Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20662 del 29/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/09/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 29/09/2020), n.20662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30556-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PCR POLYMERS COMPOUNDING RECYCLING SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 147/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’UMBRIA, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la società contribuente impugnava un avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno di imposta 2010;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente ritenendo non dimostrato i coinvolgimento della parte ricorrente nella frode, non avendo tratto alcun vantaggio dagli acquisti effettuati avendo comprato a prezzi di mercato;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate, non essendovi prova che l’appellata abbia conseguito vantaggi dalle operazioni effettuate, pur se a monte effettuate al fine di eludere l’IVA, non avendo dunque avuto alcun ruolo nella frode, avendo comprato a prezzi di mercato; inoltre non vi sono indizi sufficienti per provare la conoscenza da parte della parte ricorrente della frode carosello, dato che è verosimile che il pagamento anticipato sia stato effettuato per ottenere sconti, mentre le dichiarazioni dei terzi da sole non costituiscono indizi sufficienti;

avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per Cassazione, affidato ad un motivo di impugnazione, mentre la società contribuente non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, nonchè dei principi di cui alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 12 gennaio 2006 (C-354/03, 355/03 e 484/03) e 6 luglio 2006 (C-439/04 e 440/04) in quanto nelle cd. frodi carosello il meccanismo dell’operazione fa presumere la piena conoscenza;

ritenuto che il motivo è infondato in quanto, secondo questa Corte:

in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 27566 del 2018);

nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione I’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass. n. 5873 del 2019);

considerato inoltre che in tema di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa, dal momento che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. n. 21772 del 2019; n. 640 del 2019);

ritenuto che la sentenza impugnata ha fatto un uso corretto dei suddetti primi due principi di diritto, ritenendo che spettasse all’amministrazione l’onere di provare la consapevolezza in capo al destinatario delle fatture che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, e conseguentemente valutando – una volta ritenuta non raggiunta tale prova, che la società contribuente disponesse di elementi che gli consentivano di sospettare l’esistenza di irregolarità di evasione in ragione dell’insindacabilità della valutazione del giudice di appello circa la non sufficienza delle dichiarazioni di terze persone a provare la consapevolezza della frode in capo alla parte contribuente corretto il comportamento della parte contribuente consistente nell’aver proceduto alla detrazione dell’IVA relativa alle fatture attinenti a suoi acquisti; d’altra parte il motivo di impugnazione sollevato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sarebbe altrimenti inammissibile – in ragione dell’ultimo principio di diritto riportato – laddove si volesse prendere in considerazione il tentativo da parte dell’Agenzia delle entrate di prospettare surrettiziamente una diversa ricostruzione dei fatti, ricostruzione riservata al giudice di merito e dunque sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta – come nel caso di specie – da congrua e ragionevole motivazione (Cass. n. 3319 del 2020);

ritenuto dunque infondato il motivo di impugnazione, il ricorso va conseguentemente rigettato; nulla va statuito in merito alle spese non essendosi costituita la parte contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2020

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