Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20661 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 31/07/2019), n.20661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1540/2014 r.g. proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione ed

Amministratore Delegato, Dott. M.F., rappresentata e

difesa, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli

Avvocati Maria Sonia Vulcano e Claudio Lucisano, con cui

elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

alla Via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore Dott.

P.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in

calce al controricorso, dall’Avvocato Luciano Manca, con il quale

elettivamente domicilia in Roma, alla via Sistina n. 42, presso lo

studio dell’Avvocato Michele Venturiello.

– controricorrente –

e

D.F.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), D.M. (cod.

fisc. (OMISSIS)), PA.SI. (cod. fisc. (OMISSIS)),

PU.GI.AN. (cod. fisc. (OMISSIS)), S.N. (cod. fisc.

(OMISSIS)), SP.MA. (cod. fisc. (OMISSIS)) e ST.AL.

(cod. fisc. (OMISSIS)).

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di CAGLIARI depositata in

data 05/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Soldi Anna Maria, che ha concluso chiedendo

rigettarsi il ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. C. Lucisano, che ha chiesto

accogliersi il ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avv. M. Venturiello, per delega

dell’Avv. L. Manca, che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. (d’ora in avanti, indicata, più semplicemente, come (OMISSIS) s.r.l.) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari del 5 dicembre 2013, n. 423/2013, reiettiva del reclamo dalla prima promosso contro la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Tempio Pausania, il 6 giugno/17 luglio 2013, su istanza di D.F.A., D.M., Pa.Si., Pu.Gi.An., S.N., Sp.Ma. ed St.Al..

Ha resistito, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre non hanno svolto difese i suddetti creditori.

1.1. Per quanto qui ancora d’interesse, quella corte ritenne: i) correttamente notificato il ricorso L. Fall., ex art. 15,essendo stato lo stesso consegnato presso la sede legale della società fallenda a persona “autorizzata”, e non avendo l’odierna ricorrente fornito adeguata prova contraria su quest’ultimo specifico aspetto; ii) la conseguente “infondatezza” dei motivi relativi all’eccepita incompetenza territoriale L. Fall., ex art. 9 ed alla pendenza di domanda di concordato innanzi ad altro giudice, in quanto tardivamente sollevati, non essendo state le corrispondenti questioni prospettate nel giudizio di primo grado, dove la reclamante non si era costituita.

1.2. All’esito dell’adunanza camerale del 20 novembre 2018, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 32926 del 2018, ha disposto la rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo nei confronti di D.F.A., D.M., Pa.Si., Pu.Gi.An., S.N., Sp.Ma. ed St.Al., ed ha rinviato la causa a nuovo ruolo stabilendone la trattazione in pubblica udienza, ravvisandone l’opportunità “in relazione a quanto denunciato con terzo motivo”. La società ricorrente ha correttamente effettuato l’adempimento impostole ed i suddetti creditori istanti sono rimasti solo intimati. La curatela fallimentare, invece, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione della L. Fall., art. 15 e art. 24 Cost., in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la corte distrettuale fondato la propria decisione su una ricostruzione dei fatti parziale e contrastante con le evidenze documentali ed istruttorie;

II) “Violazione e falsa applicazione, in diritto, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, in combinato disposto tra loro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere quel giudice ritenuto superata la presunzione di riferibilità alla società poi fallita della persona cui era stata consegnata la copia notificata del ricorso di fallimento;

III) “Violazione e falsa applicazione, in diritto, della L. Fall., art. 9, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la decisione impugnata considerato tardiva la sollevata eccezione di incompetenza territoriale;

IV) “Violazione, in diritto, del combinato disposto della L. Fall., artt. 161 e 168, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere la corte suddetta affermato, del tutto apoditticamente e senza indicare i corrispondenti riferimenti normativi o giurisprudenziali, che l’eccezione riguardante la pendenza di concordato preventivo andava sollevata innanzi al tribunale che aveva dichiarato il fallimento, risultando, quindi, tardiva la sua proposizione solo in sede di reclamo.

2. Quanto ai primi due motivi, esaminabili congiuntamente perchè connessi, rileva immediatamente il Collegio che: i) da un lato, giudice competente per territorio alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore insolvente è, secondo il disposto della L. Fall., art. 9, comma 1, il tribunale del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa. Questa norma è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Suprema Corte nel senso che la sede principale deve ritenersi presuntivamente coincidere con quella legale risultante dal Registro delle Imprese, potendo, tuttavia, siffatta presunzione di coincidenza essere vinta dalla prova del carattere meramente fittizio o formale della detta sede legale (cfr. Cass. n. 1489 del 2005; Cass. n. 3945 del 2019). Questo tema di indagine, peraltro, rileverà, nella specie, esclusivamente ove dovesse rivelarsi fondato il terzo motivo di ricorso; ii) dall’altro, è incontroversa la circostanza che la notificazione del ricorso di fallimento proposto da D.F.A., D.M., Pa.Si., Pu.Gi.An., S.N., Sp.Ma. ed St.Al., in danno della (OMISSIS) s.r.l., avvenne presso la sede legale di quest’ultima risultante dal Registro delle Imprese, con consegna a mani di tale D.S., ivi qualificatasi come persona “autorizzata”, che nulla obiettò quanto alla sua possibilità di ricezione di atti diretti alla menzionata società.

2.1. Detta circostanza induce, allora, a ritenere sussistente, all’epoca, una relazione funzionale tra la sede legale indicata e la destinataria di quell’atto, e, dunque, a presumere che quest’ultima ne sarebbe stata informata, avendo la giurisprudenza di legittimità ripetutamente chiarito che, ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145 c.p.c., comma 1), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, neppure era addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (cfr. Cass. nn. 27420 del 2017; Cass. n. 13954 del 2017. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche, in motivazione, le più recenti Cass. n. 33568 del 2018 e Cass. n. 9315 del 2018).

2.1.1. Tale presunzione non è stata vinta dalla parte (la (OMISSIS) s.r.l., appunto) che ne aveva interesse, come ritenuto dalla corte distrettuale, che di tale suo convincimento, fondato su accertamenti in fatto non sindacabili in questa sede, ha dato ampiamente conto, mentre le doglianze in esame riguardano, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio, senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formalmente proposta con entrambi i motivi di cui si discute, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.2. La stessa (OMISSIS) s.r.l., peraltro, ha dichiarato (cfr. pag. 16 del ricorso), “… in relazione alla pretesa nullità della notifica,… di voler rinunciare al motivo di doglianza formulato in sede di reclamo in relazione alla violazione degli artt. 139 e 145 c.p.c…”, posto che “… alla luce delle argomentazioni della difesa di controparte e delle motivazioni in sentenza, convince… la ritualità dell’operato dell’Ufficiale Giudiziario che, avendo proceduto all’accesso presso la sede legale della società, abbia poi notificato l’atto a mani di chi si sia dichiarato a ciò “autorizzato””. Ha, tuttavia, sostenuto la non persuasività dell’idea che detta notificazione “possa o debba considerarsi opponibile a (OMISSIS) in ragione di comportamenti di terzi, id est la signora Da.Sa. e la CLF Advisory (estranei a qualsiasi rapporto con la società) che abbiano agito di iniziativa ed al di fuori di qualsiasi mandato e/o rapporto diretto” (cfr. pag. 16 del ricorso).

2.2.1. Rileva, però, il Collegio che, pure a voler sottacere l’eventuale carattere di novità di una siffatta eccezione (da ciò derivando la sua inammissibilità in questa sede anche perchè, in ogni caso, fondata sulla mera contrapposizione, a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, di una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie vagliate da quest’ultima), resta innegabile che il concetto di opponibilità di un atto giuridico riguarda la idoneità dello stesso ad esprimere la sua efficacia anche nei confronti dei terzi, e non solo delle parti che vi hanno dato vita: del tutto, impropriamente, quindi, esso è, oggi, invocato dalla ricorrente con riferimento alla già descritta notificazione del ricorso di fallimento effettuatale e dalla medesima (OMISSIS) s.r.l., proprio in questa sede, considerata rituale in ordine al corrispondente operato dell’ufficiale giudiziario. In altri termini, una volta definitivamente sancita, alla stregua delle argomentazioni tutte fin qui esposte, la ritualità e validità della notificazione predetta, la stessa ha evidentemente prodotto, nei confronti del destinatario del relativo atto, i suoi effetti (portare, cioè, a conoscenza di un determinato soggetto il compimento di un atto processuale, ricordandosi, peraltro, che è sufficiente che l’atto giunga nella sfera di disponibilità del destinatario, essendo richiesta la sola sua conoscenza legale e non quella effettiva), che quello stesso destinatario, dunque, certamente non può pretendere come a lui inopponibili.

2.2.2. L’argomentare della odierna ricorrente in ordine alla insussistenza di qualsivoglia collegamento tra essa e colei che, definendosi “autorizzata”, aveva accettato la consegna del predetto ricorso di fallimento contro la (OMISSIS) s.r.l., involgerebbe, invero, esclusivamente, profili di pretesa invalidità (sub specie di nullità) di una siffatta notificazione, di cui, però, si è già precedentemente esclusa la configurabilità.

2.2.3. Vanno, pertanto, ritenute insuscettibili di accoglimento, giusta quanto si è fin qui detto, entrambe le doglianze in esame.

3. Analoga sorte merita il terzo motivo di ricorso, che, come si è già riferito, censura la decisione impugnata per aver considerato tardiva l’eccezione di incompetenza territoriale, L. Fall., ex art. 9, sollevata solo in sede di reclamo.

3.1. Invero, è opportuno, preliminarmente, ricordare che: i) la competenza per territorio del tribunale fallimentare, come determinata ai sensi della L. Fall., art. 9, è ritenuta “funzionale” ed “inderogabile”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 28 c.p.c. e art. 38 c.p.c., comma 1. Benchè la prima espressione indichi i casi in cui l’inderogabilità discende dalla funzione del giudice, ormai diffusamente si parla di competenza funzionale quale sinonimo di competenza per territorio inderogabile; ii) discutendosi, dunque, di competenza per territorio inderogabile, si pone, allora, il problema dell’applicabilità, o meno, nella specie (rectius: nel procedimento prefallimentare), dell’art. 38 c.p.c., il quale, nel testo da ultimo modificato dalla L. n. 69 del 2009 (qui utilizzabile ratione temporis), sancisce che l’eccezione di incompetenza per territorio – anche inderogabile – deve essere proposta “a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata” (comma 1), mentre il rilievo d’ufficio può avvenire soltanto “non oltre l’udienza di cui all’art. 183” (comma 3).

3.2. Fermo quanto precede, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte – al quale il Collegio, condividendolo, intende dare continuità secondo cui, malgrado il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento sia caratterizzato da un effetto devolutivo pieno, tale effetto devolutivo non può, tuttavia, estendersi all’ipotesi in cui si sia già verificata una decadenza da una eccezione nel corso del primo grado di giudizio e, in particolare, da quella d’incompetenza L. Fall., ex art. 9, poichè ciò sarebbe contrario al principio costituzionale di celerità dei giudizi, che, qualora si ammettesse la possibilità di sollevare l’eccezione d’incompetenza anche in fase di gravame, sarebbero suscettibili, se l’eccezione fosse fondata, di ricominciare ex novo innanzi al giudice competente, con dispendio di tempo e attività giudiziaria (cfr. Cass. n. 26771 del 2016; Cass. n. 23393 del 2016; Cass. n. 12550 del 2013; Cass. n. 5257 del 2012).

3.2.1. Tale assunto si giustifica perchè, come sancito da Cass. n. 5257 del 2012, e puntualmente ribadito da Cass. n. 12550 del 2013, quest’ultima resa in una fattispecie in cui l’eccezione di incompetenza territoriale del tribunale che aveva pronunciato il fallimento era stata sollevata dal socio della fallita società di capitali (soggetto diverso, dunque, rispetto ad essa, ma, evidentemente interessato, e quindi legittimato, L. Fall., ex art. 18, comma 1, ad impugnare una siffatta statuizione), per la prima volta, in sede di reclamo – la disposizione di cui all’art. 38 c.p.c., nel riportato testo di cui alla L. n. 69 del 2009, qui, come si è detto, utilizzabile ratione temporis, che ha introdotto una generale barriera temporale alla possibilità di rilevare tutti i tipi di incompetenza, fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi applicabile non soltanto ai processi di cognizione ordinaria, ma anche ai processi di tipo camerale, qualora questi siano utilizzati dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti (cfr. Cass. n. 13055 del 1999; Cass. n. 14139 del 2002); pertanto, la questione d’incompetenza territoriale L. Fall., ex art. 9 deve essere eccepita o rilevata non oltre l’udienza di comparizione, obbligatoriamente convocata L. Fall., ex art. 15, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento.

3.2.2. Inoltre, proprio la descritta fattispecie decisa da Cass. n. 12550 del 2013, e la conclusione ivi raggiunta, consentono di argomentare nel senso che la disposizione contenuta nell’art. 38, comma 1, novellato dalla L. n. 353 del 1990, là dove ha introdotto una generale barriera temporale, ai fini della possibilità di rilevare l’incompetenza per materia, per valore o per territorio nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c., fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi avere natura preclusiva (piuttosto che di mera decadenza dall’esercizio di una facoltà della parte), applicabile, così, anche nei confronti del terzo interessato che intenda sollevare la eccezione de qua, per la prima volta, in sede di reclamo L. Fall., ex art. 18.

3.2.3. E’ vero che, prima della novellazione del 2006 e del 2007, la giurisprudenza di questa Corte, sia pure in riferimento alla non più prevista ipotesi di amministrazione controllata, aveva ritenuto che il tribunale investito della domanda di un imprenditore di ammissione alla predetta procedura poteva dichiarare la propria incompetenza territoriale anche oltre il limite temporale previsto all’art. 38 c.p.c., comma 1 (prima udienza di trattazione), in particolare perchè, nell’ambito delle procedure concorsuali (in cui il giudice è investito di notevoli poteri inquisitori e di impulso, si che lo svolgimento delle stesse non è nella piena disponibilità delle parti, con riflessi anche sul contraddittorio tra queste), non è riscontrabile un’udienza avente struttura e funzione analoghe alla prima udienza di trattazione nel procedimento ordinario (cfr. Cass. n. 19496 del 2005).

3.2.4. Tale pronuncia – che si riferisce, peraltro, esclusivamente alla tardiva proposizione della eccezione nel giudizio di primo grado ma non anche alla proposizione della stessa per la prima volta in sede di gravame appare non più invocabile alla luce della vigente normativa.

3.2.4.1. la L. Fall., art. 15 oggi in vigore ha, infatti, strutturato un procedimento per la dichiarazione di fallimento a carattere contenzioso ed a cognizione piena con trattazione in udienza in cui viene assicurato in modo completo il contraddittorio tra le parti ed il diritto di difesa, residuando, comunque, dei poteri d’accertamento ufficiosi da parte del giudice. Ciò a differenza di quanto avveniva prima della novellazione del 2006 e del 2007, in cui non era prevista alcuna udienza innanzi al tribunale essendo sufficiente che il fallendo fosse informato della esistenza della procedura a suo carico e potesse, quindi, esplicare le proprie difese anche mediante il deposito di memorie, senza che vi fosse, in tal caso, la necessità di essere obbligatoriamente sentito dal giudice. L’attuale procedimento prefallimentare è, invece, incentrato, previa notifica del decreto di convocazione al fallendo ed ai creditori istanti, sulla udienza di comparizione innanzi al tribunale in composizione collegiale in cui il primo deve depositare le proprie difese e tutta la documentazione necessaria ed il tribunale può espletare mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.

3.2.4.2. Risulta, quindi, di tutta evidenza che, attualmente, il giudizio si svolge con il contraddittorio pieno delle parti, e che nell’udienza di comparizione il fallendo, analogamente all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., ha la possibilità di rappresentare tutte le proprie difese e di sollevare, così, con queste ultime, ogni eccezione, ivi compresa quella di incompetenza territoriale di cui alla L. Fall., art. 9.

3.2.4.3. Peraltro, va rimarcato che la Suprema Corte ha opportunamente precisato che, in caso di nullità della notificazione del ricorso al fallendo e, conseguentemente, di nullità, per violazione del contraddittorio, della sentenza dichiarativa di fallimento, sorge l’obbligo per il giudice di appello di rimettere gli atti al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., applicabile anche al reclamo camerale quale forma di impugnazione avverso la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 25218 del 2013; Cass. n. 17205 del 2013. In senso sostanzialmente analogo si veda anche Cass. n. 18339 del 2015, mentre la più recente Cass. n. 3861 del 2019 ha adottato la medesima soluzione anche per l’ipotesi di ravvisata inesistenza della notificazione del ricorso predetto); ciò comporta che il debitore rimasto contumace, ma non per sua scelta, nel procedimento prefallimentare, potrà formulare per la prima volta l’eccezione di incompetenza nel giudizio riassunto innanzi al tribunale a seguito della dichiarazione di nullità della prima sentenza di fallimento da parte della corte d’appello.

3.2.5. Quanto, poi, alla rilevabilità d’ufficio di detta eccezione di incompetenza, oggi sostanzialmente invocata dalla (OMISSIS) s.r.l., giova sottolineare che Cass. n. 5257 del 2012 ha specificamente rimarcato (cfr. pag. 8-9 della relativa motivazione) che “l’art. 28 c.p.c. dispone, tra l’altro, che la competenza territoriale non può essere derogata per i casi di procedimenti in camera di consiglio, vale a dire per i procedimenti regolati dagli artt. 737 e ss. c.p.c. come quello fallimentare in esame, giusta l’espressa indicazione dsella L. Fall., art. 15, comma 1. Da tali disposizioni si ricava che la competenza territoriale individuata in base al criterio previsto dal citato L. Fall., art. 9 riveste un carattere inderogabile, rientrando in uno dei casi di esclusione della facoltà di deroga per accordo delle parti della competenza territoriale previsti dall’art. 28 c.p.c.. L’art. 38 c.p.c. dispone, al comma 3, che l’incompetenza territoriale inderogabile è rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione. Ne consegue che il mancato rilievo entro il termine suindicato rende, pertanto, la competenza territoriale incontestabile”.

4. Infondato, infine, è anche il quarto motivo di ricorso.

4.1. Esso muove dal presupposto che se il Tribunale di Tempio Pausania, nel corso del procedimento prefallimentare a carico della (OMISSIS) s.r.l., avvalendosi dei suoi poteri di ufficio anche in ragione della contumacia di quest’ultima, avesse consultato il pubblico Registro delle Imprese (se del caso anche acquisendo i bilanci sociali), avrebbe potuto prendere atto della pendenza, all’epoca, di una procedura di concordato preventivo intrapresa dalla medesima società innanzi al Tribunale di Lecco: circostanza, quest’ultima, che avrebbe dovuto impedire, fino alla relativa definizione, la decisione sul menzionato ricorso di fallimento. Ascrive, poi, alla corte cagliaritana non solo di non aver tenuto conto di ciò, ma di aver affermato, del tutto apoditticamente e senza indicare i corrispondenti riferimenti normativi o giurisprudenziali, che l’eccezione riguardante la pendenza di concordato preventivo andava sollevata innanzi al tribunale che aveva dichiarato il fallimento, risultando, quindi, tardiva la sua proposizione solo in sede di reclamo.

4.2. Il descritto presupposto non è condivisibile, avendo la Suprema Corte già chiarito che la natura officiosa del procedimento prefallimentare impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio (cfr. Cass. n. 625 del 2016, nonchè, nel medesimo senso, Cass. n. 25188 del 2017, in motivazione).

4.2.1. In altri termini, l’eventuale ruolo di supplenza che residua in capo al tribunale, attraverso l’esercizio di un potere di indagine officiosa finalizzato ad evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, tendendo a colmare le lacune delle parti, è limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive (cfr. Cass. n. 24721 del 2015). Esso, del resto, non è rimesso a presupposti vincolanti poichè richiede una valutazione del giudice di merito circa l’incompletezza del materiale probatorio e l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè circa la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, sicchè, trattandosi di una facoltà necessariamente discrezionale, il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice non determina l’illegittimità della sentenza (cfr. Cass. n. 25188 del 2017, in motivazione; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24721. Il profilo della congruità motivazionale, pure menzionato da questa pronuncia, non rileva in questa sede, in quanto il motivo in esame non contiene censura al riguardo e, comunque, il sindacato sulla logicità della motivazione è oggi estraneo al giudizio di legittimità. Cfr. Cass. n. 16300 del 2014; Cass. n. 13928 del 2015).

4.3. In ogni caso, quanto ai rapporti tra concordato preventivo e procedimento prefallimentare, giova evidenziare che la descritta pendenza, nel corso del procedimento prefallimentare a carico della (OMISSIS) s.r.l. innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, di una domanda di ammissione al concordato preventivo dalla medesima società proposta innanzi al Tribunale di Lecco, non avrebbe comunque comportato l’improcedibilità dell’istanza di fallimento o la sospensione del relativo procedimento, atteso che, a seguito della riformulazione della L. Fall., art. 160 da parte del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 80 del 2005, con l’espunzione dell’inciso che consentiva all’imprenditore di proporre il concordato preventivo “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, il principio di prevenzione che regolava i rapporti tra le due procedure, subordinando la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’impresa, deve ritenersi definitivamente superato, non potendo essere desunto neppure in via interpretativa dai principi generali, con la conseguenza che, non ricorrendo un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggia come un fenomeno di consequenzialità (eventuale del fallimento, all’esito negativo della pronuncia sul concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento) che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti (cfr. Cass., SU, n. 1521 del 2013; Cass. n. 12534 del 2014).

