Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20675 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/09/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 29/09/2020), n.20675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10834-2014 proposto da:

P.A.D., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio degli avvocati PAOLO

BOER, ALBERTO BOER, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 10/05/2013 R.G.N. 372/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per inammissibilità e in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato CARLO DE ANGELIS, per delega verbale Avvocato PAOLO

BOER;

udito l’Avvocato SERGIO PREDEN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Perugia, con sentenza n. 43/2013, ha rigettato l’appello proposto da P.A.D. avverso la sentenza del Tribunale di Perugia che aveva respinto la domanda dallo stesso proposta nei confronti dell’INPS, diretta ad ottenere la riliquidazione della pensione a carico del Fondo Volo con decorrenza 1 settembre 2003.

2. Risulta dalla sentenza di appello che il giudice di primo grado, dopo avere rilevato che nelle more del giudizio l’Inps aveva riliquidato il rateo pensionistico – originariamente determinato nella misura di Euro 7.539,99 e poi ricalcolato in Euro 9.705,15, in applicazione della L. n. 480 del 1988, art. 8, comma 7 -, aveva dichiarato cessata la materia del contendere, precisando che il ricorrente non aveva contestato che l’Istituto, nell’effettuare la nuova liquidazione trattamento con l’incremento del rateo mensile e il pagamento degli arretrati, avesse correttamente applicato la suddetta norma di legge. Quanto all’ulteriore pretesa del ricorrente di vedere applicato il regime previsto dalla L. n. 291 del 2004, art. 1-quater, comma 1, della il Tribunale aveva affermato che il P. non aveva allegato nè tantomeno provato che con l’applicazione dei diversi criteri introdotti da tale norma il rateo sarebbe stato superiore e dunque non aveva dimostrato la sussistenza dell’interesse ad agire: il ricorrente aveva solo prospettato la possibilità che il trattamento liquidato dall’Inps fosse inferiore a quello ottenibile con i criteri di cui all’art. 1-quater, comma 1, per cui qualunque indagine di merito avrebbe assunto carattere esplorativo e sarebbe stata inammissibile.

3. La Corte di appello, nel confermare tale soluzione interpretativa, ha osservato che il ricorrente si era limitato ad asserire che il regime introdotto a decorrere dal 1 gennaio 2004, successivamente alla data di liquidazione del suo trattamento pensionistico, era più favorevole per i pensionati perchè stabiliva un tetto “personalizzato”, ma non aveva nè allegato nè tantomeno dimostrato che l’applicazione della disposizione avrebbe comportato un trattamento pensionistico effettivamente superiore.

4. Per la cassazione di tale sentenza P.A.D. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l’Inps. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 100,115 e 116 c.p.c. nonchè dell’art. 2697 c.c. in ordine al riparto dell’onere della prova (art. 360 c.p.c., n. 3). Si assume che, nell’ambito dell’obbligazione pensionistica, non fa carico al pensionato, creditore della prestazione, fornire la prova che l’applicazione della norma sopravvenuta possa comportare un incremento ulteriore del trattamento in godimento (nella specie, quello in erogazione alla data del 31 dicembre 2003) e che era errato supporre che la riduzione del coefficiente di rendimento da 100 a 80, introdotto dal D.Lgs. n. 243 del 2004, art. 1-quater, comma 1, non avrebbe comportato un risultato utile per il ricorrente.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.L. n. 243 del 2004, art. 1-quater, comma 1, introdotto in sede di conversione nella L. n. 291 del 2004. Si assume che la sentenza sarebbe comunque errata per non avere interpretato la disposizione come intesa ad individuare la data da cui prende a decorrere il nuovo criterio di calcolo delle pensioni erogate, a prescindere dalla data di decorrenza delle stesse, trovando così applicazione anche alle pensioni già in corso di liquidazione alla data del 1 gennaio 2004. Si deduce che detta norma, nel contemplare l’eventuale beneficio derivante dalla valorizzazione dell’intera retribuzione individuale in luogo del precedente massimale di categoria, non ha inteso escluderlo per le pensioni con decorrenza anteriore al 1 gennaio 2004.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. la L. n. 859 del 1965, art. 24, come novellato dalla L. n. 480 del 1988, art. 8 prevede che: “La retribuzione sulla quale si determina la misura della pensione è costituita dalla media annuale degli emolumenti percepiti negli ultimi 5 anni di servizio, assoggettati a contribuzione” (comma 1). “La misura della pensione non potrà superare il limite massimo di retribuzione pensionabile calcolato secondo quanto disposto ai commi successivi (comma 5). “In ogni anno solare, per ciascuna qualifica contrattuale degli iscritti al Fondo sono calcolati tre limiti massimi di retribuzione pensionabile corrispondenti alla media delle retribuzioni soggette a contributo percepite nell’anno solare immediatamente precedente a quello considerato dai dipendenti di pari qualifica della azienda nazionale di navigazione aerea maggiormente rappresentativa, aventi rispettivamente un’anzianità aziendale: a) non inferiore a 15 anni e non superiore a 20 anni per il primo limite; b) superiore a 20 anni e non superiore a 25 anni per il secondo limite; c) superiore a 25 anni per il terzo limite” (comma 6); “Nel caso in cui il limite massimo di retribuzione pensionabile relativo ad un determinato anno risulti inferiore al corrispondente limite dell’anno precedente, per l’anno considerato resta confermato il limite dell’anno precedente” (comma 7).

