Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20675 del 13/10/2016


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Cassazione civile sez. trib., 13/10/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 13/10/2016), n.20675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 578-2010 proposto da:

GARLSSON REAL ESTATE SA IN LIQUIDAZIONE, R.S., MAGISTE

INTERNATIONAL SA in persona del liquidatore e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ELEONORA DUSE 35,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO OLIVO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAURIZIO CANFORA con procura

speciale all’interno della memoria;

– ricorrenti –

contro

CONSOB COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA’ BORSA;

– intimato –

nonchè da:

CONSOB COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA’ BORSA, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA G.B. MARTINI 3, presso lo studio

dell’avvocato FABIO BIAGIANTI, che io rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANTONELLA VALENTE, MARIA LETIZIA ERMETES

giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

contro

GARLSSON REAL ESTATE SA IN LIQUIDAZIONE, R.S., MAGISTE

INTERNATIONAL SA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4297/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Presidente e Relatore Dott. DOMENICO CHINDEMI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato CANFORA che si riporta agli

scritti;

uditi per il controricorrente gli Avvocati VALENTE e PROVIDENTI per

delega dell’Avvocato BIAGIANTI che si riportano agli scritti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per la rimessione degli atti

alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ordinanza interlocutoria di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea:

1. La Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – emetteva nei confronti di R.S. e di due altre società (Magiste International s.a. e Garlsson Real Estate quali obbligate in solido) un provvedimento sanzionatorio con cui irrogava la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 10.200.000,00, ai sensi dell’art. 187 ter in relazione alla condotta illecita di manipolazione del mercato.

Le sanzioni erano state irrogate per l’anomalo andamento dei titoli RCS mediaGroup s.p.a., riconducibile a condotte manipolative poste in essere da R.S. nell’ambito di una strategia tesa a richiamare l’attenzione del pubblico sui titoli in questione e, per tale via, a sostenerne le quotazioni per il perseguimento di finalità personali, sia attraverso operazioni di mercato sia attraverso informazioni diffuse al pubblico, alimentando aspettative di scalata di RCS e influendo sulla formazione dei prezzi del titolo, compiendo direttamente o per interposta persona una serie di atti volti a celare alla Consob fatti e circostanze relativi alla attività posta in essere sul titolo RCS.

La Corte di Appello di Roma riduceva la sanzione a Euro 5.000.000 e avverso tale provvedimento tutte le parti proponevano ricorso per Cassazione.

Nelle more R.S. è stato sottoposto a procedimento penale per i medesimi fatti per i quali gli era stata comminata la sanzione amministrativa, conclusosi con sentenza di patteggiamento, divenuta definitiva, con cui veniva prevista la pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, ridotta ad anni 3 per la scelta del rito e quindi, estinta per indulto ex L. n. 241 del 2006.

Sono state anche applicate al R. le pene accessorie della: a) interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di anni tre; b) incapacità di contrattare con la P.A. per anni 3, salvo che per ottenere la prestazione di un pubblico servizio, c) interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per anni 3; d) interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; e) pubblicazione della sentenza su due quotidiani di rilevanza nazionale; f) interdizione dai pubblici uffici per anni 3.

L’imputazione di cui al capo g) della sentenza di patteggiamento (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, artt. 81 e 185 e successive modifiche prevede l’accusa, nei confronti del R., quale Presidente del Consiglio di Amministrazione della Magiste International s.a. e quale dominus di fatto della Garlsson Real Estate s.a. di “diffusione di notizie false concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo RCS Mediagroup”, mediante condotte specificamente evidenziate che sono sostanzialmente le medesime contestate con la violazione amministrativa con coincidenza tra destinatario della sanzione amministrativa e soggetto sottoposto a sanzione penale.

Nell’ordinamento giuridico italiano va assimilata la sentenza di patteggiamento a quella penale di condanna, rivestendone tale sostanziale natura.

Con ordinanza interlocutoria n. 950/2015 in data 21 gennaio 2015 questa Corte dichiarava rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 ter, punto 1 alla luce della sentenza della Corte EDU del 4 marzo 2014 e alla luce l’applicazione del principio del “ne bis in idem” di cui agli artt. 2 e 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in ragione della definitività della sentenza del Tribunale penale di Roma n. 24796/08 del 10.12.2008, passata in giudicato, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 102 del 2016 in data 12 maggio 2016, dichiarava inammissibile la questione di legittimità costituzionale rilevando che la questione fosse stata formulata in maniera dubitativa e perplessa.

