit; n. 282/2005; n. 6/1994), sempre che il suddetto intervento possa dirsi non irragionevole; ed è da escludere l’irragionevolezza ove l’assetto recato dalla norma retroattiva – che abbia “salvaguardato i trattamenti di miglior favore già definiti in sede di contenzioso, con ciò garantendo non solo la sfera del giudicato, ma anche il legittimo affidamento che su tali trattamenti poteva dirsi ingenerato” (sentenza n. 74/2008) – sia finalizzato anche al complessivo riequilibrio delle risorse, che non può non comportare la dovuta attenzione alle esigenze di bilancio, tanto più a fronte di trattamenti privilegiati, qual è quello di cui si tratta nel presente giudizio (v., per tutte, Corte Cost. n. 172/2008).

Gli effetti di disposizioni del tipo considerato “ricadono nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall’art. 81 Cost., comma 4, ed assicurano la razionalità complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, e così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali” (v., ex pluribus, Corte Cost. n. 264/2012 e, nello stesso senso, Corte Cost. n. 376/2008).

Sebbene sia ravvisabile un’analogia funzionale delle prestazioni previdenziali con i crediti di lavoro (v. sentenza n. 156/91), tuttavia tra le suddette categorie di crediti vi è diversità strutturale, con la conseguente non applicabilità diretta dell’art. 36 Cost. ai crediti di pensione, essendo ad essi tale norma riferibile solo indirettamente, “per il tramite e nella misura dell’art. 38”, nel senso che, avendo la pensione una funzione sostitutiva di un reddito di lavoro cessato, il detto requisito richiama l’art. 36 come referente per la determinazione delle esigenze di vita ivi menzionate.

Tuttavia, la commisurazione del trattamento pensionistico incontra un limite nel necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale (v., per tutte, sentenze n. 361/1996; n. 196/1993; n. 119/1991 e n. 220/1988), che, come si è detto, può giustificare interventi legislativi volti a ridurre in maniera definitiva un trattamento pensionistico, in precedenza spettante, a cagione di un’inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica. Nella specie:

a) il regime pensionistico su cui è intervenuta la norma retroattiva in oggetto era un regime di favore rispetto a quello ordinario;

b) la norma stessa non ha inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza al riguardo; e comunque ha lasciato inalterata la possibilità per il singolo pensionato di conoscere i coefficienti di capitalizzazione di fatto in uso presso il Fondo Volo e scegliere se avere l’intero trattamento pensionistico erogato nei modi ordinari, più favorevole del trattamento in regime di a.g.o. (assicurazione generale obbligatoria) perchè comprensivo del trattamento integrativo, ovvero preferire una quota dello stesso.

La norma è stata dettata al fine di razionalizzare e rendere chiara la disciplina della materia, per superare la preesistente situazione di oggettiva incertezza interpretativa evidenziata, in modo emblematico, dai plurimi discordanti interventi in materia delle Sezioni Unite, dando base legale all’autodeterminazione dei coefficienti di capitalizzazione.

7.2. Condividendosi pienamente i principi affermati nelle richiamate sentenze di questa Corte deve, quindi, escludersi che sussistano contrasti della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, con i citati parametri costituzionali per la principale ragione del carattere di favore del regime pensionistico di cui si tratta, oltre che per la possibilità di scelta riservata agli interessati e per la finalità razionalizzatrice della norma retroattiva in parola.

8. Specificamente, con riguardo alla presunta violazione dell’art. 6 CEDU, la sentenza di questa Corte n. 9385 del 2015 ha chiarito che se, da un lato, per la giurisprudenza costituzionale, pur nei suddetti limiti, il legislatore può emanare norme retroattive (anche di interpretazione autentica), purchè l’irretroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), dall’altro lato, anche la Corte di Strasburgo non mai enunciato un divieto assoluto d’ingerenza del legislatore per effetto di norme retroattive, tanto che, in varie occasioni, ha ritenuto non contraria all’art. 6 CEDU l’emanazione di norme retroattive volta a porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un’interpretazione più aderente all’originaria volontà legislativa (vedi, per tutte: sentenza National & Provincia) Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito 23 ottobre 1997 e sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas e altri c. Francia). In quest’ultima pronuncia, in particolare, è stato affermato che – diversamente da quanto verificatosi net caso Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999 – l’intervento del legislatore, avente effetti retroattivi, non aveva inteso sostenere la posizione assunta dall’Amministrazione dinanzi ai giudici, ma porre rimedio ad un errore tecnico di diritto, al fine di garantire la conformità all’intenzione originaria del legislatore, nel rispetto di un principio di perequazione. Pertanto, la Corte ha aggiunto che gli interessati non avrebbero potuto validamente invocare un “diritto” tecnicamente errato o carente, e dolersi quindi dell’intervento del legislatore teso a chiarire i requisiti ed i limiti che la legge interpretata contemplava.

8.1. Come precisato da Cass. SU n. 11907 del 2014, che ha espressamente “rettificato” le precedenti Cass. SU 20 ottobre 2009, n. 22154, n. 22155, n. 22156 e n. 22157 – nella specie ci si trova in presenza di un intervento del legislatore che ha disciplinato soltanto la determinazione di una modalità di erogazione della pensione determinata per legge nell’an e nel quantum a carico del Fondo volo; modalità questa che è alternativa a quella ordinaria (ossia pagamento di una somma capitale una tantum unitamente ad un minor rateo periodico di pensione in alternativa al pagamento dell’ordinario integrale rateo periodico di pensione) e che è su base volontaria (nel senso che è il pensionato che valuta la convenienza, o meno, di chiedere che una parte della pensione spettante gli sia versata in quota capitale).

8.2. Deve peraltro aggiungersi, sotto lo specifico profilo attinente la tutela del diritto di proprietà predisposta dall’art. 1, Protocollo n. 1 CEDU, che, da un lato, l’intervento legislativo di cui si discute non ha inciso su situazioni soggettive definitivamente acquisite, come sopra rilevato. Inoltre, nella sentenza 7 giugno 2011 – Ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09 – Agrati ed altri c. ITALIA, la Corte EDU ha affermato che il concetto di “pubblica utilità” che devono avere le ragioni che giustificano le limitazioni del diritto di proprietà è ampio per natura e che la relativa decisione di adottare leggi che ne comportino il sacrificio implica l’esame di questioni politiche, economiche e sociali, e che le autorità nazionali sono in via di principio in una posizione migliore rispetto al giudice internazionale per determinare le ragioni di “pubblica utilità” che giustificano una limitazione del diritto di proprietà. La soluzione della questione posta dal ricorrente si rinviene quindi già nella motivazione delle sentenze sopra citate, là dove, nel richiamare la ratio legis sottesa all’introduzione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 503, ne ha ritenuto la conformità ai parametri costituzionali valorizzandone la finalità perequativa, nonchè di tutela dell’equilibrio finanziario del Fondo e di certezza applicativa, di interesse generale.

9. Il ricorso va dunque complessivamente rigettato.

10. Considerato che l’ultima pronuncia delle S.U. è intervenuta in data (28 maggio 2014) successiva alla proposizione del ricorso per cassazione (2 maggio 2014) ora esaminato, ricorrono le condizioni per la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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