Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20663 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/09/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 29/09/2020), n.20663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34960-2018 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA NAPOLEONI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA GAMBOGI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1423/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE, depositata il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008 con il quale l’amministrazione recuperava a tassazione un reddito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, cioè attraverso una ricostruzione sintetica del reddito medesimo, effettuata partendo dalle spese sostenute dalla stessa;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della parte contribuente rilevando in particolare che non risulta provato che gli apporti di denaro costituiscano erogazioni liberali del suo ex compagno prive di natura reddituale: non risulta infatti esplicitata la provenienza degli accrediti;

la società ricorrente proponeva ricorso affidato ad un motivo di impugnazione e con memoria depositata in prossimità dell’udienza insisteva per l’accoglimento del ricorso mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contribuente denuncia omesso esame delle sentenze penali prodotte in atti integranti fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

ritenuto che il motivo è inammissibile, sia per difetto di autosufficienza del ricorso sia per difetto della prova che tali sentenze siano state oggetto di discussione tra le parti sia per difetto della prova della decisività del fatto asseritamente omesso;

considerato, quanto al difetto di autosufficienza e alla circostanza che tali sentenze siano state oggetto di discussione tra le parti che, secondo questa Corte, qualora il ricorrente, come nel caso di specie, denunci in sede di legittimità l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. n. 13625 del 2019);

considerato, quanto al difetto della prova della decisività del fatto decisivo, che, secondo questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, con riferimento alla determinazione sintetica del reddito complessivo netto in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (cd. redditometro), la prova contraria ivi ammessa, richiedendo la dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, implica un riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori, atteso che la presunzione del loro concorso alla produzione del reddito trova fondamento, ai fini dell’accertamento suddetto, nel vincolo che li lega (Cass. n. 30355 del 2019) e quindi non anche i conviventi (ex o meno);

ritenuto infatti che l’art. 38 cit. richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, occorrendo che il contribuente dimostri che debba escludersi che i suddetti redditi siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertati, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati (Cass. n. 7389 del 2018; Cass. n. 14063 del 2020);

considerato che la mera “prassi familiare” di erogazione di liberalità da parte dei genitori a favore dei figli costituisce un fatto solo probabile e, quindi, non integra un fatto notorio (nella specie, relativa ad accertamento IRPEF, la Cassazione ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto la gratuità della cessione di una quota di società da parte del padre alla figlia argomentando solo dal rapporto di parentela tra i titolari del rapporto: Cass. n. 14063 del 2014; Cass. n. 14063 del 2020);

in tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica (Cass. n. 14063 del 2020; Cass. n. 7757 del 2018; Cass. n. 1510 del 2017);

in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento (Cass. n. 14063 del 2020; Cass. n. 1332 del 2016);

considerato che la CTR si è attenuta ai suddetti principi laddove ha considerato che, quand’anche una volta rilevato che i redditi della contribuente provenivano dal di lei (ex) convivente, sarebbe comunque spettato ugualmente a lei la dimostrazione che tali redditi non fossero suscettibili di imposizione fiscale, non essendo stato da lei provato che su tali redditi erano state già pagate le imposte o che per qualsiasi altro motivo tali imposte non avrebbero dovute essere pagate;

considerato pertanto che, in questo quadro fattuale e giuridico appena descritto, l’eventuale mancata considerazione di sentenze di condanna della contribuente in sede penale, anche a voler prescindere dalla circostanza della mancata prova che tali sentenze siano state oggetto di discussione fra le parti come richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non si impone certo con il carattere della decisività che solo permetterebbe l’ammissibilità del motivo di impugnazione dal momento che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento: ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. n. 16812 del 2018);

ritenuto pertanto che il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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