Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20660 del 08/08/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 20660 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 8538-2016 proposto da:
PUCCI MARCELLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE II

18,

presso lo studio

dell’avvocato MAURO MONTINI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MASSIMO GROTTI, giusta
procura in atti;
– ricorrente –

2018
593

contro

COOP CENTRO ITALIA SOC. COOP., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

Data pubblicazione: 08/08/2018

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato SIRO CENTOFANTI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 27/2016 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 04/02/2016 r.g. n. 233/2015;

udienza del 08/02/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione ed in
subordine il rinvio alle Sezioni Unite civili;
udito l’Avvocato MASSIMO GROTTI;
udito l’Avvocato VITTORIO CHIERRONI per delega verbale
Avvocato MAURO MONTINI;
udito l’Avvocato SIRO CENTOFANTI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

r.g. n. 8538/2016

FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Perugia ha confermato la legittimità del licenziamento
intimato in data 17 aprile 2013 dalla Cooperativa Centro Italia società cooperativa a
Marcella Pucci ed in accoglimento del reclamo incidentale della società l’ha condannata
alla rifusione per intero delle spese di primo grado oltre che al pagamento di quelle del
reclamo.

che il fatto contestato era risultato confermato nella sua materialità, che la condotta
era sanzionata nel contratto collettivo con la massima sanzione espulsiva e che in
concreto il licenziamento era proporzionato in considerazione dell’intrinseca gravità
della condotta accertata e del carattere inverosimile delle giustificazioni della
lavoratrice offerte nel corso del procedimento disciplinare. Ha poi modificato la
statuizione sulle spese del giudice di primo grado non ravvisando ragioni per disporne
la compensazione.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Marcella Pucci che articola cinque motivi.
Resiste con controricorso la Cooperativa Centro Italia società cooperativa. Entrambe le
parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. I motivi di ricorso:
4.1. Violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ e dell’art. 2697 cod. civ.. Sostiene
la ricorrente che la Corte di appello, e prima ancora il Tribunale, avrebbero errato nel
ritenere inammissibile l’interrogatorio formale del capo negozio e del vice capo
negozio del punto vendita presso il quale la Pucci aveva prestato servizio, per sentirli
in relazione alla circostanza di quale fosse la media mensile delle richieste di
autorizzazione per l’utilizzo interno di beni aziendali. Del pari erronea, poi, la
decisione che non aveva disposto l’accesso sul luogo di lavoro per verificare la
tipologia del quadro elettrico nel reparto gastronomia del punto vendita. Sostiene la
ricorrente che tali approfondimenti istruttori erano indispensabili per verificare e
contestualizzare le poco credibili dichiarazioni rese dal teste che avrebbe assistito al
tentativo di furto.
4.2. Violazione dell’art. 2697 cod. civ., 420, 421 e 437 cod. proc. civ.; violazione
dell’art. 1 commi 59 e 60 della legge 28 giugno 2012 n. 92. Ad avviso della ricorrente
3

2. La Corte di merito ha confermato la legittimità del licenziamento avendo accertato

r.g. n. 8538/2016

in violazione delle citate disposizioni la Corte di appello, a fronte della sollecitazione in
sede di reclamo ad esercitare i poteri officiosi per superare le incertezze scaturenti dal
quadro probatorio, non vi aveva dato.
4.3. Violazione dell’art. 2697 cod. civ., 420, 421 e 437 cod. proc. civ.; violazione
dell’art. 1 commi 59 e 60 della legge 28 giugno 2012 n. 92. Analoga censura è svolta
poi con riguardo alla mancata ammissione della richiesta di sopralluogo.

2697 cod. civ.. Sostiene la ricorrente che la dubbia attendibilità del teste che aveva
assistito al fatto avrebbe dovuto determinare la Corte nel senso di escludere
l’intenzione della ricorrente di appropriarsi del duplicatore sottratto dagli scaffali e,
mancando un rassicurante accertamento della condotta, si sarebbe dovuti pervenire
ad una declaratoria di illegittimità del recesso.
4.5. Violazione degli artt. 1,3, 5 della legge n. 604 del 1966; degli artt. 1175,1375,
1455, 2104, 2105 e 2119 cod. civ.; dell’art. 176 commi 1 e 2 c.c.n.l. delle coop del 25
luglio 2008. Ad avviso della ricorrente la Corte di merito avrebbe erroneamente
ritenuto che l’addebito fosse proporzionato rispetto alla sanzione irrogata.
5. Il ricorso non può essere accolto.
5.1. Il primo motivo di ricorso lungi dal denunciare, come esposto nella rubrica, una
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ e dell’art. 2697 cod. civ., sollecita una
nuova e diversa valutazione delle emergenze istruttorie ed in particolare la
ricostruzione operata in tutte le fasi di merito delle dichiarazioni rese dai testi escussi
e della scelta di non dare corso all’interrogatorio formale chiesto. Come è noto, nel
giudizio di cassazione la questione della violazione o della falsa applicazione degli artt.

115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi con riferimento alla erronea valutazione del
materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché
si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle
parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole
secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato
come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione ( cfr.

Cass. 27/12/2016 n. 27000). Nessuna di tali

evenienze è neppure denunciata sicché per tale aspetto la censura è inammissibile.
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4.4. Violazione degli artt. 244, 245, 247, 248, 250 e 251 cod. proc. civ. e dell’art.

r.g. n. 8538/2016

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ. va qui ribadito che la doglianza
relativa alla violazione di tale precetto è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il
giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne
risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma. Ma nel caso in esame la
Corte di appello non ha proceduto ad alcuna inversione dell’onere della prova
essendosi limitata ad esercitare il suo potere discrezionale di valutare l’indispensabilità
dell’interrogatorio formale chiesto (cfr. Cass. 18/09/2009 n. 20104) fermo l’onere di

5.2. Del pari non possono essere’accolte le censure formulate nel secondo e nel térzo
motivo di ricorso con le quali ci si duole del mancato esercizio dei poteri officiosi per
superare le incertezze scaturenti dal quadro probatorio e per non avere dato corso al
chiesto sopralluogo. Con riguardo ad approfondimenti istruttori da eseguire anche
officiosamente da parte della Corte di appello, a ciò sollecitata per il caso in cui non si
fosse ritenuto ammissibile l’interrogatorio formale chiesto, va rammentato che se nel
rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437
cod.proc.civ., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere
preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio
fondata sull’onere della prova, del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a
dar conto. Tuttavia resta fermo che tale potere presuppone, oltre ad una esplicita
sollecitazione da parte di chi ne abbia interesse (nella specie documentata) anche un
quadro probatorio incerto. Ne consegue che nel caso come quello in esame in cui il
giudice di merito, con un’approfondita verifica di tutte le emergenze istruttorie
acquisite nel corso del giudizio, abbia accertato senza margini di incertezza la
condotta contestata, è insussistente il presupposto per dare corso agli
approfondimenti sollecitati, peraltro, proprio per il caso in cui la Corte non avesse
potuto ammettere i mezzi istruttori chiesti laddove invece questi, nella specie, sono
stati ritenuti più che inammissibili irrilevanti. Il sopralluogo sul rilievo che non vi era
certezza della mancata modificazione, a distanza di tempo, dello stato dei luoghi.
L’interrogatorio formale anche in relazione alla ritenuta ininfluenza delle circostanze di
fatto sulle quali avrebbe dovuto essere reso.
5.3. Il quarto motivo è inammissibile poiché, pur denunciando plurime violazioni delle
disposizioni che regolano la prova nel processo (artt. 244, 245, 247, 248, 250 e 251
cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ.), pretende una diversa valutazione delle
dichiarazioni rese dal teste che aveva assistito al fatto sul rilievo che, se valutate
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provare la giusta causa di risoluzione del rapporto a carico del datore di lavoro.

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secondo la ricostruzione operata dalla ricorrente, si sarebbe esclusa l’esistenza della
volontà da parte della lavoratrice di appropriarsi del bene sottratto dagli scaffali del
supermercato. All’evidenza la censura, pur prospettata come violazione di legge, si
sostanzia in una critica della valutazione operata dalla Corte di appello in ipotesi
censurabile sotto il diverso profilo del vizio di motivazione nei limiti consentiti dalla
formulazione dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. nel testo ratione temporis
applicabile alla fattispecie. Per tale aspetto, anche a voler interpretare la censura in

pretermesso che avrebbe portato ad una diversa soluzione della controversia.
5.4. L’ultimo motivo di ricorso con il quale si deduce che la Corte, in violazione degli
artt. 1,3, 5 della legge n. 604 del 1966, degli artt. 1175,1375, 1455, 2104, 2105 e
2119 cod. civ. e dell’art. 176 commi 1 e 2 c.c.n.l. delle coop del 25 luglio 2008,
avrebbe erroneamente ritenuto che l’addebito fosse proporzionato rispetto alla
sanzione irrogata è del pari inammissibile.

5.4.1. Nel ribadire che il perimetro del giudizio della Cassazione in tema di giusta causa
o giustificato motivo soggettivo di licenziamento “è dato dall’interpretazione delle
norme c.d. elastiche, ossia a variabile contenuto assiologico, che richiedono
all’interprete giudizi di valore su regole o criteri etici o di costume o proprie di discipline
e/o di ambiti anche extragiuridici” va del pari ribadito che l’appropriazione di beni
aziendali è senza ombra di dubbio riconducibile al concetto di giusta causa o giustificato
motivo soggettivo di licenziamento di cui all’art. 2119 cod. civ. ed agli artt. 1 e 3 della
legge n. 604 del 1966 e alla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro in
esame. Del pari va confermato che essendo quella di giusta causa o giustificato motivo
una nozione legale, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice di
merito che ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni
collettive disciplinari al disposto dell’art. 2106 cod. civ. rilevando la nullità di quelle che
prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro
natura assoggettabili, ai sensi della citata disposizione del codice civile, solo ad
eventuali sanzioni conservative. In esito a tale verifica, esclusa la nullità delle clausole
del contratto collettivo in tema di comportamenti passibili di licenziamento,
6

questi termini, va rilevato che non viene neppure allegato quale sia il fatto decisivo

r.g. n. 8538/2016

astrattamente sussunti quelli indicati nella specie della giusta causa o del giustificato
motivo di recesso, è demandato al giudice il concreto apprezzamento della gravità dell’
addebito che deve comunque integrare una grave negazione dell’elemento essenziale
della fiducia. La condotta del dipendente deve essere ritenuta idonea a porre in dubbio
la futura correttezza del suo adempimento, perché sintomatica di un certo atteggiarsi

Cass. 17/07/2015 n. 15058 ed ivi le richiamate 13/02/2012 n. 2013, 14/02/2005 n.
2906, 19/08/2004 16260 e 17/04/2001 ‘n. 5633). In definitiva occorre sempre
esaminare in concreto la gravità dell’infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e
sotto quello della futura affidabilità del dipendente a rendere la prestazione dedotta in
contratto. Tali valutazioni in punto di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità
ove risultino sorrette da una motivazione coerente con le acquisizioni istruttorie e sono
in ipotesi censurabili esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione che, come è
noto, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito
con modificazioni nella legge n. 134 del 2012 deve essere interpretato, alla luce dei
canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé e
tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr.
per tutte Cass. s. u. 07/04/2014 n. 8053).
5.4.2. Alla luce di queste premesse osserva il collegio che i giudici d’appello si sono
attenuti ai principi su esposti e con motivazione immune da vizi sono giunti alla
conclusione ( peraltro condivisa in tutte le fasi di merito in cui si articola il
procedimento regolato dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012) che l’ infrazione
7

del prestatore rispetto all’adempimento dei futuri obblighi lavorativi (cfr. in termini

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addebitata alla ricorrente mini, anche con riguardo all’elemento soggettivo, in modo
irrimediabile il rapporto fiduciario tra le parti. In proposito la sentenza impugnata, in
disparte la tenuità del danno in relazione allo scarso valore commerciale del bene
sottratto, ha valorizzato le modalità di svolgimento del fatto (il riduttore esposto per la
vendita al pubblico è stato prelevato senza autorizzazione per un uso interno, tolto

giudice di secondo grado nel verificare la gravità del fatto contestato alla lavoratrice,
negli elementi oggettivo e soggettivo di cui si compone, con valutazione aderente ai
fatti accertati e rispondente ai principi su esposti, ha valorizzato la genericità delle sue
giustificazioni nell’immediatezza e la circostanza che solo successivamente, nel corso
del procedimento disciplinare ed in giudizio, si era ampliato lo spettro delle ragioni
della sottrazione senza che, tuttavia, fosse risultata in alcun modo provata la
destinazione ad un uso interno, funzionale alla prestazione, del bene sottratto. Nel
registrare la contraddittorietà tra le varie versioni degli accadimenti e delle ragioni
sottostanti fornite dalla lavoratrice, la Corte di merito ha evidenziato che, anche a voler
dar credito alle varie versioni delle giustificazioni presentate, da nessuna di queste
risulterebbe chiarito perché non fosse stato chiesto nell’immediatezza della
contestazione una verifica della effettività dell’esigenza, tale da sgombrare da ogni
dubbio circa la reale destinazione del bene ed ha sottolineato che la ricorrente si era
impossessata del bene con modalità incompatibili con una successiva regolarizzazione
della sottrazione. Ed infatti ne era stata gettata via la confezione che conteneva i dati
necessari ad una successiva regolarizzazione. In definitiva la Corte, in esito ad una
attenta ricostruzione dei fatti, ha operato una valutazione in concreto della condotta in
tutti i suoi aspetti attribuendo valore sintomatico di possibili futuri inadempimenti
all’ondivago comportamento della lavoratrice ed alle inverosimili giustificazioni offerte
che neppure erano risultate successivamente confermate ed anzi erano risultate
smentite da dati obiettivi acquisiti in giudizio.

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dalla confezione, che è stata buttata nello scaffale, riposto nella tasca del camice). Il

r.g. n. 8538/2016

5.4.3. Non si tratta allora di verificare una errata sussunzione della fattispecie
nell’ipotesi contrattuale prevista dall’art. 176 c.c.n.l. delle coop, anche sotto il profilo
della proporzionalità della sanzione in relazione alla condotta addebitata, poiché la
Corte di merito ha lio~e proceduto proprio ad una ricostruzione del fatto nei suoi
aspetti costitutivi e ne ha verificato la gravità, analizzando tutti gli elementi acquisiti al

improntata ai doveri di correttezza e buona fede cui si deve attenere il lavoratore nello
svolgimento della prestazione e fosse sintomatica di una noncuranza verso gli obblighi
fondamentali con apprezzamento di merito, che risente delle particolari connotazioni
circostanziali e personali della vicenda sottoposta all’esame dell’autorità giudiziaria e
che non è censurabile davanti alla Corte di Cassazione. La valutazione sulla
proporzionalità dell’addebito rispetto alla sanzione irrogata è infatti riservata al giudice
di merito sicché è ben possibile che la maggiore o minore gravità di infrazioni
astrattamente analoghe vengano, legittimamente, giudicate in modo diverso dai giudici
di merito, trattandosi – in realtà – di apprezzamenti non comparabili fra loro perché
devono essere calati in irripetibili contesti lavorativi e personali (cfr. in termini Cass. n.
15058 del 2015 cit.)
6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la
soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del
d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento
da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..

P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che si liquidano in e 4000,00 per compensi
professionali, C 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori
dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà
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giudizio, e dando conto delle ragioni per le quali la condotta accertata non era

r.g. n. 8538/2016

atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a
norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 febbliTio 2018
Il Consigliere estensore

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