Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20668 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 31/07/2019, (ud. 20/11/2018, dep. 31/07/2019), n.20668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20638-2017 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA

20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, rappresentato e

difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se

medesimo;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di TORINO, depositata il

01/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 22.03.2017 l’avv. Giuseppe Prencipe ha richiesto che il tribunale di Torino pronunciasse condanna dell’avv. Massimo Grattarola al pagamento di Euro 2089 oltre oneri fiscali e anticipazioni esenti, nonchè interessi, per prestazioni defensionali a favore di clienti della controparte. L’avv. Grattarola si è costituito eccependo il sussistere da lungo tempo di accordo di reciprocità di collaborazione prevedente la rinuncia a esigere differenziali, se non nei confronti dei clienti.

2. Con ordinanza notificata il 06.06.2017 il tribunale di Torino in composizione collegiale ha condannato il resistente al pagamento di Euro 2089 oltre oneri fiscali e interessi.

3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione “ex art. 111 c.p.c.” (rectius, Cost.) l’avv. Massimo Grattarola su quattro motivi, illustrati successivamente da memoria. Ha resistito con controricorso l’avv. Giuseppe Prencipe.

4. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha come segue condiviso la medesima proposta del relatore.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Deve preliminarmente rilevarsi come emerga che la decisione impugnata, in forma di ordinanza, sia stata resa da collegio del tribunale di Torino all’esito di altra controversia instaurata da studio legale associato, nella quale era stata dichiarata la carenza di titolarità del credito in capo all’associazione; la presente controversia è stata successivamente instaurata personalmente dall’avv. Giuseppe Prencipe, sempre con ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, depositato il 22 marzo 2017. Ciò posto, pur tenuto conto che l’art. 14 cit., fa riferimento alle “controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28”, e quindi a quelle “per la liquidazione” delle spettanze degli avvocati “nei confronti del proprio cliente” (così l’incipit di tale norma), poichè la domanda giudiziale è stata proposta e definita dal giudice secondo le forme del predetto art. 14, nell’ambito delle quali – giusta il comma 4 – l’ordinanza pronunciata è “non appellabile”, deve ritenersi ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ciò su cui del resto le parti non sollevano questioni; tanto in virtù del principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale deve essere effettuata, in base al principio dell’apparenza, esclusivamente sulla base della qualificazione dell’azione compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza (cfr. Cass. sez. U, n. 4617 del 25/02/2011 e Cass. n. 17408 del 12/10/2012 e n. 13381 del 26/05/2017).

2. Con il primo e il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2721 c.c., per il secondo deducendosi in aggiunta anche violazione dell’art. 157 c.p.c. Nel primo mezzo, richiamandosi la circostanza che il tribunale non ha ammesso prova per testi perchè – come eccepito dall’avv. Prencipe – tesa a dimostrare un contratto di valore economico notevole, si deduce l’insussistenza di un tale valore economico notevole, trattandosi di accordo quadro e rilevando non già i crediti verso clienti, ma i differenziali; i singoli contratti andrebbero poi valutati singolarmente e alla luce della loro stipula verbale, circostanza idonea a derogare rispetto al limite; inoltre si deduce che le fatture nulla proverebbero circa il pactum de non petendo. Si indica altresì, con la memoria, che la discrezionalità del giudice sarebbe sindacabile in cassazione, essendo stata fornita motivazione erronea. Con il secondo mezzo si contesta come erronea l’applicazione del divieto di cui all’art. 2721 c.c., anche ai capitoli di prova testimoniale tendenti a far emergere non già l’esistenza, ma il contenuto del contratto. Soprassedendosi per il momento dalla disamina del terzo motivo, va richiamato poi che con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 245 c.p.c., contestandosi come erronea la decisione del giudice del merito di non ammettere due capitoli di prova testimoniale, dedotti a sostegno dell’applicazione dell’art. 30 del codice deontologico forense del 1997, in vigore fino al 2014, che obbligherebbe l’avvocato che incarichi altro collega di esercitare funzioni di rappresentanza o assistenza a retribuirlo.

2.1. I tre motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Il primo e il quarto motivo sono inammissibili, mentre il secondo è infondato.

