Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20665 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 31/07/2019), n.20665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 14361/2017 r.g. proposto da:

P.N., (cod. fisc. (OMISSIS)), in proprio, ed

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Gracchi n. 60, presso il

suo studio professionale;

– ricorrente –

contro

TRIBUTI ITALIA s.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona

del commissario straordinario pro tempore Dott. V.L.;

– intimata –

avverso il decreto emesso dal Tribunale di Roma, depositato in data

12 maggio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/7/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

SOLDI Anna Maria, che ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo

di ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Rachele Valeria Putignano, che ha

chiesto accogliersi il proprio ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sull’opposizione allo stato passivo proposta da P.N. nei confronti della AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA TRIBUTI ITALIA S.P.A. in riferimento al provvedimento emesso dal g.d. (con il quale il creditore istante, quale difensore dei lavoratori che avevano a loro volta presentato istanza di insinuazione al passivo, era stato ammesso per la minor somma pari ad Euro 6.250 in privilegio, in relazione all’onorario maturato per la predisposizione delle domande di insinuazione al passivo ed era stato invece escluso per Euro 9.047, per il compenso liquidato nei decreti ingiuntivi posti alla base delle insinuazioni al passivo) – ha dichiarato inammissibile la proposta opposizione, confermando, in tal modo, il provvedimento impugnato.

Il tribunale ha ritenuto tardiva la produzione documentale dell’opponente in quanto depositata dopo il maturare dei termini decadenziali previsti dalla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, documentazione riguardante la correzione di errore materiale dei decreti ingiuntivi contenenti la liquidazione giudiziale dei compensi professionali di cui si chiedeva la insinuazione al passivo; ha, comunque, ritenuto irrilevante tale produzione documentale perchè la correzione dei provvedimenti monitori non poteva superare il profilo della mancanza di attestazione giudiziale di definitività delle ingiunzioni di pagamento, come previsto dall’art. 647 c.p.c.. Il tribunale ha infatti ricordato che il decreto ingiuntivo è opponibile alla procedura concorsuale solo qualora diventi definitivo prima della dichiarazione di fallimento ovvero dell’apertura della procedura concorsuale e che nel caso di specie le attestazioni di definitività non erano state sottoscritte dal giudice della procedura monitoria, ma solo dal cancelliere; ha precisato tuttavia che solo per tre decreti ingiuntivi, emessi dal giudice del lavoro del tribunale di Bari, risultava l’apposizione corretta della definitiva esecutorietà e, dunque, del passaggio in giudicato del provvedimento di condanna al pagamento in favore dei lavoratori; ha però evidenziato che, nonostante l’odierno ricorrente avesse chiesto la distrazione delle somme liquidate per il compenso professionale, i decreti ingiuntivi avevano disatteso tale richiesta, liquidando il compenso in favore direttamente dei creditori e che pertanto l’odierno ricorrente difettava del presupposto della legittimazione attiva per richiedere direttamente l’insinuazione al passivo, non essendovi un provvedimento di distrazione delle spese giudiziali emesso precedentemente all’apertura della procedura concorsuale.

2. Il decreto, pubblicato il 12 maggio 2017, è stato impugnato da P.N. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione straordinaria intimata non ha svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutoria datata 18 dicembre 2018 la Sesta Sezione-Prima di questa Corte ha rimesso la causa alla discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 475 codice di rito e artt. 124 e 153 disp. att. medesimo codice. Osserva il ricorrente che lo stesso giudice delegato, in sede di verifica del passivo, aveva escluso l’ammissione dei crediti portati dai predetti decreti ingiuntivi perchè mancanti della sottoscrizione del giudice nell’attestazione della definitiva esecutività dei titoli monitori e che, in mancanza di ulteriori contestazioni giudiziali e di rilievi giudiziali, i provvedimenti di ingiunzione dovevano dunque essere considerati passati in giudicato e dunque idonei, sulla base dell’attestazione del cancelliere, a provare l’esistenza del credito e la sua idoneità ad essere ammesso al passivo fallimentare.

2. Con il secondo motivo si articola, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione dell’art. 287 c.p.c.. Si osserva che la mancata statuizione sulla distrazione delle spese di giustizia costituisce un tipico errore materiale emendabile con la procedura di correzione di errore materiale ai sensi dell’art. 287 c.p.c. e che la produzione della documentazione attestante l’intervenuta correzione dei provvedimenti monitori doveva ritenersi ammissibile, al di là del limite decadenziale di cui alla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, sia perchè devono ritenersi parte integrante degli originari decreti ingiuntivi tempestivamente depositati sia perchè la mancata distrazione delle spese nelle ingiunzioni di pagamento era stata sollevata come questione per la prima volta dal giudice dell’opposizione e d’ufficio.

3. Con il terzo motivo di denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 647 c.p.c., in relazione alla definitività delle statuizioni contenute nei decreti ingiuntivi non oggetto di opposizione.

4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa valutazione della certificazione in ordine alla esistenza della attestazione giudiziale di esecutorietà dei decreti ingiuntivi ai sensi dell’art. 647 c.p.c..

5. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

5.1 Il primo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, richiedendo la disamina della medesima questione giuridica.

Le censure sono in realtà infondate.