In particolare, la Corte costituzionale ha affermato che questa Corte avrebbe dovuto “sciogliere il nodo” dei rapporti tra concetto di ne bis idem desumibile dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte EDU, e concetto di ne bis in idem nel market abuse, come desumibile dal sistema UE. E se quest’ultima figura, come disciplinata dalla normativa UE sia direttamente applicabile nel sistema interno di uno Stato Membro (nella specie, l’Italia).

Questa Corte – giudice di ultima istanza che, in quanto tale, è tenuto a sottoporre alla Corte di giustizia UE le questioni d’interpretazione pregiudiziale della normativa Eurounitaria che dovessero essere necessarie ai fini della soluzione di una controversia – ritiene che, in considerazione della delicatezza dei temi ordinamentali coinvolti, debba essere formulato specifico quesito interpretativo alla Corte di Giustizia al fine dello scioglimento in maniera netta dei predetti nodi.

2. La normativa nazionale rilevante nella fattispecie è la seguente:

a) D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 19 e segg., (“Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e fra procedimenti”) prevedendosi che il procedimento penale e quello amministrativo procedano separati, cioè che nessuno dei due debba essere sospeso in attesa della definizione dell’altro; l’art. 21, comma 2 stesso D.Lgs., dispone che le sanzioni amministrative di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997 non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto.

La Corte di Cassazione italiana ha affermato che il principio di specialità non trova applicazione per le sanzioni amministrative e penali previste, rispettivamente, dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1 e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis (omesso versamento di ritenute certificate) e art. 10 ter (omesso versamento IVA), dovendosi, in tali ipotesi ritenere, piuttosto, la sussistenza di una progressione criminosa (così Cass. SS.UU. 37425/2013 e 40526/2014).

b) Art. 185 TUF (Manipolazione del mercato), prevede che venga punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da Euro ventimila a Euro cinque milioni – “.Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari”. (prevedendo anche il raddoppio di dette pene ai sensi dalla L. n. 262 del 2005, art. 39, comma 1).

Sotto il profilo amministrativo la L. n. 62 del 2005 ha rafforzato le competenze della Consob, cui è stata attribuita un’autonoma potestà sanzionatoria in via amministrativa, tra l’altro, delle condotte di manipolazione del mercato.

L’art. 187 ter, comma 1, TUF (Manipolazione del mercato), prevede: “.Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro ventimila a Euro cinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso Internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari”.

Il comma 3, lett. e), dell’art. 187-ter TUE, fa “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, prevedendo che le stesse sanzioni amministrative pecuniarie si applicano a chiunque pone in essere “operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi od ogni altro tipo di inganno o di espediente”.

Dall’esame comparato delle predette norme si evince la sussistenza del sistema del c.d. doppio binario tra il reato di manipolazione del mercato (art. 185 TUF) e la analoga fattispecie amministrativa (art. 187-ter TUF) essendo prevista, nei rispettivi giudizi, una duplice sanzione penale ed amministrativa, in antitesi col principio espresso dalla sentenza CEDU “Grande Stevens”, cit. sub.3, che ha, invece, affermato l’opposto ed antitetico principio del “ne bis in idem”.

Fino al 2005, le figure dell’abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione del mercato erano sanzionate esclusivamente in sede penale come delitti dagli artt. 184 e 185 del Testo unico della finanza – TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998).

Successivamente, con la legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2004), attuativa della direttiva n. 2003/6/CE (cosiddetta Market Abuse Directive, MAD), ai delitti di cui sopra sono stati affiancati due paralleli illeciti amministrativi previsti, rispettivamente, dagli artt. 187-bis (insider trading) e 187-ter (manipolazione di mercato) del novellato TUF. Gli illeciti amministrativi sono descritti in modo sovrapponibile ai corrispondenti delitti, ovvero con una formulazione tale da ricomprendere, di fatto, anche l’omologa fattispecie penale.