2.2. Invero secondo la giurisprudenza di questa corte è discrezionale (cfr. ad es. Cass. n. 11889 del 22/05/2007) la scelta dell’ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 c.c. Il ricorrente il quale lamenta il mancato uso da parte del giudice di merito del potere discrezionale di derogare al limite di valore di cui all’art. 2721 c.c., ha l’onere di indicare le circostanze pretermesse dal giudice, che reputa determinanti ai fini dell’ammissibilità del mezzo istruttorio: nel caso di specie il ricorrente ha sostenuto che l’importanza economica del contratto sarebbe sminuita dalla natura “quadro” di esso, essendo rilevanti economicamente solo i singoli rapporti, peraltro da riferirsi ai differenziali. Ma è evidente che così non è, in quanto – secondo l’accertamento insindacabile del giudice del merito, come da ordinanza trascritta nel motivo di ricorso esso ha comunque “notevole rilevanza economica”, trattandosi di contratto programmatico senza limitazione di durata, che inesattamente il ricorrente vorrebbe parcellizzare in relazione ai singoli contesti; ciò, peraltro, a fronte dell’assenza di ragioni per operare la deroga di cui all’art. 2721 cit., comma 2. Il primo motivo, in tale contesto, solo apparentemente si volge a dedurre una violazione di legge: in sostanza, esso si traduce in una non ammissibile istanza di rivalutazione di tale apprezzamento di merito, adeguatamente motivato (a fronte comunque di assenza di deduzioni di vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2.3. Quanto al riferimento, operato nel secondo motivo, al dato per cui l’art. 2721 c.c., impedirebbe solo la prova per testi sulla conclusione e sull’esistenza del negozio, è evidente come la stessa ragione di inammissibilità si estenda al suo contenuto, essendo inutile peraltro la seconda prova senza la prima. In ordine, poi, al richiamo giurisprudenziale operato dal ricorrente (a Cass. n. 8236 del 24/05/2012 che ripropone in parte qua Cass. n. 16538/2009; e più recentemente v. n. 3336 del 19/02/2015) al principio per cui i limiti di ammissibilità della prova testimoniale stabiliti, con riferimento ai contratti, dall’art. 2721 c.c., sono relativi solo all’esistenza del contratto stesso, va chiarito che – come specificano gli stessi dati giurisprudenziali anzidetti – ciò vale a rendere ammissibili le prove per testi della conclusione dei contratti considerati come meri fatti storici influenti sulla decisione, ciò che non è quando il contratto sia invocato, come nel caso di specie, come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti. Ne discende l’infondatezza del secondo motivo.

2.4. Nessuna specifica doglianza, nell’ambito del secondo motivo, è riferita al disposto dell’art. 157 c.p.c., in tema di nullità, pur invocato in intestazione del mezzo.

2.5. E’ inammissibile il quarto motivo. Al di là del generico riferimento all’art. 245 c.p.c., in tema di ordinanza di ammissione, con il mezzo in sostanza si censura la decisione del giudice del merito che ha affermato che le prescrizioni del codice deontologico del 1997, in vigore fino al 2014, che obbligherebbe l’avvocato che incarichi altro collega di esercitare funzioni di rappresentanza o assistenza a retribuirlo, varrebbero solo nel relativo ambito, cioè quello deontologico, e non in quello civilistico. A sostegno del motivo il ricorrente ha meramente richiamato una pronuncia giurisprudenziale (Cass. sez. U n. 10875 del 30/04/2008); ma tale richiamo non è pertinente rispetto alla ratio decidendi, ciò cui consegue la predetta inammissibilità. Infatti l’invocato precedente ha affermato esattamente ciò che il ricorrente avrebbe avuto interesse a contrastare, e precisamente il principio per cui “le norme del codice deontologico nella cui violazione si sostanzia l’illecito disciplinare costituiscono esplicitazioni dei principi generali contenuti nella legge professionale forense e assumono il rango di norme di diritto, la cui interpretazione costituisce una quaestio iuris come tale prospettabile dinanzi al giudice di legittimità” (sottolineatura aggiunta). Da ciò si evince l’operatività delle norme del codice deontologico a fini disciplinari.

2.6. La conseguenza dell’inammissibilità del mezzo per mancanza di pertinenza rispetto alla ratio decidendi consente di superare ogni altro rilievo di ammissibilità; in particolare potendosi non esaminare se sussistesse un nesso giuridicamente rilevante (affermato nel mezzo, e in qualche modo già fatto proprio dalla sentenza impugnata) tra l’esistenza dell’obbligo dell’avvocato di retribuire il collega dal primo incaricato – obbligo comunque desumibile dal sistema – e la doglianza relativa alla mancata ammissione della prova su solleciti di pagamento.

3. E’ poi inammissibile il terzo motivo, con cui si deduce violazione dell’art. 702 bis c.p.c., in relazione all’art. 101 c.p.c., lamentandosi l’avvenuta ammissione di produzione documentale (fatture) in udienza, dopo la costituzione del ricorrente nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c., senza assegnarsi un termine alla parte resistente per dedurre in contrario.

3.1. L’inammissibilità discende dal fatto che il motivo, che fa riferimento a un verbale relativo ad un’udienza non meglio indicata e alla descrizione dei documenti contenuti in detto verbale, è carente della trascrizione integrale del verbale stesso e, soprattutto, dell’eventuale tempestiva eccezione della parte circa l’asserita irritualità dell’ammissione e del provvedimento assunto dal giudice (ciò che appare rilevante ancor più, atteso che la parte controricorrente deduce che i documenti furono prodotti in controprova). La mancanza di tali dati – a fronte della natura relativa della nullità in questione e della sanatoria conseguente alla mancata proposizione di tempestiva eccezione – impedisce una valutazione di questa corte, risolvendosi il motivo in un mezzo privo di specificità.

3.2. Tanto supera ogni valutazione in ordine al sussistere o no di preclusioni alle produzioni documentali nel procedimento speciale di cui trattasi.

4. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis .

PQM

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 1.300 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15/0 e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA