Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20660 del 31/07/2019

Cassazione civile sez. I, 31/07/2019, (ud. 24/06/2019, dep. 31/07/2019), n.20660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusep – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22362/2018 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in Roma Via Taranto 95,

Lotto C, Scala A presso lo studio dell’avvocato Donato Cicenia che

lo rappresenta e difende, in forza di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Protezione Internazionale Caserta, Ministero

dell’Interno Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione

Internazionale Caserta, Procuratore Generale presso Suprema Corte

Cassazione;

– intimati –

e contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5387/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 20/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis O.C., cittadino della Nigeria, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Napoli-Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il richiedente, cittadino nigeriano, nato a (OMISSIS), di etnia (OMISSIS) e religione (OMISSIS), pittore di appartamenti, aveva riferito di essersi fidanzato con una ragazza, che era rimasta incinta; che la ragazza con la febbre alta era stata portata in ospedale, sicchè i suoi parenti avevano appreso della gravidanza in corso; di essere stato assalito e picchiato dai componenti della famiglia della ragazza; che la polizia lo aveva arrestato e tenuto in carcere per due mesi sino alla liberazione su cauzione, pagata da un amico; che la ragazza era scappata di casa ed era morta nel tentativo di abortire; di essere stato ritenuto responsabile dell’evento dalla famiglia della ragazza, collusa con la malavita e di aver lasciato il Paese per sfuggir loro nel febbraio del 2015; di essere arrivato in Libia, ove era stato ridotto in schiavitù e sfruttato; di essersi quindi imbarcato alla volta della Sicilia.

Il Tribunale di Napoli ha respinto la domanda con decreto del 20/7/2018, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso O.C. con atto notificato il 27/7/2018, svolgendo quattro motivi.

L’intimato Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso notificato il 30/8/2018, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia error in procedendo e error in iudicando.

1.1. Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia dato rilievo alla mancata produzione di documentazione in ordine alle vicende riferite, mentre il ricorrente non è gravato dall’onere di fornire una prova certa e rigorosa dei fatti e richiama inoltre la giurisprudenza in tema di rilevanza del rischio di esposizione a violenza indiscriminata, che è del tutto svincolato dagli oneri relativi alla vicenda personale del richiedente asilo.

1.2. Il Tribunale ha osservato solo incidentalmente che il richiedente asilo non aveva prodotto alcun documento volto a corroborare il proprio racconto e ha quindi affermato la sussistenza di dubbi circa la credibilità del racconto stesso, secondo cui egli sarebbe stato incarcerato per aver avuto rapporti con una ragazza maggiorenne.

1.3. Giova premettere che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, primi due commi impongono al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. In ordine alla documentazione la norma mitiga l’obbligo di produzione, coerentemente con il più incisivo obbligo dell’autorità decidente di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, indicando i documenti “comunque appena disponibili”. Nel comma 2 viene specificato il contenuto degli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire; il comma 5, infine, stabilisce che anche quando tali circostanze non siano suffragate da prove, la veridicità delle dichiarazioni deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Tali disposizioni codificano in subiecta materia il principio del cosiddetto “onere probatorio attenuato”, nel quale la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

Tuttavia, i canoni di valutazione fissati dalle lettere c) ed e) sopra citate chiariscono che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro allegativo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

L’accertamento del giudice di merito deve innanzitutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa la sua esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, che deve essere precisa e attendibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.4. In ogni caso, il Tribunale ha addotto anche una seconda ratio decidendi, di per sè idonea a sorreggere autonomamente la decisione, non specificamente censurata dal ricorrente, nel senso che i fatti riferiti non configuravano una persecuzione meritevole del riconoscimento della protezione internazionale.

1.5. Quanto alla situazione di violenza indiscriminata, il Tribunale non si è affatto esonerato dal valutarne i presupposti in ragione della non credibilità soggettiva del richiedente, ma ha provveduto nel merito, al secondo capoverso della pagina 3.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia error in procedendo e error in iudicando, nonchè violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e f), artt. 3, 7,8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) ed e).

2.1. Il Giudice aveva omesso di valutare il rischio corso dal ricorrente di essere esposto ad azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie e il rifiuto di accesso a lui opposto ai mezzi di tutela giuridici, con riferimento al rischio di essere processato, innocente, per la morte della fidanzata.

2.2 Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia error in procedendo e error in iudicando, nonchè violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g). Sussistevano, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, con riferimento al rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti e una minaccia grave e individuale alla sua vita e alla sua persona.

2.3. I due motivi, strettamente connessi, possono essere trattai congiuntamente e non colgono il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla ratio decidendi.

Il richiedente asilo non è stato ritenuto attendibile perchè il pericolo prospettato scaturiva da una storia fantasiosa, priva di concreta plausibilità: secondo il Tribunale non era verosimile che il ricorrente fosse stato ritenuto responsabile della gravidanza e della successiva morte, per aborto, della ragazza maggiorenne con cui aveva avuto una relazione, parecchio tempo dopo che la stessa si era affrancata dalla famiglia di origine.

3. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia error in procedendo e error in iudicando, nonchè violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 27, comma 1 bis.

3.1. Il Tribunale aveva ridotto la valutazione circa la protezione umanitaria alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in tema di divieti di espulsione, ignorando la riconducibilità della tutela umanitaria, quale forma di tutela a carattere residuale, posta a chiusura del sistema complessivo, agli obblighi costituzionali e convenzionali dello Stato italiano e a forme atipiche di soggettiva vulnerabilità personale.

3.2. Il motivo è inammissibile poichè il ricorrente si limita a una generica esposizione degli orientamenti in materia, senza indicare e argomentare quale ragione di specifica vulnerabilità soggettiva, diversa da quelle considerate ed escluse dal Tribunale (quelle indicate nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e quelle corrispondenti a obblighi internazionali dello Stato italiano), egli avesse dedotto nel giudizio di merito e ora invocasse.

Nè può assumere rilievo la vicenda personale riferita, non ritenuta credibile dal Tribunale, tanto nella prospettiva delle protezioni maggiori, quanto nella prospettiva della tutela sussidiaria e residuale di cui al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese al controricorrente, liquidate come in dispositivo.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali, liquidate in Euro 2.100,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2019

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