La sovrapposizione dell’ambito applicativo di ciascun delitto con il corrispondente illecito amministrativo è contemplata dallo stesso legislatore, come risulta dalla clausola di apertura degli artt. 187-bis e 187-ter “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato”, che, in tal modo, stabilisce, da un punto di vista sostanziale, il cumulo dei due tipi di sanzioni.

Il diritto dell’Unione Europea in materia di abusi di mercato è stato profondamente innovato attraverso il regolamento 16 aprile 2014, n. 596/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE, il quale, oltre a prevedere l’abrogazione della direttiva n. 2003/6/CE con effetto dal 3 luglio 2016, ha stabilito, all’art. 30, comma 1, che gli Stati membri possono decidere di non comminare sanzioni amministrative per abusi che siano già soggetti a sanzioni penali nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016, data entro la quale dovrà essere recepita la nuova direttiva 16 aprile 2014, n. 2014/57/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alla sanzioni penali in caso di abusi di mercato. Quest’ultima direttiva capovolge i rapporti tra sanzioni penali e amministrative per gli abusi di mercato, privilegiando le prime rispetto alle seconde.

L’abrogata direttiva 2003/6/CE (c.d. Market Abuse Directive – MAD) in materia di abusi di mercato imponeva agli Stati membri l’obbligo di adottare sanzioni amministrative – “effective, proportionate and dissuasive” – lasciando loro la facoltà di prevedere nel contempo anche sanzioni penali – cd. “sistema a doppio binario” – in forza del quale, in caso di convergenza dei medesimi fatti, l’illecito penale concorre con il corrispondente illecito amministrativo, con conseguente cumulo delle rispettive sanzioni, in deroga al principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9.

Il sistema del doppio binario è anche previsto dall’art. 187-duodecies del TUF (Rapporti tra procedimento penale e procedimento amministrativo e di opposizione), prevedendosi che “il procedimento amministrativo di accertamento e il procedimento di opposizione di cui all’art. 187-septies non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione”.

L’art. 187 terdecies del TUF (Esecuzione delle pene pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie nel processo penale prevede, al comma 1, che “quando per lo stesso fatto è stata applicata a carico del reo o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 187-septies….la esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall’Autorità amministrativa”.

La medesima garanzia del principio “ne bis in idem” in ambito nazionale, è riconosciuta, ma solo in ambito penale, dall’art. 649 c.p.p., rubricato “Divieto di un secondo giudizio”, il quale prescrive che “L’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli artt. 69, comma 2, e art. 345”.

3. In tale contesto rileva questa Suprema Corte, sulla scorta della giurisprudenza comunitaria, che la mancata previsione nell’ordinamento nazionale dell’allargamento del principio “ne bis in idem” anche ai rapporti tra sanzione penale e amministrativa di natura penale appare non conforme ai principi unionali, non ritenendosi più ammissibile, in base ai principi sovranazionali la previsione del doppio binario e, quindi della cumulabilità tra sanzione penale e amministrativa, applicata in processi diversi, qualora quest’ultima abbia natura di sanzione penale,

Si ritiene, quindi, che la celebrazione e la definizione del presente procedimento amministrativo possano rappresentare una violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 50 CDFUE (“Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”) in forza della pronuncia della Corte Europea:

a) Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 26/2/2013 nella causa C – 617/10, Aklagaren c. Hans Akelberg Fransson, secondo cui una combinazione di sanzioni amministrative e penali per le medesime violazioni in materia di obblighi dichiarativi sarebbe astrattamente compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall’art. 4 del protocollo 7 CEDU e dal citato art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, salvo che la sanzione amministrativa non debba essere in concreto ritenuta di natura penale all’esito della valutazione rimessa al giudice nazionale.

In sede di diritto internazionale pattizio, il principio del “ne bis in idem”, è sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, rubricato “Diritto di non essere giudicato o punito due volte”, il quale, al comma 1, dispone che “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato”, ed è riconosciuto dalle seguenti pronunce:

a) sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. 2, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens ed altri c. Italia) che afferma il principio del ne bis in idem alla luce dell’art. 4, par. 1, del Protocollo n. 7 della CEDU, il quale vieta la duplicazione di giudizi penali e amministrativi e, conseguentemente, la doppia applicazione di sanzioni penali nei confronti dei medesimi soggetti e per i medesimi fatti oggetto di sentenza passata in giudicato.