Come risulta dalla sentenza impugnata, nel corso del giudizio di primo grado l’INPS ebbe a riliquidare (terza liquidazione) in favore del P. il rateo pensionistico in applicazione dell’art. 8, comma 7 or ora citato. Risulta altresì che non formò oggetto di censura in appello la correttezza del calcolo del rateo operata dall’INPS in applicazione della suddetta norma.

L’odierno ricorrente aveva però dedotto di avere interesse a vedere ricalcolato il trattamento, per i ratei pensionistici a decorrere dal 1 gennaio 2004, in base ai criteri di cui alla L. n. 249 del 2004, art. 1-quater, comma 1, che così dispone: “A decorrere dal 1 gennaio 2004 ed in attesa dell’armonizzazione tra le varie gestioni pensionistiche prevista nei principi di delega contenuti nella L. 23 agosto 2004, n. 243, per i soggetti di cui al D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 164, art. 2, comma 1, l’importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere l’80 per cento della retribuzione pensionabile determinata ponderando le retribuzioni pensionabili relative a ciascuna quota di pensione con le rispettive percentuali di rendimento attribuite”.

Argomenta il ricorrente che tale norma ha soppresso il massimale di categoria introdotto dalla L. n. 480 del 1988, art. 8 per effetto del quale la retribuzione del personale iscritto al Fondo Volo, sebbene interamente assoggettata a contribuzione, andava presa in considerazione, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, nei limiti del massimale di categoria, e – a decorrere dal 1 gennaio 2004 – ha conferito rilievo ai fini della formazione della retribuzione pensionabile all’intera retribuzione individuale assoggettata a contribuzione, sia pure riducendo dal 100% all’80% il rapporto tra retribuzione e pensione.

Si legge poi nel ricorso per cassazione che, nel caso in esame, tale retribuzione individuale assoggettata a contribuzione “superando di ben oltre il 20% il massimale di categoria, avrebbe potuto comportare un apprezzabile incremento del trattamento già rideterminato con il terzo provvedimento di liquidazione della pensione emesso dall’Inps il 2 marzo 2009”.

5. Come emerge evidente dal tenore stesso del ricorso, la prospettazione su cui lo stesso si fonda rimanda ad elementi di fatto atti a supportare l’interesse ad agire, elementi di fatto di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata. Questa ha affermato che erano mancate proprio le allegazioni occorrenti a consentire di valutare l’effettiva incidenza, nel senso favorevole ipotizzato dal ricorrente, della nuova normativa sul trattamento in godimento e che tale assenza di allegazioni avrebbe reso meramente esplorativa ogni ulteriore indagine istruttoria. Il ricorrente aveva solo prospettato la possibilità che il trattamento, già riliquidato dall’Inps in base alla L. n. 480 del 1988, art. 8 risultasse inferiore a quello ottenibile con i criteri dell’art. 1-quater, comma 1, da cui il carattere solo ipotetico dell’assunto relativo all’esistenza di un utile risultato conseguibile applicando i nuovi criteri.

6. L’odierno ricorso torna a riproporre, pedissequamente, la propria tesi originaria senza nulla opporre alla argomentata soluzione dei giudici di merito.

7. Nessun giudicato implicito può essersi formato nel senso del diritto a vedere applicato l’art. 1-quater (di cui si discute), atteso che la Corte di appello ha evidentemente omesso di esaminare quale fosse la portata applicativa della L. n. 291 del 2004, art. 1 – quater, comma 1, stante l’assorbente rilievo del ritenuto difetto di allegazione in merito all’effettività di un utile risultato per il ricorrente nell’ipotesi di applicazione delle modalità di calcolo così introdotte, in luogo del criterio di cui alla L. 480 del 1988, art. 8, comma 7, sulla cui base l’Inps aveva già proceduto in corso di giudizio alla riliquidazione del rateo pensionistico.

Il difetto di prova dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), dopo la liquidazione intervenuta in corso di causa da parte dell’Inps, ha comportato l’assorbimento dell’esame funditus della norma e della sua portata applicativa, per cui non vi è alcuna statuizione implicita costituente giudicato circa il diritto a vedere applicata la norma in questione.

8. E’ noto che l’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore, senza che siano ammissibili questioni d’interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (cfr. Cass. n. 2057 del 2019, 6749 del 2012, 2051 del 2011).

9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

 

 

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