Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20660 del 31/08/2017
Cassazione civile, sez. VI, 31/08/2017, (ud. 07/04/2017, dep.31/08/2017), n. 20660
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20044/2015 proposto da:
D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO
BAIAMONTI, 10, presso lo studio dell’avvocato MARCO CASALINI,
rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO LASSINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL
GOVERNO DI VARESE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di VARESE, depositata il
27/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere D.ssa. MAGDA CRISTIANO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
D.A., cittadino albanese, ha impugnato con ricorso per cassazione affidato a tre motivi l’ordinanza 27.7.015 del Giudice di Pace di Varese che ha respinto la sua opposizione al decreto di espulsione notificatogli per non aver rispettato il termine previsto per la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.
Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
Le parti hanno ricevuto tempestiva notificazione della proposta di definizione e del decreto di cui all’art. 380 bis c.p.c., ed hanno entrambe depositato memoria.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
che:
1) Il ricorrente, con il primo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 4 e 5, oltre che vizio di motivazione, lamenta che il G.d.P., dopo aver dato atto che il mancato rispetto del termine non giustifica di per sè l’espulsione, abbia ravvisato nel decreto ulteriori ragioni di espulsione che non vi sono menzionate.
2) Col secondo motivo lamenta che il giudicante abbia ritenuto non ostativo all’espulsione il suo rapporto di stabile convivenza con una cittadina italiana.
3) Con il terzo contesta che il giudice potesse rilevare d’ufficio, quale ragione sufficiente a negare il rinnovo del permesso di soggiorno, il fatto che egli sia stato condannato per reati in materia di stupefacenti, atteso che l’elenco di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, si limita a fissare soglie di riferimento oltre le quali va valutata la pericolosità sociale, ma non consente di presumere che lo straniero condannato per uno dei reati dell’elenco sia automaticamente una minaccia per lo Stato.
3) Il primo motivo è manifestamente fondato.
Come emerge chiaramente dalla lettura del provvedimento impugnato, che riproduce la motivazione di mero stile posta dalla Prefettura a premessa del decreto di espulsione, detto decreto si fonda in via esclusiva sul rilievo della tardiva richiesta da parte del D. del rinnovo del permesso di soggiorno. Ne consegue che il G.d.P., dopo aver dato atto che il ritardo non poteva di per sè giustificare l’espulsione, avrebbe dovuto disporre l’annullamento dell’atto, di cui non poteva sostituire od integrare la motivazione, trattandosi di attività preclusa alla giurisdizione ordinaria (Cass. nn. 5367/016, 17408/015).
Non rileva, d’altro canto, che il motivo, che illustra chiaramente la natura del vizio denunciato, sia stato rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, anzichè n. 4.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso.
L’accoglimento del primo motivo comporta la cassazione del provvedimento impugnato.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito ed annullare il provvedimento prefettizio di espulsione.
Le spese del giudizio di convalida e di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, annulla il decreto della Prefettura di Varese per cui è causa; condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 1.200, e di quelle del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre, per entrambi i giudizi, accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2017