Ancorchè nella indicata pronuncia si faccia riferimento, ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem tra condanna definitiva penale e amministrativa (relativa ad una fattispecie analoga, ma non simile, in quanto, nella fattispecie oggetto di esame da parte della CEDU trattavasi di sentenza penale successiva a giudicato sulla sanzione amministrativa e non viceversa, come nel presente giudizio in cui si è esaurito prima il giudizio penale rispetto a quello amministrativo ancora sub iudice), appare evidente che il principio espresso dalla CEDU sia bidirezionale trovando applicazione sia nel caso di sanzione amministrativa precedente a quella penale sia nel caso inverso.

In particolare, per quanto di interesse nel presente giudizio, la CEDU, nella citata sentenza, ha rilevato che:

a) al fine di stabilire se i fatti su cui si è formato il giudicato sono da considerarsi i medesimi per i quali si procede in altro giudizio, occorre aver riguardo non al fatto inteso in senso giuridico, ossia alla fattispecie astratta descritta dagli artt. 187-ter e 185 TUF, ma al fatto in senso storico-naturalistico, ossia alla fattispecie concreta oggetto dei due procedimenti, a prescindere dagli elementi costitutivi rispettivamente previsti dai menzionati articoli (cfr anche Sergey Zolotukin contro Russia del 10 febbraio 2009);

b) il presupposto al quale è collegata l’efficacia preclusiva di un nuovo giudizio sullo stesso fatto storico è costituito dal passaggio in giudicato del provvedimento che definisce uno dei due procedimenti riconducibili alla materia penale;

c) le sanzioni irrogate dalla Consob per la fattispecie di manipolazione del mercato di cui all’art. 187-ter TUF, benchè formalmente qualificate come amministrative dall’ordinamento italiano, debbono essere ricondotte alla “materia penale” agli effetti dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, e ciò in ragione sia della “natura dell’illecito” (ossia della rilevanza dei beni protetti e della funzione anche deterrente della fattispecie in questione) sia della natura e del grado dl severità delle sanzioni (pecuniarie ed interdittive) previste dalla legge e concretamente comminate ai ricorrenti.

Appare chiaro l’orientamento dei giudici di Strasburgo di rimproverare agli organi giurisdizionali la mancata disapplicazione di un principio (ne bis in idem) che il legislatore nazionale ha introdotto in materia penale ma non nei rapporti tra sanzione amministrativa di natura penale e sanzione penale.

Nella citata sentenza “la Corte rammenta la sua consolidata giurisprudenza ai sensi della quale, al fine di stabilire la sussistenza di una “accusa in materia penale”, occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della “sanzione” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, p. 82, serie A n. 22). “Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinchè si possa parlare di “accusa in materia penale” ai sensi dell’art. 6 p. 1, è sufficiente che il reato in causa sia di natura “penale” rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della “materia penale”. Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale” (Jussila c. Finlandia (GC), n. 73053/01, p.p. 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, p. 31, CEDU 2007-IX (estratti)”.

Deve, alla luce del principio del ne bis in idem, considerarsi penale la sanzione che sia qualificata tale dalla norma che la prevede e in caso di sanzioni amministrative, si deve tener conto della natura della violazione o della natura, scopo e gravità della sanzione (sul tema, CEDU sent. causa C-199/92 del 1999 Huls/Commissione; 8 giugno 1976 Engel ed altri contro Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; sentenza 21 febbraio 1984 Ozturk c. Germania, serie A n. 73, par.53; sentenza Lutz contro Germania, serie A n. 123, par. 54).

b) Sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, IV Sezione, del 20/5/2014 nella causa Nykanen contro Finlandia, secondo cui deve essere qualificata di natura penale (sulla base dei notori “Engel criteria”) la sovrattassa di 1.700 Euro applicata in sede amministrativa al ricorrente e divenuta definitiva prima dell’instaurazione del procedimento penale per frode fiscale, conclusosi con sentenza di condanna a pena detentiva;

c) Sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, 5 Sezione, del 27/11/2014 nella causa Lucky Dev contro Svezia, che ha fornito l’interpretazione del concetto di “stesso fatto” (“same offence”).

