Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20663 del 07/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 07/10/2011), n.20663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34379/2006 proposto da:

REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato CONTALDI Mario, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALLO CARLO EMANUELE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato PROSPERETTI Marco, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOMASSETTI DOMENICO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1904/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/12/2005, r.g.n. 1877/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito l’Avvocato TOMASSETTI DOMENICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale. Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24 novembre 2005 la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Aosta del 4 ottobre 2004 che ha condannato la Regione Autonoma Valle d’Aosta al pagamento in favore di M.L. di un’indennità pari al 50% della retribuzione globale di fatto percepita nel periodo 16 agosto 2001 – 10 agosto 2003 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.

La Corte territoriale ha rigettato l’appello della Regione Autonoma Valle d’Aosta disattendendo l’eccezione di inammissibilità della domanda della lavoratrice affermando che questa non ha contestato che l’incarico di Capo Servizio Controllo di Gestione attribuitole dalla Giunta con la delibera del 6 agosto 2001 comportasse lo svolgimento di funzioni dirigenziali, e non ha quindi chiesto la valutazione nel merito dell’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, ma ha proposto una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione del diritto all’espletamento dell’incarico attribuito; lesione concretizzatasi nella sostanziale inattività a cui la lavoratrice sarebbe stata costretta dal comportamento datoriale. Nel merito la stessa Corte d’Appello ha considerato che la pretesa risarcitoria trova il suo fondamento nella L.R. n. 45 del 1995, art. 49, che attribuisce ad ogni dipendente il diritto ad essere adibito alle mansioni proprie della qualifica. La corte territoriale ha pure considerato che, all’esito delle espletate prove testimoniali, è emerso che la M. non è stata posta in grado di svolgere le funzioni attribuitele in quanto non erano stati assegnati al servizio controllo di gestione a lei affidato nè personale nè risorse finanziarie, ed ha concluso affermando che l’attribuzione di un incarico dal punto di vista formale dirigenziale ma nella realtà privo di contenuto professionale lede il diritto del dirigente a vedersi conferire un incarico di funzione dirigenziale. Quanto alle conseguenze economiche, la Corte d’Appello ha aderito all’orientamento della Corte di Cassazione che riconosce la sussistenza di un danno da demansionamento anche in mancanza della prova di uno specifico pregiudizio di natura patrimoniale. Infine la Corte d’Appello ha rigettato anche l’appello incidentale della lavoratrice che chiedeva la liquidazione del danno nella misura del 100% della retribuzione percepita nel periodo di demansionamento, condividendo il criterio equitativo adottato dal giudice di primo grado sulla base della gravità del demansionamento stesso e della sua limitata durata.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Regione Autonoma Valle d’Aosta con due motivi chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Torino impugnata ed il rigetto della domanda svolta dalla M..

La M. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 1, con riferimento all’art. 37 citato codice, agli artt. 111 e 113 Cost., alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E), ed al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, sostenendo che quanto lamentato dalla M. atterrebbe all’organizzazione amministrativa rispetto alla quale non vi sarebbe possibilità di controllo in sede giurisdizionale ordinaria.

Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, all’art. 429 del citato codice, ed agli artt. 1218, 1223 e 2967 cod. civ.. In particolare la ricorrente lamenta la violazione della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui dalla lesione della professionalità non consegue automaticamente un danno, incombendo comunque al lavoratore l’onere della prova del danno subito in base alla regola generale di cui all’art. 2697 cod. civ..

Il primo motivo è infondato e va conseguentemente rigettato. Va infatti considerato che, a fronte dell’accoglimento della domanda della M. da parte del primo giudice, la Regione Valle d’Aosta, in base al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, avrebbe dovuto specificare in maniera precisa e puntuale il contenuto dell’atto di appello, allegandolo al ricorso per cassazione, al fine di provare che la questione di giurisdizione era stata fatto oggetto di specifico motivo di gravame soprattutto in considerazione del fatto che il giudice d’appello ha affermato nella sua decisione che la stessa M. non aveva mai contestato i poteri di macrorganizzazione della P.A., ma si era doluta unicamente del mancato rispetto del contratto di lavoro perchè, una volta nominata dirigente di un rilevante servizio, le era stata impedito di esercitare le relative mansioni, ma anzi era stata demansionata con un lavoro per lei mortificante.

Il secondo motivo è invece fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un. 24 marzo 2006 n. 6572) in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove.

Nel caso in esame difettatale allegazione in quanto, come prova del danno, si indicano la perdita di chance e danni in carriera senza indicare quali sono le chanche perdute e i possibili danni alla carriera che poteva subire la M. considerata la sua attività prima di bibliotecaria e poi di dirigente di un servizio finanziario.

Le considerazioni sinora svolte, con riferimento alla necessità della prova del verificarsi dei danni denunziati e della loro dipendenza causale della condotta datoriale, trovano conforto anche nella successiva giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972). Per concludere, dunque, il primo motivo del ricorso principale va rigettato mentre va accolto il secondo sicchè la impugnata sentenza va cassata in relazione a quest’ultimo motivo.

Alla stregua del disposto dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve disporsi il rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà fare applicazione dei principi in precedenza enunciati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2011

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