4.3.1. E’ certamente vero, poi, che le Sezioni Unite di questa Corte, con le pìù recenti sentenze nn. 9935 e 9936 del 2015, parzialmente rivedendo il principio suddetto, hanno affermato che, ancorchè non si possa ravvisare un rapporto di pregiudizialità tecnica fra il procedimento di concordato preventivo e quello per la dichiarazione di fallimento, durante la pendenza del primo, sia esso in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione, non può ammettersi l’autonomo corso del secondo, che si concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162,173,179 e 180, essendo maggiormente coerente col sistema ritenere che il fallimento non possa intervenire finchè la procedura di concordato non abbia avuto esito negativo.

4.3.2. Più specificamente, Cass., SU, n. 9935 del 2015, dopo aver puntualizzato che la giurisprudenza di legittimità ha ormai accolto “un concetto di continenza piuttosto ampio, affermando che la continenza di cause ricorre non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti e titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell’oggetto, ma anche quando fra le due cause sussista un rapporto di interdipendenza, come nel caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto negoziale, domande contrapposte, o in relazione di alternatività (cd. continenza per specularità: Cfr. Cass. ord. 14 luglio 2011, n. 15532; Cass., SU, ord. 1 ottobre 2007, n. 20599; Cass. S.U. 23 luglio 2001, n. 10011; Cass. 30 marzo 2000, n. 3924; Cass. 10 marzo 1999, n. 2077)”, ha sostenuto che “tale concetto di continenza si adatta, tenuto conto delle peculiarità dei due procedimenti, all’ipotesi di contemporanea pendenza del procedimento prefallimentare e della procedura di concordato preventivo, sia prima che dopo l’ammissione. Ne consegue che quando i due procedimenti pendono innanzi allo stesso giudice si deve provvedere alla riunione, ai sensi dell’art. 273 c.p.c. (Cass. ord. 23 settembre 2013, n. 21761; Cass. 21 aprile 2010, n. 9510; Cass. 19 luglio 2004, n. 13348); quando, invece, i procedimenti si trovano innanzi a giudici diversi… trova applicazione l’art. 39 c.p.c., comma 2” (cfr. pag. 16-17 della citata sentenza).

4.3.3. Nella specie, dunque, ed a tutto concedere, pendendo contemporaneamente la procedura di concordato preventivo intrapresa da (OMISSIS) s.r.l. ed il procedimento prefallimentare a suo carico, rispettivamente, innanzi al Tribunale di Lecco ed a quello di Tempio Pausania, si sarebbero dovuti applicare, ove quest’ultimo avesse avuto concreta conoscenza della prima procedura, i riportati principi di Cass., SU, n. 9935 del 2015, quanto all’applicazione delle disposizioni dell’art. 39 c.p.c., comma 2 (“…se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate”).

4.3.3.1. Si è già detto, però, che alcunchè può ascriversi al predetto tribunale sardo per non aver esercitato i propri poteri officiosi, sicchè quel tribunale, ignorando, affatto incolpevolmente, la pendenza della procedura concordataria intrapresa dalla (OMISSIS) s.r.l., ha legittimamente concluso il procedimento prefallimentare innanzi ad esso instaurato da D.F.A., D.M., Pa.Si., Pu.Gi.An., S.N., Sp.Ma. ed St.Al..

4.3.3.2. Dal canto suo, invece, la Corte di appello di Cagliari, investita, con ricorso dell’8 agosto 2013, del reclamo, L. Fall., ex art. 18, avverso la pronuncia di fallimento resa dal predetto tribunale, non avrebbe, comunque, potuto concretamente applicare l’art. 39 c.p.c., comma 2, (come, solo successivamente alla sua pronuncia risalente al 5 dicembre 2013, avrebbero chiarito, in generale, le Sezioni Unite con la citata sentenza n. 9935 del 2015), posto che, come si desume dall’odierno ricorso, alla data (8 agosto 2013) di instaurazione di quella impugnazione, la procedura concordataria intrapresa dalla reclamante innanzi al Tribunale di Lecco era stata già definita con decreto di inammissibilità, L. Fall., ex art. 162 del 3 luglio 2013: difettava, dunque, la contemporanea ed effettiva pendenza dei due procedimenti, da considerarsi presupposto necessario per l’applicazione della indicata norma.

5. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza tra le sole parti costituite, e dandosi atto, altresì, – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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