Si precisa che l’art. 4 del protocollo 7 non vieta la contemporanea apertura e svolgimento di procedimenti paralleli per lo stesso fatto, sanzionando soltanto la mancata interruzione degli altri nel momento in cui uno di essi è divenuto definitivo.

L’art. 4 del Protocollo n. 7 vieta, infatti, l’instaurazione di procedimenti consecutivi qualora il primo di essi sia già divenuto definitivo nel momento in cui prende abbrivio il secondo. Tale norma non preclude, invece, lo sviluppo di giudizi paralleli, tra loro concorrenti: in questa situazione non si può, infatti, ritenere che l’imputato venga nuovamente processato “per un reato per il quale era già stato assolto o condannato”. va,invece, riscontrata la violazione del “ne bis in idem” laddove il secondo procedimento non venga interrotto in seguito alla definitiva conclusione del primo.

d) Sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo della Grande Camera del 10 febbraio 2009 nella causa Sergey Zolotukin contro Russia in cui si afferma che ciò che conta ai fini dell’applicazione del divieto del ne bis in idem convenzionale è l’identità del fatto, naturalisticamente inteso, al di là di eventuali diversità degli altri elementi costitutivi della fattispecie penale e di quella amministrativa:per l’individuazione della stessa offesa (same offence), cioè dell’identità del fatto, non occorre che si debbano equiparare le fattispecie (penale e amministrativa) astratte, ma occorra fare riferimento al fatto storico-naturalistico, a prescindere dagli altri elementi costitutivi delle fattispecie.

Alla luce di tali principi nel caso di specie la condotta addebitata al R. è la stessa sia nel processo penale che in quello amministrativo.

4. Non sussistono, inoltre, dubbi, alla luce dei principi CEDU, ai fini della applicazione del principio del “ne bis in idem”, della natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa effettivamente comminata (Euro 5.000.000) afflittiva e munita di funzione deterrente, caratteristiche che alla luce della sentenza Fransson della Corte di Giustizia devono essere apprezzate dal giudice nazionale.

Specifica, peraltro, la Cedu, che il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata (Engel ed altri sopra citata) e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta (c.d. pena in concreto inflitta) (ancora sent Grande Stevens city. Sulla base delle argomentazioni sopra svolte, la obbligatorietà delle sanzioni amministrative, aventi natura afflittiva, nel sistema degli illeciti di market abuse è configgente col sistema del c.d. divieto del ne bis in idem, così come interpretato dal diritto unionale, allorchè venga preliminarmente emessa una sanzione penale preclusiva alla comminatoria della sanzione amministrativa.

Il principio del “ne bis in idem” sancito dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Cedu), vieta tout court di sanzionare, in diversi processi, due volte lo stesso illecito, impedendo allo stato membro di comminare una violazione amministrativa di natura penale in presenza di comminatoria di una sanzione penale per gli stessi fatti, o viceversa; la condanna ad una sanzione penale rende, quindi, illegittima la successiva sanzione amministrativa di natura penale per gli stessi fatti.

La mancata previsione dell’allargamento del principio “ne bis in idem” anche ai rapporti tra sanzione penale e amministrativa di natura penale appare non conforme ai principi unionali, ritenendosi contraria ai principi sovranazionali sanciti dalla CEDU la previsione del doppio binario e, quindi della cumulabilità tra sanzione penale e amministrativa, applicata in processi diversi, qualora quest’ultima abbia natura di sanzione penale.

Va sospeso il processo e rinviati gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del vigente Trattato sul funzionamento dell’Unione, affinchè chiarisca se: a) la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretata alla luce dell’art. 4 prot n. 7 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile, nei termini di cui in motivazione; b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base all’ art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU,della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale.

PQM

visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, Dispone il rinvio degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, formulando la seguente questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione:

a) se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto (condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile;

b) se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base all’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU,della relativa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale.

Dispone la sospensione del procedimento fino alla pronuncia della Corte di Giustizia Manda alla Cancelleria per la trasmissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del presente provvedimento e degli atti di causa mediante plico raccomandato indirizzato alla Cancelleria della Corte di Giustizia Rue du Fort Niedergrunewald, L – 2925, Lussemburgo.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2016

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