Sul punto è necessario ricordare la granitica giurisprudenza espressa da questa Corte secondo la quale, in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c., venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi della L. Fall., art. 52 (Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 25191 del 24/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 2112 del 31/01/2014; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; cfr. inoltre: Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202; Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553; Cass. 13 marzo 2009, n. 6198; Cass. 26 marzo 2004, n. 6085).

Nè rileva che il decreto ingiuntivo fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice che lo ha emesso, a norma dell’art. 642 c.p.c., giacchè, per quanto osservato, il passaggio in giudicato del provvedimento non si compie prima della spendita dell’attività giurisdizionale di cui all’art. 647 c.p.c., la quale – come è del tutto evidente – risulta necessaria anche nel caso in cui il provvedimento monitorio sia stato reso esecutivo in via provvisoria. E’ del resto incontestabile che il decreto provvisoriamente esecutivo non è equiparabile alla sentenza non ancora passata in giudicato (di cui alla L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3), la quale viene pronunciata nel contraddittorio delle parti, ed è, come tale, totalmente privo di efficacia nei confronti del fallimento (Cass. 27 maggio 2014, n. 11811, per il caso di dichiarazione di fallimento sopravvenuta nel corso del giudizio di opposizione).

Ciò posto, emerge in modo incontestabile dalla lettura del provvedimento impugnato che – con la sola esclusione di tre decreti ingiuntivi (quelli emessi dal giudice del lavoro del Tribunale di Bari e di cui ai nn. 1469/2010, 1464/2010 e 1465/2010) – i restanti provvedimenti monitori erano tutti sprovvisti dell’attestazione giudiziale di definitività ai sensi dell’art. 647 c.p.c., emessa prima dell’apertura della procedura concorsuale giacchè le relative attestazioni erano state sottoscritte dal cancelliere e non già dal giudice della procedura monitoria.

Ne consegue l’inopponibilità dei titoli giudiziali alla procedura concorsuale, come già correttamente rilevato dal Tribunale di Roma.

5.2 Il secondo motivo è invece fondato.

Occorre in primo luogo premettere come debba ritenersi rituale la decisione del Tribunale di Roma nella parte in cui ha rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione attiva dell’odierno ricorrente, evidenziando come i decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale del Lavoro di Bari (e di cui ai nn. 1469/2010, 1464/2010 e 1465/2010) non recassero la distrazione delle spese. Ed invero, occorre fornire continuità applicativa all’orientamento secondo cui non incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c., il tribunale che, esercitando il proprio potere d’ufficio di accertare la fondatezza della domanda proposta, rigetti l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore, dovendo l’accertamento sulla esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice “ex officio” in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alle risultanze “rite et recte” acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (cfr. anche Cass. n. 29572/2013).

Nel resto la decisione del tribunale capitolino non è invece condivisibile, proprio in relazione alla doglianza qui ora in esame.

Deve, in primo luogo, ritenersi pacifico che, nel corso del procedimento L. Fall., ex art. 98, l’Avv. Putignano avesse depositato i decreti di correzione dei predetti decreti ingiuntivi in virtù dei quali era stato precisato come egli fosse distrattario delle spese processuali liquidate.

Del resto, è pacifico, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, come sia necessario il provvedimento di distrazione delle spese per far sorgere il diritto del difensore, dichiaratosi antistatario, alla liquidazione diretta in suo favore delle spese di giustizia (Sez. 3, Sentenza n. 21070 del 01/10/2009 Sez. U, Sentenza n. 16037 del 07/07/2010).

Ciò detto, deve ritenersi che i decreti di correzione di errore materiale, quantunque prodotti tardivamente e solo nella fase di opposizione, potessero consentire di accogliere la domanda di ammissione al passivo per la parte di credito qui in discussione.

Militano in tal senso due ordini di considerazioni.

In primo luogo, i predetti decreti di correzione risultano essere stati formati dopo la instaurazione del giudizio di opposizione e dunque deve ritenersi ammissibile la loro produzione ed utilizzazione ai fini decisori ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., istituto applicabile anche al procedimento di opposizione allo stato passivo in quanto espressione generale del principio di salvaguardia del contraddittorio e del diritto di difesa.

In secondo luogo, deve ritenersi che, in virtù dei decreti di correzione, sebbene “postumi” alla formulazione della domanda di insinuazione al passivo, si sia sanato il difetto di legittimazione attiva dell’odierno ricorrente.

5.3 Il quarto motivo è inammissibile.

Si denuncia invero un vizio percettivo riconducibile nell’ambito del vizio revocatorio. Non può infatti sostenersi che il vizio percettivo possa essere rilevato in questa sede con l’odierno ricorso per cassazione posto che non è discutibile come sia applicabile l’art. 395 c.p.c., n. 4, anche al provvedimento reso in sede di opposizione allo stato passivo.

Depone in tal senso il rilievo secondo cui l’opposizione allo stato passivo, pur se non assimilabile ad un appello e nonostante le indubbie peculiarità che lo caratterizzano, costituisce pur sempre un giudizio contenzioso ordinario.

Conforta tale conclusione anche il fatto che sono impugnabili con la revocazione anche le decisioni emanate in unico grado (cfr. anche Cass. 12562/2019).

La decisione sulle spese del giudizio di legittimità è demandata al giudice del rinvio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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